12 ottobre 2009

IO STO CON MARINO


Sì certo, caro Pier Vito, alla nostra età la consonanza con uno “stile tardo” può essere la più immediata, spontanea, logica, cioè, apparentemente, la più naturale. Lo stile è sempre importante, ben oltre la classe …

Ma lo spiegare così la scelta di Bersani, mi ha fatto sussultare. Non lo nascondo: mi ha fatto sentire un certo fuoco interiore. Ma è mai possibile che oggi, a questo punto della nostra storia, di noi milanesi e lombardi, che per 50 anni e oltre, non appena abbiamo avuto l’età della ragione, abbiamo vissuto da vicino, spesso da molto vicino anche quando ce ne siamo stati “al di fuori”, le vicende di questa città e di questa regione, vivendole nel quadro di tutto ciò che succedeva nel mondo e nel Paese, possiamo spiegare una scelta riferendosi allo “stile della persona”?

No, è veramente troppo poco! Non può essere così ! Soprattutto se, come dici tu, quello “stile tardo è dentro il presente, ma ne è stranamente separato”.

Ecco, è proprio per questo che ho visto in Marino, e confermato in Angiolini, l’unica possibilità che così non sia più. Cioè che dentro il presente non ci sia più uno stile tardo e che, dal presente, non si sia più
separati.

Questo è ciò che in realtà volevamo col PD: che l’idea, che in molti ha sempre “covato” dentro una visione di sinistra della politica italiana, cioè di una sintesi tra pensiero e forze politiche diverse, riformiste, liberali, cattoliche, socialdemocratiche, laiche, consentisse di disporre di uno strumento politico capace di essere finalmente adeguato alle necessità di modernità e innovazione, che il nostro Paese ha, così strutturalmente e profondamente.

Cioè un Partito in grado di sviluppare e realizzare “un progetto di futuro” di ampio respiro, capace finalmente di muoversi trasversalmente tra classi e ceti sociali, capace innanzitutto, come base fondante, di scardinare e rompere l’autoreferenzialità, quella che ha condotto progressivamente e sempre più alla “separatezza dal presente”, avendo davanti a sé, in realtà, assai poco di diverso dalla propria sopravvivenza e autoconservazione; esattamente l’opposto di una capacità di governo.

Cercavamo un partito che non si riproducesse più pressoché esclusivamente sull’esperienza e la formazione di amministratori locali o di uomini di apparato. Cercavamo un partito che finalmente a quelle esperienze, comunque importanti e non prescindibili, sapesse connettere in modo dispiegato meriti e valori affermatisi all’interno del contesto sociale, a ogni livello (dall’immigrato al supermanager, dal volontariato all’impresa, dall’operaio – ci sono ancora, eccome – al professionista, dall’impiegato –anche loro ci sono ancora, eccome – al consulente, eccetera eccetera).

Non è andata così perché lo stile tardo, ahimè, è ancora troppo dentro il presente. Le dirigenze e gli apparati DS e Margherita non ce l’hanno fatta ad aprirsi, ad accettare, almeno un poco, di quel tanto che c’era e c’è fuori di essi. Ce l’hanno fatta a mescolarsi tra di loro, questo si, ma era assai più importante che si mischiassero con ciò che stava e sta al di fuori di essi: la linfa della contaminazione, di cui tanto si è parlato, non è scorsa in vene e arterie in via di sclerotizzazione, a volte già sclerotizzate.

D’Alema, Letta, Bindi, Follini, così come Fassino, Cofferati, Marini certamente aiuteranno gli uni Bersani, gli altri franceschini ma, vivaddio, veramente spero che tanti tanti altri con diversità di esperienza, storia e carisma aiuteranno Marino, per un scossa vera. Già alle Primarie! Qui da noi, al Nord, è possibile; qui la modernità c’è, qui il superamento del centralismo, vecchio e nuovo, è veramente indispensabile, qui il federalismo è modello irrinunciabile, qui l’autonomia (vera) è ragione di lotta politica, anche al nostro interno.

Con un’affermazione di Marino, Milano e la Lombardia possono dare al PD quell’impulso di rilancio che ne impedisca, qui da noi, una cristallizzazione a Partito del 20%, inesorabilmente destinato a rafforzare logiche di sopravvivenza e autoreferenzialità.

Spero veramente che si affermi il candidato “meno credibile” per le logiche di apparati, certamente indeboliti, ma ancora ben presenti.

L’hai detto tu, caro Pier Vito, e lo condivido “la gioventù è quando la somma dei desideri supera la somma dei rimpianti”. Personalmente non ho alcun rimpianto per le forme partito del passato: troppo spesso le ho personalmente sentite e vissute come freno e ostacolo per l’innovazione e la modernizzazione. Di queste, com’è stato per tutta la vita, ho ancora gran desiderio, ma di modernizzazione e innovazione che, se veramente tali, non possono essere moderate, né timide, ma convintamente alternative, certamente mai e poi mai, collusive o ammiccanti.

Ha detto bene Marino: i sì devono essere sì, i no devono essere no. I ma, se, forse, vedremo, dopo, chissà, non contribuiscono all’identità; la rendono confusa e incerta e, senza di essa, la perdita di consenso è inevitabile, come gli anni recenti ci hanno ampiamente dimostrato (due milioni di voti persi in Lombardia in pochi anni).

L’identità si definisce nella chiarezza e nel coraggio, riflettendo innanzitutto, nel mio modo di vedere, più che sulla propria identità di partito, su quella, nell’interesse comune, del Paese, ampiamente divenuta confusa e indefinita, a volte persino improponibile, nel lungo tempo del berlusconismo politico e mediatico. Si è persa, più di ogni altra, la nostra identità di Paese industriale, ancora oggi il secondo d’Europa, assai più vicino alla Germania di Francia e Inghilterra. Da ciò deriva la sostanziale marginalizzazione, tra l’altro, delle tematiche inerenti al lavoro e l’impresa, da porre oggi, alla luce della crisi epocale, certamente al primo posto nell’impegno del PD, in particolare nelle regioni del Nord. Avendo, anche in questa direzione, una capacità d’innovazione non espressa nemmeno nelle fasi in cui a noi si riferivano due ministri allo Sviluppo Economico e alle Attività Produttive, troppo spesso anch’essi eccessivamente rivolti al confronto con i livelli istituzionali della rappresentanza, trascurando, di fatto, il rapporto diretto con le realtà dei territori e dei settori produttivi, che, riconoscendosi sempre meno con quei livelli di rappresentanza, hanno consentito ampio spazio a suggestioni individualistiche ed egoistiche, come quelle capillarmente diffuse dal personale politico leghista.

Ignazio Marino e Vittorio Angiolini hanno posto il tema dell’identità come il tema oggi centrale per il PD. Dell’identità in tutte le sue articolazioni, anche in quelle non coperte dalle loro personali esperienze. Sostenerli significa apportare competenze che consentano di coprire ognuna di quelle articolazioni.

Riccardo Sarfatti


 



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