1 aprile 2015

RIFORMA DELRIO E CITTÀ METROPOLITANE: UN LABIRINTO MISTERIOSO


Ho da poco lanciato alcune proposte sull’attuazione della legge Delrio ma c’è dell’altro che vorrei aggiungere: cose che la lettura del testo della legge mi ha suggerito e che restano alla base delle idee da me avanzate. L’elenco non ha pretese di sistematicità, completezza o organicità, sono semplici appunti.

* A seguito della riforma Delrio i comuni si occupano di fatto di funzioni di area vasta (che riguardano bacini sovra comunali) in aggiunta alle funzioni cosiddette di prossimità (in sostanza i servizi ai cittadini). Con la scomparsa degli amministratori eletti a suffragio universale, rappresentativi in modo diretto del complesso della comunità provinciale, la provincia, o città metropolitana, diventa, ora ancora più di prima, luogo deputato all’incontro e dialogo tra i comuni, quasi una sorta di estensione istituzionale del municipio. Vero è che nelle città metropolitane esiste ancora la possibilità attraverso lo statuto di tornare all’elezione a suffragio universale, ma le condizioni sono tanto gravose da allontanare quest’obiettivo molto in là negli anni. Sindaci e amministratori comunali che siedono negli organi della città metropolitana rappresentano il proprio territorio comunale, non rappresentano una parte politica. In questa nuova situazione la contrapposizione politica tra maggioranza e minoranza, che prima determinava i lavori del consiglio, non ha più senso, appartiene a un’impostazione ormai superata dalla nuova legge.

09pompilio13FB* La riforma definisce compiti e caratteristiche dei singoli organi, ma poco ci dice su come raccordare gli organi, su come farli lavorare a sistema. Il sindaco metropolitano (come il nuovo presidente nelle province) ha poteri molto più ampi di quelli del precedente presidente, e li esercita attraverso atti monocratici (decreti), non essendo più previsto l’organo esecutivo, la giunta, e le relative delibere collegiali. Il sindaco metropolitano può assegnare deleghe ai consiglieri, ma queste hanno natura e valore molto diversi da quelle date in precedenza agli assessori. La carica di assessore era incompatibile con quella di consigliere dello stesso ente, e il consigliere eletto che veniva nominato assessore doveva lasciare la carica elettiva, senza più potervi ritornare, almeno entro il mandato amministrativo. La legge supera questa incompatibilità, anzi la rende necessaria visto che non è possibile assegnare deleghe a soggetti esterni al consiglio. Il consigliere si trova nella strana situazione di dovere da un lato, come delegato, aiutare il sindaco metropolitano nel raggiungimento degli obiettivi di mandato, ma dall’altro di dovere nello stesso tempo esercitare un potere di indirizzo e controllo nei confronti dell’azione del capo dell’amministrazione. Segnale anche questo che ci troviamo dopo la legge Delrio in una situazione completamente inedita, tutta da esplorare, dove non si possono riproporre modelli collegiali che replicano la vecchia giunta. Una situazione di contesto più istituzionale dove gli organi sono chiamati responsabilmente a cooperare.

* Viene introdotto un nuovo organo, la conferenza metropolitana (denominata Assemblea dei sindaci nelle province), che funge da cerniera con il territorio ed è specificamente dedicato a rendere più fluido il raccordo tra organi dell’ente intermedio e comuni, e a favorire il confronto cooperativo tra i sindaci. Nella provincia, dei tre organi (presidente, consiglio, assemblea dei sindaci) l’assemblea è l’unica ad avere componenti eletti con suffragio universale. Nel senso che dopo la legge Delrio i cittadini di un comune nelle elezioni votano il sindaco, e allo stesso tempo anche il proprio rappresentante nell’assemblea organo della provincia. Nel caso della città metropolitana, nel periodo attuale di transizione (che probabilmente durerà diversi anni), anche il sindaco metropolitano è eletto direttamente, dai cittadini del solo comune capoluogo. Anche questa differenza, non è la sola, evidenzia l’impostazione più centralista del modello di ente intermedio per la città metropolitana.

* Il consiglio, organo che si compone di una rappresentanza selettiva di amministratori comunali, ha lo specifico compito di disegnare la linea strategica e le priorità per le decisioni dell’ente, guidandone anche l’attuazione unitamente al sindaco metropolitano. Prima della Legge 56/2014 erano i consiglieri a occuparsi del raccordo con il territorio, generalmente ripartendosi in modo informale secondo il bacino elettorale di provenienza. Ora per questo compito c’è il nuovo dedicato organo, e i consiglieri si possono concentrare sull’attuazione di strategie e priorità.

* La legge dà allo statuto dell’ente intermedio la possibilità di organizzare il territorio in zone omogenee, anche se previa intesa con la regione. Questa è un’importante opportunità per rafforzare il dialogo con il territorio, particolarmente utile per coinvolgere e sviluppare partecipazione nelle città metropolitane e province che hanno un numero elevato di comuni. Entro gli organismi decentrati delle zone omogenee i comuni possono incontrarsi per discutere i temi di area vasta che specificamente interessano la propria area, portando i risultati all’attenzione della conferenza metropolitana attraverso il sindaco coordinatore della zona. I comuni si sentiranno maggiormente partecipi se l’articolazione in zone omogenee non sarà disegnata a tavolino, sulla base di criteri teorici, ma sarà in qualche modo riferita alle forme associative tra comuni che nel passato si sono già spontaneamente consolidate sul territorio.

* Nell’affrontare l’organizzazione dei nuovi enti intermedi si deve tenere conto di alcune differenze significative di impostazione tra provincia e città metropolitana. Non ci si riferisce qui solo a quelle più evidenti: il numero di funzioni attribuite e la possibilità, anche se remota, di tornare all’elezione diretta. Vi sono un po’ nascoste nelle pieghe della legge altre differenze, apparentemente minori, ma in realtà importanti per comprendere il modello di ente intermedio pensato dalla riforma. Citandone una per esempio: i poteri di controllo sono riconosciuti all’assemblea dei sindaci provinciale, ma non alla conferenza metropolitana. Una differenza significativa, che ci parla da un lato di una provincia maggiormente controllata e determinata nella sua azione dal volere dei comuni, e dall’altro di una città metropolitana fortemente centrata, almeno nei primi anni, sulla guida del comune capoluogo.

Si potrebbe continuare con altre considerazioni, la lettura della legge ne suggerisce diverse, ma quelle sopra sono sufficienti per evidenziare come la riforma delinei un sistema di governance nuovo, anche se ancora molto schematico, lasciando spazio a leggi regionali e statuti degli enti per trasformarlo in un’opportunità concreta. Si tratta di una grande occasione, ma per coglierne in pieno le potenzialità, un semplice adeguamento degli statuti vigenti non è sufficiente. Si deve essere disposti a reinterpretare il ruolo dell’ente intermedio secondo logiche nuove, fortemente innovative, resistendo alla tentazione di riprodurre attraverso soluzioni artificiali forme tradizionali cui ci si sente legati, più rassicuranti, ma che la riforma ha ormai cancellato.

Marco Pompilio



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