22 aprile 2015

LA FOLLIA IMMOBILIARE: LE ORIGINI DELLA CRISI


Per chi fosse interessato a capire meglio le prospettive del settore immobiliare italiano, suggerisco la lettura di un’interessante ricerca della Banca di Italia, ben commentata da Fabio Bolognini. E’ un’analisi molto articolata, ponderata e disarmante, che ahimè conferma molte impressioni che anche intuitivamente si erano andate formando.

12praderio15FBIn grande sintesi (ma suggerisco veramente di andare a leggersi il testo originale, molto chiaro) si legge che:

– la crisi ha origine in realtà nel 2006 ed è quindi antecedente alla crisi finanziaria americana ed europea, che ha semplicemente ampliato e aggravato un processo già in atto;

– la causa è l’eccessivo ricorso al credito da parte di molte aziende del settore, generosamente concesso da tutte le banche in quanto “il mattone è sicuro”;

– l’eccesso di produzione non ha più incontrato la domanda, impedendo di rientrare nei finanziamenti;

– le banche hanno quindi ristretto l’accesso al credito, anche per le famiglie, riducendo quindi ulteriormente la domanda;

– l’invenduto viene considerato “scorta di magazzino” e non può essere deprezzato, pena il peggioramento delle sofferenze e degli incagli.

 

Per giungere quindi alla nota situazione paradossale per cui la domanda abitativa primaria resta alta, pur a fronte di molti immobili inutilizzati; e questo in modo generalizzato sul territorio nazionale, anche se con alcune specificazioni locali (più indotto nel Nord-Est, meno servizi immobiliari a Sud, ecc.; ma la sostanza cambia poco).
Quadro desolante ma chiaro. Credo però che potrebbe essere interessante aggiungere anche alcune altre valutazioni.

 

Innanzitutto, come mai dal 2006 in avanti si è continuato a immettere una gran quantità di volumetria virtuale negli strumenti urbanistici, pur a fronte di una domanda non significativa da un punto di vista quantitativo? Be’, questa è stata una maniera di camuffare la crisi, rimandandola (ma forse alla fine anche ampliandola). La maniera più facile di “stampare denaro” è, infatti, aumentare gli indici di edificabilità, sovrastimare i valori di uscita, facilitare le funzioni più remunerative (almeno sulla carta), diminuire gli oneri e i servizi pubblici: e – come l’invenduto – tutto questo può servire a fornire garanzia dei prestiti e a “tamponare” i buchi di bilancio, in attesa di tempi migliori (che però non sono venuti).
E come mai nessuno se n’è accorto? Politici, tecnici, valutatori: come mai si sono prestati? Qui il discorso diventa molto delicato, ognuno può trarre da sé le sue conclusioni. Diciamo che ci sono state delle responsabilità, pesanti responsabilità. E soprattutto, adesso cosa si può fare? Qui c’è una impasse da cui in qualche modo bisogna uscire. A mio parere bisognerebbe innanzitutto iniziare a distinguere. Ci sono ancora grazie a Dio imprenditori seri, che si sono mossi con prudenza; ci sono progetti con i piedi piantati per terra, prodotti ben studiati; tecnici affidabili, aree interessanti, domande insediative precise. E poi ci sono quelli abituati a fare soldi sulla modifica delle regole o che sono andati avanti a furia di facili slogan.
Che in una situazione come questa, in cui non ci sono più soldi per niente e si continuano a tagliare i servizi per i cittadini, si immetta liquidità nelle banche per non fare fallire questi ultimi: beh’ questo solleva qualche perplessità. Come solleva perplessità l’idea, che sempre ritorna, di rilanciare il gioco, aumentando di nuovo le edificabilità, consolidandole o addirittura indennizzandole come proponeva il DL Lupi, per fortuna al momento non all’ordine del giorno (aumentare ancora l’edificabilità, strano, no? Eppure ci sono molti che lo sostengono. Ma, attenzione, è già avvenuto: ad esempio a Milano gli indici sulle aree dismesse sono passati da 0,55 a 0,65, poi 0,7, poi 1,00… quante compravendite sono state fatte senza costruire niente?

 

Adesso chi ha il cerino in mano non sa più cosa fare, ovviamente la soluzione che vede è portarlo all’1,2, fare cubare anche altri terreni, ecc. – è un gioco che, come le piramidi e gli aeroplani, rischia di non finire più.). In qualche modo credo insomma che si debba decidere se favorire le rendite o gli investimenti; e che su temi come questi la politica dovrebbe intervenire in modo più chiaro.

 

Gregorio Praderio

 



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