12 ottobre 2009

TROPPO PER POCHI E POCO PER TROPPI


I manifesti sui muri della città ci hanno ricordato che il 10 ottobre si celebrava la giornata dell’obesità – chi mangia troppo – e ci ricordano che il 16, meno di una settimana dopo, ci sarà la giornata mondiale dell’alimentazione, leggasi: la fame nel mondo. Nessuno di noi ha potuto guardare con indifferenza le migliaia di litri di latte buttate nei campi e chi non ricorda i pomodori e le arance schiacciati dagli escavatori in segno di protesta? Se fossimo una piccola collettività chiusa, verrebbe da dire: ma perché non vi mettete d’accordo per evitare questo scandalo? Così non è, anzi la globalizzazione va esattamente nella direzione opposta e tutti gli organismi internazionali che, a diverso titolo come la Fao, si occupano di questi problemi vedono ridursi la loro efficacia: interessi nazionali e lobby industriali la fanno da padroni. Il problema dell’alimentazione e dei suoi squilibri è un problema che riguarda le città, i loro consumi, i loro modelli di vita e i loro sprechi.

Nelle città vive ormai più del 50% della popolazione mondiale, in particolare questa proporzione si distribuisce così: Europa 72%, America latina 77% e America settentrionale 81%. Il fenomeno dell’inurbamento è paurosamente crescente nei Paesi in via di sviluppo ma non possiamo dimenticare che oggi Europa a Nord America consumano circa il 70% delle risorse alimentari del pianeta e che queste risorse sono assorbite per il 70% e più dalla città. Le città sono dunque il principale motore degli squilibri e contemporaneamente il luogo dello spreco alimentare. Dalle città dei “cittadini” deve partire un movimento contro questa follia autodistruttiva prendendo coscienza delle responsabilità personali di ognuno di noi e come consumatore, soprattutto, come portatore di opinioni. Per questo ARCIPELAGOMILANO ha deciso di dedicare la sua “copertina” al problema degli sprechi alimentari dedicando spazio alla prefazione del libro SPRECHI di Tristam Stuart che uscirà a giorni ma anche spazio a due diverse esperienze di chi si batte contro lo spreco alimentare utilizzando quello che la grande distribuzione butta ogni giorno nei suoi cassonetti, quello che mense e ristoranti non utilizzano più, tutto il cibo che uscirebbe dal mercato per andare alle discariche. La generosità di questi sforzi rischia di restare un fenomeno isolato se il grande pubblico non ne prende coscienza.

Qualcosa si sta muovendo anche in sede legislativa ed europea ma il cammino è ancora lunghissimo perché trova ostacoli a cominciare dalle politiche europee a sostegno dell’agricoltura locale o norme che impongono di incenerire, con un costo non indifferente, migliaia di tonnellate di cibi ancora commestibili; per la maggior parte sono norme emanate per proteggere qualche categoria di produttori senza tenere conto dei superiori interessi della collettività mondiale. Certo dietro a queste norme ci sono posti di lavoro che rischierebbero di andare persi o pezzi del nostro pianeta che, antropizzati da secoli, se abbandonati a se stessi diverrebbero un pericolo per la collettività con frane e dissesti.

Come che sia, gli sprechi alimentari sono in piccola parte dovuti ai nostri comportamenti diretti – compriamo troppo e buttiamo molto – ma soprattutto a quel che succede lungo la filiera che dal produttore porta al consumatore, lontano dai nostri occhi. Solo quando qualche scandalo scoperchia la pentola veniamo a sapere come stanno le cose o quando un produttore, strozzato dai prezzi, alza la voce. Si sente dunque la necessità di trovare un’autorità di controllo indipendente che vigili sull’intera filiera alimentare nazionale e mondiale. Chi deve muoversi? L’opinione pubblica urbana a difesa del mondo e di sé con un nuovo modo di essere “cittadini” consapevoli.

 

L.B.G.



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