12 ottobre 2009

FINANZIAMENTO DEL MERCATO IMMOBILIARE. PURCHÈ SIA VERY APPEALING


“Terminata la fase di analisi inizia la vera e propria fase operativa anche se ancora non si inizia in nessun modo a costruire fisicamente il bene, in quanto occorre passare per una fase di raccordo tra quelli che sono i desideri dello sviluppatore e il fabbisogno della collettività.

Tale passaggio intermedio, che è di gran lunga il più complesso, è l’attività urbanistica e progettuale volta a ottenere dalla pubblica amministrazione la modifica della destinazione d’uso del bene e, se possibile, un aumento della capacità edificatoria.

Tale passaggio comporta un enorme rischio per il developper in quanto la Pubblica Amministrazione non ha nessun obbligo di concedere il cambio di destinazione, l’incremento della capacità edificatoria e quindi, in ultima analisi, il permesso di costruire.

Questo significa che tanto più è diversa la destinazione obiettivo da quella attualmente prevista per l’area oggetto di sviluppo tanto più appealing dovrà essere il progetto per il soggetto pubblico”.

Sono parole tratte da un libro di recente pubblicazione sulla finanza immobiliare (A. Borghi, Finanza immobiliare, Egea). Niente che già non si sapesse, ma si prova un certo disagio nel sentir trattare i sindaci delle città italiane come i potenziali clienti della Vorwerk Folletto. Chi fabbrica prodotti per la pubblica amministrazione adotterà strategie di vendita pensate per quel target. O meglio per l’immagine e la considerazione che ne ha. Senonché sempre più spesso il ruolo del copywriter è assunto dal pubblico amministratore stesso. È lui che il più delle volte, travolto dal fascino indiscreto del progetto che gli è stato sottoposto, a condizione che questo sia very appealing, se ne fa banditore e portabandiera. È triste, ma siamo ancora fermi all’idea che per contrabbandare un intervento di dimensioni ragguardevoli nel territorio serve l’appeal di una grande opera pubblica. Meglio se faraonica, qualcosa che lasci un segno duraturo.

Fa quasi tristezza ripensare a quelle interviste in cui sindaci e assessori di città grandi e piccole menano vanto con poco ritegno dei loro successi urbanistici. C’è anche chi si lascia trasportare in maniera quasi infantile dal progetto che si è fatto rifilare e, come in un grande afflato, si sente in una volta architetto, urbanista, costruttore e opinione pubblica, incurante e inconsapevole del fatto che agli occhi del developper proprio lui costituisce un enorme rischio, nel caso non sia sufficientemente sprovveduto.

Quanti sono i progetti della grande Milano pettinati in modo da assumere un adeguato grado di appeal? Pericolo scampato!

Sono letture da non perdere i testi sulla finanziarizzazione del mercato immobiliare. Ti fanno passare la voglia di collaborare con gli immobiliaristi. Il linguaggio è molto tecnico, ma tutto ruota intorno ai pericoli potenziali derivanti da comportamenti di pubbliche amministrazioni non del tutto accondiscendenti.

“L’investitore, generalmente, è tipicamente avverso al rischio per cui è portato a formulare una strategia di asset location tesa a massimizzare il rendimento per un dato livello di rischio o, viceversa, a minimizzare il rischio per un dato livello di rendimento atteso. La redditività di un investimento immobiliare è rappresentata dall’attitudine del bene a generare flussi di cassa positivi (…). Per quanto riguarda, invece, il rischio dell’investimento immobiliare, la misurazione risulta più complessa, anche a causa della minore diffusione di specifiche metodologie di rilevazione. Il profilo di rischio di un investimento immobiliare, con riferimento alla capacità di produrre flussi di cassa, costituisce la volatilità del rendimento rispetto alle attese”. (E.Degennaro, La finanziarizzazione del mercato immobiliare, Cacucci).

I capitali vengono destinati all’investimento immobiliare in alternativa all’acquisizione di strumenti mobiliari. Ma “…nel mercato mobiliare la volatilità dei prezzi è minore ed è legata a una migliore qualità dei meccanismi di formazione degli stessi…” anche perché il mercato immobiliare è fortemente condizionato dal mercato finanziario, che in circostanze particolari può liberare enormi risorse e convogliarle appunto verso il settore immobiliare (come è avvenuto e avverrà ad esempio nel caso del cosiddetto scudo fiscale).

Dunque nel mercato immobiliare non opera il meccanismo della concorrenza perfetta, ritenuta tipica del mercato mobiliare, ma vi è un alto profilo di rischio legato alla volatilità degli asset e ai comportamenti messi in atto dalle pubbliche amministrazioni.

 

 

La finanziarizzazione del settore è però in grado di ridurre i rischi di controparte e di favorire l’efficienza del settore. E quindi di favorire almeno l’avvicinamento alla perfezione! Del resto, verrebbe da aggiungere, lo abbiamo visto in questi mesi quanto ci siamo avvicinati all’ideale.

“Il contributo dato all’efficienza del mercato immobiliare dai processi di finanziarizzazione deriva anche dalla possibilità di ridurre i rischi di controparte in esso naturalmente presenti.

Come si è detto, le principali categorie dei cosiddetti rischi di controparte, nel mercato immobiliare, sono riconducibili al rischio commerciale, legato alle variazioni della domanda e dell’offerta, dei prezzi e delle condizioni del mercato immobiliare; e al rischio di liquidità, relativo alla difficoltà di convertire in tempi brevi il valore di un investimento immobiliare in liquidità.

Quest’ultima categoria di rischio è di natura finanziaria e risulta legata ai tempi di transazione. La finanziarizzazione, comportando la possibilità di aumentare lo spessore e di attenuare la discontinuità del mercato immobiliare, crea nuove opportunità di scambio che realizzano una riduzione di tali rischi”.

In sostanza la finanziarizzazione del settore risolve i problemi degli investitori immobiliari legati alle difficoltà di commercializzazione di beni che hanno carattere di scarsa liquidità. “In pratica aumentano le possibilità, divenendo le contrattazioni più numerose e con un maggior grado di standardizzazione, di trovare una controparte disponibile a monetizzare l’investimento in tempi brevi o, comunque, meno lunghi rispetto a quelli tipici del mercato immobiliare. Infatti l’orizzonte temporale delle negoziazioni poste in essere da soggetti che non perseguono finalità speculative è quello di medio-lungo termine. Mentre con la finanziarizzazione, la possibilità di trasformare le preferenze contrattuali fa sì che l’orizzonte temporale possa dipendere dalle mutevoli opportunità tempo per tempo offerte dalla congiuntura”.

La finanza immobiliare è dunque un bene perché favorisce la speculazione! L’arcano della finanza immobiliare è dunque svelato: man mano che il mercato si allarga diventa più agevole allontanarsi dal valore intrinseco delle singole proprietà, che in effetti rappresenta un deprecabile fattore di rigidità. Altro che concorrenza! Si prefigura una vera e propria visione monopolistica del bene suolo: pochi grandi proprietari, garanzie di sostegno illimitato da parte del sistema bancario e il gioco è fatto.

Se arriva la crisi nessuna paura: il grande investitore ha con le sue banche di riferimento un rapporto ben diverso da quello del cittadino mutuatario che acquista un alloggio, e non ha problemi a scollinare in attesa di tempi migliori. La banca, salvo casi eccezionali, non ha interesse a mettere in crisi il promoter perché i finanziamenti erogati non sono in funzione del valore catastale dei terreni, ma di ipotetici piani di sviluppo finalizzati unicamente alla valorizzazione degli immobili stessi.

Quindi non di rado i finanziamenti, benché garantiti da ipoteche, sono considerevolmente superiori al valore di mercato dei suoli. Se si pensa che saranno poi le banche stesse a erogare mutui ai cittadini che acquisteranno case su terreni valorizzati con questi metodi, sulla base di valori che esse stesse hanno contribuito in larga parte a far crescere oltremisura, si prova un acuto senso di impotenza di fronte alla drammaticità che ha assunto il problema della casa nelle nostre città. E non è nemmeno sempre vero che i prestiti erogati sono garantiti. I mutui chirografari, ad esempio, non sono assistiti da alcuna ipoteca e sono privi di qualsiasi titolo di prelazione in caso di fallimento.

Questi strumenti, i cui importi dovrebbero essere di entità contenuta, sono stati pensati per favorire l’acquisto di beni strumentali o servizi in tempi brevi e senza costi superflui da parte di piccole aziende, famiglie o condomini. In realtà, come abbiamo visto, ad esempio nella recente vicenda di Risanamento, può trattarsi di vere e proprie linee di credito aperte per cifre molto ingenti.

Quando si sente parlare di un grande progetto per la città si dovrebbe subito chiedere di poter vedere tutte le carte: il quadro dell’intera operazione, da dove proviene il finanziamento, quali sono le contropartite, i tempi di sviluppo, il profilo dell’operatore, come si è arrivati a formulare l’idea, ecc. Si sappia che le grandi operazioni immobiliari normalmente si realizzano nel lungo periodo, quando si concretizza la congiunzione di un complesso di elementi favorevoli. La grande opera pubblica, di interesse collettivo, è però un must: ciò che è collaterale per l’operatore, la contropartita, il prezzo da pagare, la minusvalenza, deve sembrare il vero oggetto della decisione politica.

 

 

Per essere chiari, non c’è (quasi) nulla che sia assolutamente irrealizzabile per una pubblica amministrazione: è sempre una questione di risorse e progetti. Un comune può produrre facilmente volumetrie, cubature e in ultima analisi moneta sonante. E di quella moneta, se è capace e non corrotto, può fare signoraggio.

Ecco, forse è proprio questo l’esito più indesiderabile della vicenda urbanistica degli ultimi anni: il comune come la zecca. La differenza, come abbiamo visto, sta nella contendibilità dei valori: a chi ha il compito di coniare moneta di stato spetta una percentuale di valore, metallico o simbolico, determinata e prestabilita per legge. Il signoraggio sulle avventure immobiliari è invece oggetto di una trattativa piena d’incognite e incertezze. Inoltre per la zecca, sia quella degli antichi comuni, sia quella di stato o quella della Banca Europea, la quantità di moneta da coniare è legata alla politica di controllo dell’inflazione. Per le amministrazioni locali, invece, pare che il problema si sia ancora posto.

Mario De Gaspari



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