15 aprile 2015

LAVORI PUBBLICI: LA DISFATTA DI PORTA TICINESE


La sistemazione della Darsena e di Piazza XXIV Maggio, ormai quasi ultimata, è l’ennesima dimostrazione che le modalità di affidamento dei progetti e dei lavori vanno ripensate. La più diffusa modalità di affidamento delle opere maggiori, tutta italiana, è l’appalto integrato. Essa è fondata sul “progetto spezzatino”, cioè sul fatto che la prestazione progettuale è un servizio da misurare e valutare quantitativamente, per cui si può affidare senza scrupoli di sorta il progetto preliminare, quello definitivo e quello esecutivo a tre soggetti diversi, e la direzione dei lavori a un quarto soggetto. Il caso di Porta Ticinese è stato fortunatissimo, qui la progettazione è rimasta a unico soggetto, perché affidata attraverso un concorso pubblico. Poi è stato bandito un appalto per imprese, che hanno presentato un’offerta e proposte tecniche migliorative (in questo caso limitate all’impatto del cantiere sulla vita cittadina) rispetto al progetto a base di gara. E l’impresa aggiudicatrice ha realizzato l’opera – offrendo un forte sconto – i cui lavori sono stati, tuttavia, diretti da un altro soggetto.
 

08caruso14FBIl soggetto che ha firmato il progetto ha stabilito le caratteristiche morfologiche principali dell’opera, e l’ha corredato con i dettagli necessari alla sua completezza e coerenza. Ma i lavori sono stati diretti da un altro soggetto, che, non avendo condiviso il concetto progettuale, ha provveduto alle scelte operative necessarie al cantiere – che hanno determinato la qualità finale – senza possedere la visione completa (e la passione) necessaria. Oltre che un problema di civile dignità del mestiere, considerata la qualità dell’esito, il tema ha un rilievo molto più generale. Esso interessa il modo di investire le risorse pubbliche con rigore, cioè producendo la massima qualità possibile.
 

La normativa prevede che la direzione dei lavori venga affidata al progettista – indicando così la strada maestra della esecuzione coerente dell’opera – quando l’ente pubblico committente non possieda all’interno del suo apparato le competenze. Gli enti maggiori, almeno sulla carta, le posseggono, ma potrebbero consentire invece alla pratica più corretta dal punto di vista del mestiere, riservandosi i compiti da project manager, finalizzati al controllo dei costi. Ma questo non avviene quasi mai.

Oggi è visitabile gran parte della piazza e il nuovo mercato, la cui realizzazione è di una qualità davvero bassissima. La struttura dell’edificio è rivestita di lamierino metallico preverniciato, con dettagli (si veda la relazione tra copertura e pilastri degli angoli) da capannone artigianale, con superfici non complanari e bombate. Un lavoro che subirà un veloce degrado. Sul ballatoio verso la Darsena, la parete realizzata con un pannello metallico sandwich, un prodotto commerciale di scarso valore, è stata occultata da un traliccio di doghe di legno (anzi, di plastica finto legno!), utile solo a questo occultamento. Un edificio nato vecchio, e con caratteristiche energetiche critiche.
 
I mille pali che arredano la piazza sono stati già descritti dal servizio fotografico pubblicato nell’ultimo numero di ArcipelagoMilano. Sono la dimostrazione dell’assenza di un progetto integrato: evidentemente l’esecutivo architettonico non si è occupato di questi aspetti, ritenuti “tecnici”, e ogni ente responsabile dello specifico servizio (pubblica illuminazione, ATM, a2a, semafori, ecc.) ha redatto il proprio progetto con i propri criteri aziendali, senza che la direzione dei lavori provvedesse a un coordinamento unitario.
 
E poi quando saremo capaci di organizzare un cantiere con un impatto minore sulla vita cittadina? All’appalto hanno partecipato imprese con proposte di sospensione del traffico dei mezzi pubblici di qualche settimana, non di un anno, come è avvenuto! Manca ancora, per fretta, per incompetenza, per sottovalutazione del rispetto che si deve alla cittadinanza, la consapevolezza del rilievo che riveste questa questione.
 
Ma ci sono aspetti progettuali importanti che meritano attenzione. La logica distributiva del progetto del mercato non è comprensibile, sembra irrazionale: il percorso interno parallelo alla strada, dal quale si diramano quelli secondari, è largo soltanto mt. 1.80; il ballatoio lungo la Darsena è un retro, rispetto alle attività i cui fronti guardano sul lato opposto.
 
E perché i muri di contenimento delle diverse quote tra viale D’Annunzio e la Darsena, che pure hanno un disegno interessante, sono rivestiti di mattoni di cotto, come anche diversi pavimenti e i fabbricati commerciali? Ci si è dimenticati dei pesanti carichi di blocchi di granito che per secoli hanno approdato in quel luogo dalle rive del lago Maggiore e che sono serviti a costruire l’austera città di pietra, le sue strade e i basamenti dei suoi palazzi. Se a questa estranea toscanità del cotto si aggiunge l’uso del colore verde adottato per le coperture e i fronti degli edifici, si comprende come il riferimento all’architettura dei parchi e giardini – il nuovo ponte pedonale sulla Darsena è un grazioso arco – abbia prevalso rispetto al riferimento alla storia della città, di cui quel luogo è parte fondamentale.
 
L’arco di Luigi Cagnola è forse il monumento più insigne, sicuramente il più iconico, del neoclassicismo milanese e non meritava questo trattamento. Sia nella nuova Piazza XXV Aprile, che nella nuova Piazza S. Ambrogio (entrambi progetti di iniziativa privata) sono state evitate simili forzature culturali. La storia della città non è lineare, è piena di discontinuità e anche di traumi, per cui non si può parlare di tradizioni che è obbligatorio rispettare. Ma ciò non vuol dire che il suolo della città possa ospitare qualsiasi manufatto, senza motivazioni fondate su qualche relazione con il luogo specifico e le sue vicende.
 
È facile immaginare la risposta a queste critiche: la nuova sistemazione ha un grande successo popolare. E allora? È tale l’attesa di aree pedonali, che qualsiasi intervento diretto a sottrarre aree al traffico ha giustamente successo. Qualsiasi nuovo giardinetto in qualsiasi quartiere ha successo. Ma da un’amministrazione di sinistra si pretende di più. Si deve pretendere una direzione politica dei lavori pubblici dotata di una visione culturale, di un’idea di città coerente e riconoscibile, diversa e migliore. Altrimenti, quale è la differenza con le altre amministrazioni? E si deve pretendere anche un apparato comunale che sia tecnicamente autorevole.

 

Alberto Caruso
 



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