25 marzo 2015

PER UN PAESAGGIO URBANO NON SESSISTA


Nello spazio pubblico i corpi femminili sono ancora relegati nell’immaginario della domesticità o ancorati al desiderio sessuale maschile e tutto ciò è considerato normale, basta percorrere le strade di una città qualsiasi. Milano non sfugge a questa regola. Qualche tempo fa un paio di giganteschi manifesti pubblicitari sono stati rimossi da corso Buenos Aires perché in grado di interferire con la normale circolazione automobilistica. La possibilità di essere distratti durante la guida da un provocante corpo femminile (coperto solo da una striminzita lingerie), e il conseguente rischio di incidenti hanno giustificato la loro rimozione da parte della Polizia Locale.

10barzi12FBAl di là del caso specifico, la pubblicità sessista e l’invadenza della cartellonistica sono una realtà che sembra non possa essere modificata, quasi che la disponibilità dello spazio pubblico nella strategie di marketing sia un dogma immodificabile. Come se si debba per forza dare per scontato che le casse comunali non posano fare a meno di quegli introiti. Eppure rinunciare ai proventi derivanti dalla cartellonistica pubblicitaria e alle sue interferenze sul paesaggio urbano è possibile. Il sindaco ecologista di Grenoble, Eric Piolle lo scorso novembre ha annunciato la decisione di eliminare 326 cartelloni da sostituire con una cinquantina di alberi. Non rinnovare il contratto con la società concessionaria che gestisce l’occupazione dello spazio pubblico per fini pubblicitari produrrà un mancato introito di 645.000 euro all’anno per le casse comunali. Il presidente dell’associazione Paysage de France ha dichiarato a Le Monde che, al di là dell’essere di esempio per le altre città francesi, l’iniziativa di Grenoble rappresenta «una lezione morale».

La scelta della città francese, ai fini della riflessione che qui propongo, mette al centro un tema che difficilmente viene affrontato: il modo in cui la forma e il paesaggio urbano rappresentano le differenze di genere. Non è certo una novità che il corpo femminile sia utilizzato per finalità commerciali, ma che sia possibile rinunciare a mettere a disposizione lo spazio urbano come supporto delle strategie pubblicitarie, soprattutto se si tratta di avversare i peggiori stereotipi di genere, è in ultima analisi l’aspetto più significativo della lezione di Grenoble. Non si tratta tanto di stigmatizzare il messaggio veicolato da quel tipo di comunicazione – corpi femminili che sollecitano l’immaginario e il desiderio maschile – ma di cominciare a ragionare su come tutto ciò contribuisca a modellare lo spazio urbano a misura di quello che è ancora il genere dominante.

Un’altra dimostrazione di quanto il tema continui ad essere evitato è fornita dalla recente proposta di regolamentare la prostituzione di strada nel quartiere dell’EUR a Roma, un ambito della città a forte specializzazione funzionale che sta facendo i conti con la fallimentare gestione urbanistica degli ultimi decenni. In questo caso il vecchio immaginario maschile, che associa prostituzione a degrado, è diventato l’argomento che consente di mettere in secondo piano i veri problemi dell’area: i residenti sono più preoccupati del fatto che il quartiere, con tanto di decisione ufficiale dell’amministrazione comunale, diventi un «bordello» di corpi in vendita piuttosto che uno squallido insieme di edifici, molti dei quali non finiti (la Nuvola sede del Nuovo Centro Congressi) o abbandonati (vecchio parco di divertimenti Luneur). Poco importa se lì si riversa già ora gran parte della prostituzione esercitata in città: l’importante è che essa resti nella condizione di clandestinità che giustifica le promesse elettorali di repressione. Per il degrado urbanistico poi si vedrà.

Il gruppo consigliare di Sel ha proposto per Milano l’istituzione di un’analoga zona regolamentata per la prostituzione di strada, non tanto per «ghettizzare le prostitute» – ha dichiarato il capogruppo Mirco Mazzali – «ma per creare un luogo in cui non si determino fastidi per i cittadini. Va identificato un luogo, evidentemente isolato, dove avviare questa sperimentazione dove anche chi sceglie come attività quella di mercificare il proprio corpo possa essere tutelato e non si crei disagi alla popolazione». Indipendentemente dai diritti delle sex worker, la questione centrale è quindi il confinamento del fenomeno in un luogo preciso: esso va escluso dal paesaggio urbano perché disturbante.

Al di là della concretezza della proposta, della sua fattibilità anche da un punto di vista urbanistico, il punto che le parole di Mazzali toccano è esattamente quello di cui non si parla mai quando di mezzo c’è l’uso commerciale degli spazi pubblici. Se sia cioè più accettabile la mercificazione del corpo femminile quando essa viene rappresentata da enormi cartelloni che ricoprono intere facciate di edifici, piuttosto che incarnata da persone che chiunque può incontrare per strada. È possibile che ciò diventi un punto di riflessione in vista delle prossime elezioni? Si può pensare che dal paesaggio urbano venga bandito il sessismo, magari anche quello che relega da qualche parte il perturbante spettacolo dei corpi in vendita?

Michela Barzi

Postilla

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ieri 23 marzo 2015, ha annunciato che sarà operativa a breve la decisione di vietare le affissioni pubblicitarie a sfondo sessista, così come da specifico emendamento del Piano regolatore degli impianti pubblicitari. Si tratta di un precedente importante che non può essere ignorato.



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