18 marzo 2015

LEONCAVALLO: TRA POLITICHE URBANE INNOVATIVE E VECCHIE IPOCRISIE


Garantire spazi di aggregazione sociale e intraprendere politiche urbane innovative implica la necessità di definire compiutamente obiettivi, attori e risorse. Implica soprattutto la capacità/necessità di costruire percorsi realmente e fattivamente condivisi. Rinunciare a quest’approccio comporta rischi notevoli. La vivacità di queste ultime settimane sulla questione del Leoncavallo ne costituisce un esempio. La questione è stata sollevata dalle intenzioni della Giunta Comunale di Milano di procedere mediante una “permuta immobiliare” alla soluzione di uno storico contenzioso relativo alle modalità con le quali il Centro Sociale Leoncavallo è insediato in un ex edificio industriale della periferia Nord.

05monte11FBIn sostanza, il Leoncavallo occupa dal 1994 illegalmente un complesso edilizio di proprietà di una società appartenente alla galassia del gruppo Cabassi. Oggi il Comune vorrebbe, attraverso appunto uno scambio di immobili, acquisire proprietà e disponibilità del complesso. Successivamente, è prevista la predisposizione di un Bando con il quale saranno stabiliti in modo differito (8-10 mesi), i criteri di assegnazione degli spazi di cui si prevede comunque un uso sociale.

Dal punto di vista della fattibilità dell’operazione le cose sono in uno stato già abbastanza evoluto dal momento che è stata predisposta una proposta di delibera corredata da un parere favorevole della Giunta per la successiva presentazione in Consiglio e una documentazione tecnica relativa alla valorizzazione economica di tutti gli immobili coinvolti nella permuta. Dal punto di vista degli obiettivi, non si può che condividere l’iniziativa che apre ad alcune innovazioni rispetto al passato per diversi motivi.

Il primo è che con questa iniziativa l’Amministrazione apre a politiche sociali che investono attori inconsueti, guardando a luoghi di produzione e consumo culturale fuori da logiche che caratterizzano i tradizionali operatori di mercato; il secondo motivo è riconoscere un ruolo a un soggetto sociale ampiamente radicato con una sua storia e un rapporto consolidato verso alcuni settori della cittadinanza. Ulteriore elemento di innovazione è dato dal fatto di supportare le politiche con strumenti in grado di ottimizzare le pochissime risorse oggi disponibili da parte delle amministrazioni locali. Sul metodo però, ancora non ci siamo e il percorso procedurale che sostanzia la proposta di delibera e i suoi contenuti sembrano costruiti per vanificare lo sforzo e finire in un pantano di ricorsi, polemiche e ripercussioni negative dal punto di vista del consenso.

La proposta di delibera è articolata mediante un solenne cappello introduttivo nel quale si fa riferimento al fatto che l’Amministrazione vuole dar corso a politiche “indirizzate a costruire un modello di città europea” e “affermare il suo interesse a investire sulla creatività, e sull’inclusione sociale” e che “sussiste la possibilità di utilizzare alcuni immobili oggi di difficile gestione sociale e operativa”, “trasformando una situazione d’irregolarità a un’opportunità per la città” e, guarda caso, accidentalmente c’è n’è uno in via Watteau 7 (la sede occupata dal Leoncavallo). Dopo di che il testo della delibera fila via con la descrizione degli aspetti tecnici della permuta immobiliare, concentrandosi sugli “oggetti” dello scambio che, nella contropartita offerta dal Comune, comprende un plesso scolastico in stato di abbandono e degrado (Via Zama) e un edificio residenziale mai completato (Via Trivulzio).

Nel testo della delibera la “politica” scompare e le argomentazioni sono sviluppate come se si trattasse di una qualsiasi permuta immobiliare, corredata, tra l’altro da stime economiche sul valore degli immobili assolutamente virtuali e poco realistiche. Ovviamente, con simili caratteristiche, questa delibera ha aperto notevoli discussioni tra i fautori della permuta e chi invece ne svilisce il profilo declassandola a mera operazione di consenso rispetto a interessi elettorali, anche fuori dal tradizionale e fisiologico perimetro della destra milanese che sulla questione del Leoncavallo ha costruito parte delle proprie fortune politiche. Oggettivamente alcuni elementi di ipocrisia nella gestione del tema ne alimentano le criticità. Personalmente ritengo che questa azione dell’Amministrazione debba essere sostenuta e irrobustita e, proprio per “mettere in sicurezza” il risultato, sarebbe opportuno ridefinirne alcuni aspetti e capovolgendo la sequenza dei passaggi.

In primo luogo, per sgomberare il campo dagli equivoci rispetto a questo tema, è opportuno che prima di qualsiasi ulteriore passaggio la Giunta esprima un “Atto di Indirizzo” o “Linee Guida” in grado di definire in via preliminare le caratteristiche dei soggetti, le finalità, l’uso e il titolo di godimento, le responsabilità civili di chi sarà abilitato a partecipare al bando per l’assegnazione degli spazi, definendo contestualmente ruoli e responsabilità anche dal punto di vista degli oneri economici necessari alla messa in sicurezza e all’utilizzo dei luoghi.

Nella definizione di questa cornice non può, come in quest’occasione, essere saltato il livello istituzionale dei Consigli di Zona che, anche solo in termini di conoscenza dei problemi e dei bisogni della cittadinanza, ha titolo per concorrere ed esprimere gli indirizzi rispetto all’uso di questi spazi. Quest’ultimo passaggio è particolarmente importante poiché pone le basi dello sviluppo futuro della relazione tra questi e la realtà nella quale si inseriscono. Di fatto costituisce il reale salto di qualità nella soluzione di situazioni di irregolarità innescando processi di integrazione e di valore aggiunto rispetto ai quartieri. Al contrario, l’esclusione di questo livello configurerebbe solo la soluzione del conflitto tra “occupanti” e “proprietà”.

Solo ed esclusivamente dopo aver superato questo passaggio eventuali successivi procedimenti attuativi, come quello della permuta, possono essere considerati a pieno titolo “strumenti attuativi” delle politiche dell’Amministrazione, con tutte le assunzioni di responsabilità del caso.

Un ulteriore e non banale aspetto di criticità presente nella proposta di delibera della quale si parla è dato dalla presenza di stime economiche poco realistiche. Queste risultano costruite secondo una logica “virtuale” derivata dall’applicazione di parametri econometrici (Agenzia delle Entrate) che hanno scarso legame con la condizione reale del mercato immobiliare determinando valutazioni “a rischio” di contestazioni in caso di ricorso alla Corte dei Conti, con conseguenze pericolose. Evadere questi passaggi ha un po’ il significato di “travestire” l’azione e le decisioni politiche.

Se la proposta di delibera venisse approvata così com’è oggi, senza i necessari interventi correttivi, i rischi di trovarsi alla scadenza elettorale del 2016 con una situazione mutata solo dal punto di vista della “proprietà” dell’edificio occupato dal Centro Sociale (nel frattempo acquisita con risorse pubbliche) sarebbero particolarmente dannose, spegnendo qualsiasi velleità nello sviluppo di politiche in grado di allargare la disponibilità di spazi sociali e contestualmente incrementare i processi di riconversione di ambiti urbani degradati.

Michele Monte



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