15 aprile 2015

LA GRANDE MILANO E TRE PICCOLI PUNTI DI SOSPENSIONE …


Può il destino di una grande metropoli restare sospeso a modesti puntini ortografici … ? Stando alla proposta di delibera consiliare di modifica dello Statuto comunale milanese (primo firmatario Andrea Fanzago) avente per oggetto il titolo sul “decentramento” può accadere. Infatti l’avvenire della neonata gracile città metropolitana è strettamente legato alle scelte del capoluogo circa quanto intenda devolvere in favore dei futuri municipi e dunque mutare, o persino superare, la propria struttura e funzione.

 

09ballabio14FBLe opzioni possibili variano per misura: decentrare niente (ovvero fingere di), poco, tanto, tutto (*); ma la quantità cambia la qualità degli enti interessati e del sistema nel suo insieme. Non si tratta pertanto di aggiustare lo Statuto poiché è intervenuta la legge Delrio, bensì di operare una scelta fondamentale per il futuro della più importante area metropolitana del Paese. Con l’attenzione rivolta a evitare possibili errori e omissioni che possano rovesciare il senso della “riforma” e dar luogo al pentimento postumo: si stava meglio quando si stava peggio.

 

Ma veniamo alla delibera in questione che, in premessa e senza fornire alcuna motivazione, si limita a citare solo la seconda parte dell’articolo 22 della legge 56 che è la chiave per rendere possibile l’elezione diretta e dunque una prospettiva di crescita e vita dignitosa per la neonata città metropolitana: considerato che “… per le sole città metropolitane con popolazione superiore a tre milioni di abitanti, è condizione necessaria, affinché si possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che lo statuto della città metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee e che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza con lo statuto della città metropolitana”.

 

Ma cosa nascondono i puntini sospensivi o meglio omissivi: “In alternativa a quanto previsto dai periodi precedenti, per le sole città metropolitane con popolazione superiore a tre milioni ecc.” Ed ecco in cosa consiste l’alternativa di cui ai periodi precedenti: “condizione necessaria, affinché si possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che si sia proceduto ad articolare il territorio del comune capoluogo in più comuni.”. Dici poco! Un comune non può contenere più comuni e pertanto deve necessariamente estinguersi col risultato di confermare solo due livelli elettivi sotto la regione: comunale e metropolitano (un discorso a parte andrebbe svolto per le restanti province che sopravvivono tal quali ma irrimediabilmente non elettive!).

 

Quindi dei due possibili scenari prospettati dalla legge, e per altro ribaditi nello Statuto metropolitano, il primo viene scartato a priori, senza esplicita motivazione. È vero che la stessa legge contiene passaggi incomprensibili: perché l’alternativa è riservata soltanto agli over tre milioni? Pensata ad hoc per il “rito ambrosiano”? E perché l’ipotesi di scomposizione del capoluogo è accompagnata da una serie di complicazioni tali da far desistere anche Giobbe? Ma le complicazioni si semplificano non si eludono! Nove sindaci metropolitani uniti, se dotati di volontà politica, possono ben ottenere la correzione di una legge raffazzonata, approvata in fretta sotto l’urgenza di evitare le elezioni provinciali del 2014.

 

Richiamiamo allora in estrema sintesi i pregi e difetti dei due corni del dilemma: superare il capoluogo articolandolo in veri e propri comuni oppure decentrarlo più o meno e farlo sopravvivere dimezzato.

Primo scenario: si realizzerebbe una chiara e trasparente ripartizione dei poteri secondo i principi costituzionali di “sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. Dunque riservare alla città metropolitana i compiti di governo nelle materie attinenti territorio, mobilità, ambiente, alta cultura e innovazione nella dimensione della “area vasta” e pertanto semplificare la presenza di un solo ente intermedio elettivo tra regione e comuni. A questi ultimi, fatta salva l’esigenza di unire e fondere i piccoli specularmente alla scomposizione di Milano, riservare tutte le competenze attinenti la “comunità locale”.

 

Secondo scenario: in alternativa si realizzerebbero invece entrambe le seguenti condizioni negative. Sul punto del diritto: un inammissibile vulnus nell’elementare diritto di cittadinanza in quanto l’elettorato attivo sarebbe discriminato a seconda della residenza anagrafica in Milano, nei restanti comuni metropolitani, nelle rimanenti province! Sul punto di fatto in quanto si moltiplicherebbero pericolose sovrapposizioni fra tre livelli politico-amministrativi con conseguenti inevitabili conflitti di competenza, rimpalli di responsabilità, concorrenza di funzioni (rischio di riprodurre in piccolo il pasticcio del rapporto stato-regioni di cui alla modifica costituzionale del 2001).

 

Si chiede pertanto al sindaco (bifronte) e ai consiglieri comunali di Milano di confrontarsi (**) e riflettere; e ai restanti 133 sindaci componenti la Conferenza metropolitana, con compiti per Statuto di “parere e proposta”, non stare a guardare.

 

Valentino Ballabio

 

(*) vedi intervento del sottoscritto su ArcipelagoMilano del 26/11/2014

(**) vedi reiterata richiesta di audizione del Forum Civico Metropolitano
 



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