1 aprile 2015

CONSIGLIERI COMUNALI COME I MACCHINISTI DEL TITANIC


In premessa vorrei informare gli affezionati lettori di ArcipelagoMilano: 1) che Pisapia Giuliano non è deceduto ne è stato rapito dagli alieni ma fa ancora il sindaco; 2) che le elezioni saranno tra un anno e che quindi è abbastanza prematuro lanciarsi in commiati, orazioni, commemorazioni e proiezioni. Ciononostante il milieu politico/giornalistico è tutto in fibrillazione a partire dal consiglio comunale. A proposito, cos’è oggi il consiglio comunale? Un tempo il luogo principale della politica cittadina, l’indispensabile palestra dei politici, il primo gradino di ogni carriera politica, l’onorifico suggello del prestigio per i protagonisti della vita economico, sociale, culturale della città; un leader doveva essere passato da Palazzo Marino battendo record di preferenze, viceversa era un parvenu.

 

04marossi13FBSui suoi scranni si sono seduti presidenti del consiglio, ministri, scienziati, artisti e premi Nobel. Basta scorrere a casaccio l’elenco dei consiglieri (per non parlare degli aspiranti tali ovvero i trombati) del passato per rendersi conto, nel bene e nel male, del prestigio che a esso veniva riconosciuto: Elio Vittorini, Cesare Musatti, Ludovico D’Aragona, Ugo Guido Mondolfo, Eugenio Scalfari, Giuseppe Lazzati, Giovanni Marcora, Giovanni Spadolini, Giovanni Pesce, Piero Bottoni, Ezio Vigorelli, Bettino Craxi, Giovanni Malagodi, Silvio Leonardi, Armando Cossutta, Piero Parini, Nicola Abbagnano, Raffaele De Grada, Luca Beltrami, Virgilio Brocchi, Eugenio Chiesa, Luigi Conconi, Malachia De Cristoforis, Giuseppe Forlanini, Bruno Fortichiari, Enrico Gonzales, Francesco Ingegnoli, Stefan Jacini, Luigi Majno, Ernesto Teodoro Moneta, Mario Capanna, Benito Mussolini, Paolo Pini, Cesare Sarfatti, Claudio Treves, Filippo Turati, Carlo Valvassori Peroni, Rossana Rossanda, Luigi Granelli, Rinaldo Rigola, Alessandro Vaia, Lalla Romano, Mario Alberto Rollier, Walter Alini, Sergio Turone, Antonio Baslini, Roberto Tremelloni, Giorgio Morpurgo, Andrea Borruso, Umberto Dragone, Libero Mazza, Antonio Banfi. Ovviamente hanno calcato il palcoscenico anche un congruo numero di guitti.

 

Scelte fondamentali per la storia del paese e della città sono state prese in quelle aule: è li che nasce la “repubblica ambrosiana” (cito Crispi non Salvini) e lì che si sviluppa il riformismo amministrativo socialista che sarà da esempio a mezza Italia, è li che con D’Annunzio e le squadracce fasciste viene abbattuta la democrazia municipale, è li che viene fatta la prima giunta di centro sinistra che cambierà la storia del secondo dopoguerra e ancora a Palazzo Marino giusto 40 anni fa si diede vita alla giunta di sinistra che porrà fine al centro sinistra strategico.

 

Ma questo è il passato, oggi la realtà è ben diversa. Tutto è cambiato con l’elezione diretta del sindaco. Da assemblea di direzione strategica, di elaborazione e di indirizzo politico, che faceva tremare sindaci e potenti, il consiglio è diventato un luogo di ratifica senza particolari poteri e per la verità senza figure di particolare prestigio.

Per la giunta il consiglio è un freno alle decisioni, azionato strumentalmente dalle opposizioni ma anche dalla propria maggioranza; anzi nel caso di Pisapia sembrano più difficili i rapporti tra consiglieri e assessori dello stesso schieramento che quelli con gli oppositori. I capigruppo sono visti dagli assessori come dei concorrenti insidiosi e invidiosi, dal sindaco come dei postulanti, dalle segreterie dei partiti come dei turbatori dell’ordine costituito.

 

I consiglieri devono limitarsi a essere interfaccia con gli aderenti al proprio partito o meglio iscritti agli albi delle primarie, a coltivare le preferenze, a blandire l’opinione pubblica localmente attiva (associazioni, comitati, gruppi), per ricevere nella più parte casi segnalazioni, proteste, denunce e qualche contumelia. Sono come gli addetti alla sala macchine dei vecchi transatlantici, come quelli del Titanic: durante le feste sono sporchi di grasso e al buio, durante il naufragio sono vittime sicure. La loro possibilità di condizionare la giunta è quasi zero e se per circostanze spesso casuali ci riescono, si alzano alti lai contro l’ingerenza dei politicanti/partiti “che intralcia il funzionamento del governo cittadino”; esemplare la discussione sul bilancio.

 

In pratica si limitano all’enterteinment o come diceva Nenni “un O.d.g. in consiglio comunale sulla pace non si nega mai a nessuno”. Peccato perché con la crisi irreversibile di circoli, sezioni e club sono gli ultimi politici in ascolto permanente, gli ultimi che battono il marciapiede alla ricerca della mitica “gente”, i meno dipendenti da Facebook perché sanno che li preferenze non se ne pigliano.

Il loro stipendio difficilmente supera i 1500 euro, i benefit si limitano al parcheggio libero e a qualche biglietto per San Siro (che stante il livello del Milan dovrebbero pagarti per andarci). Candidarsi oltretutto costa. A Milano, sulla base delle dichiarazioni ufficiali, dai 5.000 ai 30.000 euro (vale a dire qualche euro a preferenza) non molto rispetto a Roma dove ci sono consiglieri che hanno dichiarato spese anche 10 volte superiori, ma comunque “palanche”. Quindi a rigor di logica dovremmo avere una crisi di vocazioni e difficoltà a riempire le liste. Invece…

 

Alle ultime comunali milanesi si sono presentate 29 liste con circa 1300 candidati (per 48 eletti), cioè uno ogni 500 votanti. 120 liste di candidati nelle zone per un totale di circa 2400 candidati a consiglieri comunali di serie c. In zona 3 ad esempio un candidato ogni 230 votanti.

Le preferenze necessarie per essere eletti variano in relazione al partito, minimo 1500 per Forza Italia, poco più di 500 per tutti gli altri. La maggioranza assoluta dei candidati al consiglio comunale non supera le 20 preferenze. Taluni consiglieri di zona ottengono più voti di preferenza di quelli necessari per entrare in consiglio ma molti non ottengono neppure il voto dei propri cari.

 

L’anno prossimo, stante il clima annusato sabato al meeting regionale del PD e a quella di Forza Italia il numero dei candidati, è destinato ad aumentare. Perché? La spiegazione è semplice: in un sistema dove tra primarie, elezione diretta, scarsa democrazia interna i partiti sono diventati comitati elettorali candidarsi è l’unico modo per fare politica o almeno per poter dire “io c’ero”.

 

Walter Marossi

 



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