25 marzo 2015

MEMENTO (DOPO LE DICHIARAZIONI DI GIULIANO PISAPIA)


Ho cercato, nel testo che nel 2011 – dopo il successo elettorale – abbiamo dedicato con Giuliano Pisapia al suo percorso politico, alla vicenda di Milano e alle prospettive (Due arcobaleni nel cielo di Milano e altre storie, Bompiani). Non ho trovato in forma esplicita quanto – in verità – aveva detto in campagna elettorale, qualche volta, informalmente. Cioè che riteneva sufficiente svolgere un solo mandato come Sindaco della città.

Ho trovato però questa riflessione, a proposito di ciò che va inteso come “buona politica”.

02rolando12FBLa buona politica – diceva Giuliano Pisapia – non è solo l’organizzazione del consenso. Va da sé che senza consenso non si possono assumere responsabilità, che in democrazia derivano anche dal consenso elettorale. Vedo però che l’attesa è per un cambio di passo sostanziale rispetto a un modo in cui partiti e una parte vistosa del ceto politico pensano di agire in perenne autoreferenzialità. In uno spirito di perenne immunità. Insomma nel quadro di un rendimento del loro operato in cui contano gli annunci non i fatti. Non voglio banalizzare un concetto alla fine complesso. Ma per gli italiani la “buona politica” è dimostrare una autocorrezione sostanziale del sistema della democrazia rappresentativa“.

Faccio questa citazione per dare un piccolo contributo, o per meglio dire uno stimolo, a un dibattito che ora non va marginalizzato. Quello che lo stesso Giuliano Pisapia – offrendo un ambito a metà strada tra ragioni politiche e ragioni personali – chiama “coerenza”. E che dovrebbe aprirsi a un tema importante: quali sono, ora, le condizioni della nostra democrazia rappresentativa?

Se partiti, movimenti civici, associazioni civili e partecipative, ritengono interessante creare condizioni di continuità nell’esperienza che Milano ha reso possibile eleggendo sindaco Giuliano Pisapia – un esponente democratico non inquadrato nei partiti ma favorevole a uno schema di maturazione della cultura politica complessiva della città e soprattutto del centrosinistra – sarebbe necessario che questo dibattito avesse un posto importante nell’agenda.

Insieme al tema del bilancio critico – fuori da valutazioni approssimative e declamatorie – sui percorsi di gestione che il “cantiere Milano” può vantare. Così da fare emergere, nelle compatibilità reali di risorse finanziarie, di piani e di qualità della classe dirigente, gli obiettivi perseguibili per la scadenza “Milano 2030” (le politiche innescate dopo Expo hanno un tempo di adattamento necessario nel medio periodo). Altrimenti a cosa servirebbe il tempo a disposizione?

Se parte, innescato dalla febbre miope dei media (e magari anche dalla routinerie di certi apparati), il totonomine senza corredo di idee, cioè senza aver chiarito prima cosa serve alla democrazia della polis e cosa serve allo sviluppo della nuova città metropolitana, meglio dar retta alla proposta in sé un po’ cinica – conosco il suo spirito di provocazione – avanzata da Piero Bassetti che ora alla città serve solo un realizzatore, proposta già incautamente corredata da un nome.

 

Stefano Rolando

 

 

 



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