15 aprile 2015

sipario – LO ZOO DI VETRO


LO ZOO DI VETRO

di Tennessee Williams

Regia: Arturo Cirillo, traduzione di Gerardo Guerrieri

con: Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto

Scene: Dario Gessati, Costumi: Gianluca Lafaschi, Luci: Mario Loprevite, Produzione: TieffeTeatro

 

Realtà e apparenza, luce e ombra, ambizione e frustrazione; sono questi i temi fondamentali attorno ai quali si costruisce il “dramma di memoria” (profondamente intessuto di autobiografismo) di Tennessee Williams, diretto e interpretato da Arturo Cirillo, che qui come in altre sue opere assume anche il ruolo del personaggio che fa procedere la trama, anche rompendo la finzione e rivolgendosi direttamente al pubblico.

 

sipario14FBProtagonista e narratore in prima persona delle vicende della sua famiglia, sulla quale aleggiano l’assenza della figura paterna e il rimpianto per il passato perduto e le occasioni mancate, Tom (alter ego dell’autore) è un giovane impiegato in un calzaturificio, aspirante poeta costretto a un lavoro che non lo soddisfa dalla necessità di mantenere la madre e la sorella, e dal quale cerca di evadere trascorrendo intere notti al cinema, immerso nelle avventure dei film che gli offrono un’alternativa allo squallore della vita reale; Amanda, abbandonata dal marito, vive nel rimpianto del suo passato di ragazza, ammirata e corteggiata da molti pretendenti, e vorrebbe assicurare un futuro dignitoso alla figlia, zoppa e troppo timida per affrontare il mondo da sola, per trovarsi un impiego e per conquistare un marito; Laura vive in un mondo proprio, separato dal resto dell’umanità e popolato solo dagli animaletti di vetro che ella colleziona e dai fantasmi del passato che si muovono sulle note dei vecchi dischi appartenuti al padre.

 

Così come l’ambiente domestico che essi condividono è scisso tra luci e ombre, che moltiplicano l’intimità della casa in ulteriori nascondigli, i tre personaggi posseggono ciascuno una propria dimensione segreta e inarrivabile agli altri, nella quale vivono al sicuro delle proprie illusioni e delle favole che raccontano a se stessi. I tre personaggi affrontano ciascuno a suo modo le difficoltà del vivere quotidiano che li tiene inesorabilmente legati l’uno all’altro, come dimostra il fatto che nessuno degli interpreti lasci mai il palcoscenico per occultarsi dietro le quinte, e anche quando una situazione non prevede la sua azione diretta, resti comunque presente, visibile nell’ombra che circonda la scena principale e presente nella memoria dell’io lirico che racconta.

 

Tutto appare duplice e sfumato, vita vissuta e al tempo stesso illusione, realtà concreta e fantasma, proprio come gli oggetti di vetro, la cui materialità è tanto sottile e leggera da apparire impalpabile, ma che, se illuminata dalla luce giusta, può iridarsi di magnifici riflessi. Così lo spazio domestico diventa il luogo in cui un eterno, fittizio, presente intrappola i personaggi, tenendoli bloccati e sospesi al di sopra della realtà finché Jim, amico e collega di Tom e rappresentante del mondo “vero” non interverrà a romperne l’equilibrio: riconoscendo dietro alla timidezza della giovane ospite un animo delicato, eccezionalmente diverso dalla moltitudine delle persone “normali”, egli insegnerà per la prima volta a Laura ad amare se stessa con la stessa dedizione con cui si prende cura della sua collezione, a perdonarsi per quella fragilità che rende preziose le sue creature di vetro, “frammenti di arcobaleno” che rifulgono solo se osservati nelle giuste condizioni. E allora diviene significativo il fatto che queste rivelazioni avvengano al buio, durante un black out che interrompe la cena perché Tom non ha pagato la bolletta della luce; quei soldi gli sono serviti per arruolarsi in Marina, per realizzare il sogno di partire per terre lontane, per posti più lontani della luna, perché «é il tempo la distanza più grande».

 

Coerentemente con la sua concezione del teatro come luogo in cui i testi d’autore rivivono grazie alla personale narrazione che gli interpreti ne propongono, rinnovandone l’illusione in modo sempre diverso, nello “Zoo di vetro” lo sguardo acuto e visionario del regista ricrea “l’inganno dell’immaginario”, in un ambiente fatto da pochi elementi molto concreti ma immersi in una luce non realistica, un caleidoscopio di ombre che rivela i significati del non detto, dell’inspiegabile, della deformazione sognante che ciascuno si costruisce attorno, con meravigliosi e inutili decorazioni di vetro pronte a risplendere nel gioco di luci sempre mutevoli dell’esistenza.
Chiara Di Paola

 

Teatro Menotti dal 9 al 19 aprile

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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