22 aprile 2015

musica – DALLA VERDI ALLA SCALA


DALLA VERDI ALLA SCALA

 

Nella rubrica della settimana scorsa ho espresso perplessità sul concerto Mahler-Beethoven della Verdi ma non avevo ancora sentito, alla Scala, quelli di Mahler-Bruckner e di Wagner-Liszt-Schumann altrimenti sarei stato più prudente; nei giorni successivi, infatti, le due orchestre scaligere – che dovrebbero considerarsi sorelle maggiori della Verdi anche per una questione di età – si sono comportate peggio.

 

musica15FBIl concerto della “Orchestra del Teatro alla Scala” (da non confondere con la “Filarmonica della Scala”) era dedicato anch’esso, come quello della Verdi, a due opere monumentali del repertorio sinfonico: i Kindertotenlieder (i “Canti per i bambini morti”) per baritono e orchestra di Gustav Mahler e la Quarta Sinfonia (la “Romantica”) di Anton Bruckner. Due autori che vengono spesso messi sullo stesso piano nonostante appartengano a due generazioni e a due culture diverse: Bruckner nasce nel 1824 in un paesino prossimo a Linz, nella regione dell’Alta Austria e dunque nel bacino danubiano, mentre Mahler nasce ben trentasei anni dopo, nel 1860, in un paese ancor più piccolo della Boemia a metà strada fra Praga e Brno, perciò nel bacino dell’Elba. I due paesi, che distano fra loro solo 150 chilometri, al tempo dei due autori appartenevano entrambi all’impero degli Asburgo ma vi si parlavano due lingue diverse, una tedesca e l’altra slava, e fino a pochi anni fa erano addirittura divisi dalla famigerata “cortina di ferro”. I due compositori hanno invece avuto entrambi famiglie di origini molto modeste e un impressionante numero di fratelli e sorelle: Joseph e Theresia Bruckner hanno avuto oltre ad Anton altri 10 figli mentre Bernhard e Marie Mahler oltre a Gustav nientemeno che 13!

 

Veniamo alla loro musica.

I lieder di Mahler sono quanto di più tragico e cupo si possa immaginare, sono la rappresentazione del dolore e della disperazione più profondi, in cui non si comprende se sia più forte la pena per i figli morti bambini del poeta autore dei testi (il molto amato Friedrich Rückert, nato nel 1788 e scomparso nel 1866) o piuttosto il presagio dei lutti che avrebbero presto colpito l’autore della musica. Uno strazio infinito e peraltro privo di riferimenti a sentimenti religiosi se si considera che Mahler, nato ebreo, già avanti negli anni si fa battezzare per necessità burocratiche e per tutta la vita si professerà ateo.

 

Totalmente diversa è la musica di Bruckner che è sempre stato un fervente cattolico e con la sua Sinfonia Romantica sembra parlarci dell’armonia della natura e di una grandiosa fede nella bontà dell’universo; sentire una dopo l’altra due opere tanto diverse e per di più invertite cronologicamente (Bruckner scrive la Quarta nel 1874 e la rimaneggia molte volte fino agli anni novanta, mentre i lieder di Mahler sono stati scritti fra il 1901 e il 1904) è spaesante e fuorviante. Se è vero che ascoltare seriamente la musica significa anche abbandonare il mondo dei propri pensieri e lasciarsi trascinare in mondi diversi, farsi prendere per mano dal compositore e andare con lui alla scoperta di modi diversi di sentire, allora è veramente difficile – passando dal primo al secondo tempo di un concerto – concentrarsi su realtà così contrastanti e prive di qualsivoglia relazione tra loro.

 

Ciò premesso, e dopo aver ricordato che si tratta comunque di due grandissimi capolavori, è spiacevole dover dire che la loro esecuzione è stata decisamente al di sotto di ogni aspettativa. Il sessantenne baritono statunitense Thomas Hampson, che stando agli studi e al percorso professionale dovrebbe essere uno specialista della lideristica tedesca, è stato – come ha scritto Enrico Girardi sul Corriere della Sera – sicuramente sopravvalutato; non è entrato in sintonia con Mahler, ha mostrato problemi di intonazione e ha restituito una lettura monocorde e poco credibile dei cinque Lieder.

 

Ma anche l’anziano direttore berlinese Cristoph von Dohnànyi, dal quale ci si attendevano esperienza e maturità musicale, non ha dato gran prova di sé ed anch’egli è apparso molto al di sotto della sua fama. Grande conoscitore del repertorio sinfonico europeo, abituale frequentatore dell’orchestra scaligera fin dal 1971, con un curriculum professionale impressionante e una vasta produzione discografica, è apparso sbiadito per non dire spento. Ha tenuto l’orchestra troppo sottotono rispetto al baritono (un modo sicuramente elegante di affrontare la collaborazione con il solista, ma inadeguato a un’opera complessa come i lieder mahleriani) e nella sinfonia di Bruckner ha mostrato poca cura dei dettagli e un fraseggio troppo approssimativo (usa quasi esclusivamente la mano destra, e così non trasferisce pathos né chiavi interpretative) mentre l’orchestra, poco stimolata, ha faticato a trovare il senso ultimo della partitura.

 

Non molto meglio è andata il lunedì successivo, con il concerto della “Filarmonica della Scala” diretta da Daniele Gatti che ha eseguito la “Eine Faust-Ouvertüre” di Wagner, il poema sinfonico Orpheus di Liszt e la Seconda Sinfonia di Schumann; un bellissimo programma, giocato anch’esso sulla geografia (tutte opere scritte e presentate fra Weimar, Lipsia e Dresda), sulle date (siamo fra il 1844 ed il 1854) e sull’amicizia e la parentela fra i compositori; un concerto che tuttavia, contrariamente alla moda imperante, sembrava eseguito al rallentatore. È stato curioso osservare questo direttore che ha raggiunto una considerevole notorietà, che giocava in casa essendo assolutamente milanese e non nuovo al teatro, che avrebbe dunque dovuto dimostrare autorevolezza e sicurezza, e invece sembrava intimidito e preoccupato più di controllare e frenare l’orchestra che di esaltarne le potenzialità espressive.

 

La Filarmonica, trattandosi di musica sinfonica e dunque di attività concertistica, è ovviamente più raffinata dell’Orchestra del Teatro, e tuttavia con Gatti è apparsa svogliata e incerta. Partita abbastanza bene con Wagner si è a poco a poco ammosciata, prima con Liszt e poi con Schumann, fino all’ultimo tempo della Sinfonia che – indicato come un “Allegro molto vivace” – della vivacità avevo perso ogni traccia.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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