1 aprile 2015

libri – ANATOMIA DELL’OVVIO. POESIE


 

PIETRO SALMOIRAGHI

ANATOMIA DELL’OVVIO. POESIE

La Vita Felice, Milano 2014.

 

libri13FBQuando la parte di vita che abbiamo alle spalle è maggiore di quella che ci resta, gli occhi acquistano una chiarezza nuova, e la mente registra il tempo e lo spazio con insolito nitore. La poesia di Salmoiraghi è questo: parola che mette a fuoco gli oggetti in penombra; che illumina le cose che non vediamo perché sotto gli occhi, nel quotidiano. Anatomia dell’ovvio: in altri termini, analisi e definizione del quotidiano. Operazione che prende forma vagando tra frammenti di visione, pensieri, memorie, suggestioni. Con un pensiero fisso: mantenere una dignità per quanto inutile e fittizia.

Pensieri come schegge impazzite,/ ripiegato su me stesso /
in preda all’inestinguibile – spossante, / moto circolare della mente: / cercando di riscattare il nulla / di una vita insulsa.

Poesia di affabulazione; poesia di meditazione: dove il metro si dissolve e al verso dà misura il respiro, che determina anche la quantità sillabica e il ritmo. Salmoiraghi, scrivendo, si sottrae per scelta a ogni schema:

Strano piacere per il non finito, / il provvisorio: per quel che non è conclusivo. / Ovvero l’incompiuto.

Le opere perfette sono quelle che, in apparenza hanno forma “non finita”, come la Pietà Rondanini di Michelangelo, strada maestra per il sublime. Ma a Salmoiraghi poco sembra interessare “l’oltre”: egli resta attaccato con ostinazione al suo oggi, al suo essere uomo in un consesso di individui aggrappati stolidamente alla propria solitudine:

Occorre, si direbbe, sbrogliare / vecchie matasse, aggrovigliate: / tessere inconsueti fili narrativi. / Scoprire un nuovo cielo. / Non da soli: possibilmente tutti insieme costituire, / per così dire, “un noi narrante”. / Inedito e, soprattutto, non di massa: ma, certamente, collettivo.

Il “noi” come “nuovo cielo”: ovvio. Ma ancora da venire. Un ovvio di cui si parla da millenni, ma che non pare realizzabile. Eppure l’unica soluzione è

un vero progressismo: che combatta / per superare ogni diseguaglianza. Materiale o immateriale che sia.

PS: / Vero è purtroppo, / che ci sono situazioni in cui / le speranze – e, al tempo stesso, / l’inerzia dei miei simili, / mi risultano davvero esasperanti.

L’affabulazione, che di norma è distesa e fluisce come assorta, qui si impunta e dà segni di insofferenza: il rimedio è ovvio ma, al tempo stesso, ignorato. Come se l’uomo avesse una sorta di cecità persistente che gli impedisce di comprendere e di ben operare.

Non è dato sapere / Che cosa sia il vero: / né dove stia. / Forse non è, non sta: / è in continuo divenire./ Un ininterrotto divenire.

Panta rei: niente è uguale a se stesso, mai; eppure dei punti fermi vanno individuati. Altrimenti è impossibile la convivenza e maledettamente dura la vita del singolo. Nella raccolta precedente (Autobiografia involontaria, 2012) aveva scritto:

Chi non è capace di credere / – per fede secolare, laica: / o religiosa che sia, / è condannato ad una esistenza / dominata dal dubbio: / una quieta vita disperata.

Perfetta alchimìa lessicale, che si chiude in un apparente ossimoro (quieta / disperata) che rimanda alla coscienza dell’adynaton che caratterizza l’esistenza del genere umano: sarà possibile un’esistenza diversa, quando l’uomo saprà tradurre in azione quotidiana l’ovvio, l’uguaglianza e la parità di diritti. Cioè: mai.

Quel che resta è dunque assai poco, in particolare quando il passato supera per durata il futuro. In una contiguità scandita di vibrante (r) e sibilante (s), la quieta disperazione domina la scena, chiudendosi nel rifiuto integrale dell’esistenza:

Morte le mani: quasi trasparenti, / rugose, segnate solo / dal colore bluastro delle vene. / E fin qui ci potrebbe anche stare. / Ma è l’anima – non il corpo, / che viene meno: si finisce per provare / una sorta di orrore per la vita.

Se in Autobiografia involontaria aveva parlato di rapporto controverso col mondo, “in bilico tra entusiasmo e insofferenza”, in questa raccolta è l’insofferenza a prevalere. Senza appello. L’umanità, per cui aveva vagheggiato tempi migliori, non merita né attenzione né cura e l’uguaglianza è un’utopia (spesso è faticoso e difficile / eliminare le distanze). Da preservare, al fondo, l’ “io” che conosce, che valuta, che propone, che desidera. Sopra tutto che desidera. Con l’assenza della tensione, del desiderio, perde tutto di significato, anche la pura sopravvivenza. Ed è questo, al finale di ogni possibile anatomia; è questo l’ovvio.

Corpi che si urtano, si scontrano, si toccano … / Sensazione di sentirsi nudo in mezzo / ad una umanità troppo vestita. / Un uomo scorticato, / urticato dalla sua stessa sensibilità. / Ecco: spesso è faticoso e difficile / eliminare le distanze. / Mantenendo le differenze.

Giuliana Nuvoli

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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