18 marzo 2015

libri – ROBERTO VECCHIONI IL MERCANTE DI LUCE


ROBERTO VECCHIONI

IL MERCANTE DI LUCE

Einaudi, 2014

pp.124, euro 15

libri11FBSintetizzare la vita caleidoscopica di un gigante come Vecchioni è arduo. Sei milioni e mezzo di copie vendute, i suoi album. Autore di canzoni per i big italiani, all’inizio, il successo come cantantautore gli arriva con Samarcanda nel 1977, ma già Luci a San Siro del ’71 l’avevano segnalato. Suo l’inno della amata squadra dell’Inter. Ha ricevuto innumerevoli premi tra i quali il Disco d’Oro nel 2015, il Premio Tenco e il Premio Mia Martini, l’Ambrogino d’oro, la vittoria a Sanremo nel 2011 con Chiamalo ancora amore. Tutto questo non gli preclude la sua fedeltà all’insegnamento del greco per 30 anni presso il Liceo Beccaria di Milano e poi a Desenzano del Garda. Ha una moglie, Daria Colombo, giornalista e scrittrice, Premio Bagutta 2011, e quattro figli, una grande accogliente casa a Maguzzano .

Sei romanzi al suo attivo, più numerosi scritti, collaborazioni, menzioni, un magma di parole all’insegna della cultura, della bellezza, così come la intendevano i suoi amati greci, insuperabili nella poesia e nelle tragedie, nulla a che fare, secondo lui con … Shakespeare.

Una vita di corsa, sempre solidale con le giuste cause, che gli hanno valso il titolo di Angelo, e nonostante problemi di salute, la sua energia pare continui all’infinito. Ha incontrato, nei suoi 72 anni di vita, 80.000 ragazzi di tutte le scuole, comprese le Università, per parlare dell’evoluzione della canzone nei secoli. Potremmo dire “un maestro” Vecchioni, senz’altro il più colto e sensibile cantautore italiano. Sua la voce “Canzone d’autore” nella Enciclopedia Treccani.

E ora questo ultimo romanzo “Il mercante di luce“, una fiaba – allegoria che attraverso il pretesto di una trama dolente, affronta tematiche quali il valore della vita e il mistero della morte, che come un macigno sbarra inesorabilmente la nostra strada di immemori viandanti.

Una crudele malattia, la progeria, ovvero l’invecchiamento precoce, colpisce Marco, l’unico figlio del professore di greco Quondam che, poiché separato, deve affrontare da solo il calvario della scomparsa annunciata e improrogabile del figlio. A soli 17 anni infatti il ragazzo è condannato a morire, essendo 8 anni uguali a uno di una vita normale. Il suo corpo deformato racchiude una mente superiore, al punto che era in grado, solo decenne, di leggere le tragedie greche in lingua originale.

E come quel padre, con un nome premonitore, affronta la tragedia del figlio e anche sua? Ricorrendo, con un colpo di magia alla poesia degli antichi greci, attingendo ai versi memorabili dalla sua prediletta Antigone di Sofocle, ove l’eroina osa opporsi alla Legge del re Creonte, per anteporre la legge del suo cuore, e perciò vuole seppellire il fratello Polinice, considerato un traditore dal re, perché ha assalito Tebe. Ma questo “Non fa differenza nell’al di là” dice la ragazza al re “Io lo seppellirò, niente mi fermerà”.

Il tempo dunque, insieme alla poesia e alla solitudine, sono i grandi temi del libro, quel tempo crudele che corre troppo in fretta per suo figlio, quel tempo che il professor Quondam non sa e non può fermare perché il destino, ananke, è inesorabile e necessario. Ma egli sa che esiste un tempo fisico e un tempo dell’anima, ed è su questo che Quondam punta per dare una dimensione di approccio nuova a suo figlio, che si interroga, impaurito, sulla sua imminente dipartita. E confessa al padre che ha paura, specie la notte E qui lo scrittore si supera citando versi di Saffo.

Perché Quondam sa che la bellezza, la luce della poesia può diradare il buio, diventando mercante di luce. Per poi accorgersi in fondo che è suo figlio mercante di luce, per lui, perché alla fine gli sussurra: ho capito, non ho più paura. Fino al sorprendente finale con il pianto catartico del professore, solo in macchina: anch’egli capisce improvvisamente il valore non discutibile della vita, che lo fa desistere all’ultimo momento da un gesto estremo.

Lasciamo il libro con la bella immagine negli occhi, della copertina di Berengo Gardin, dell’omino che, arrampicato su una scala, accende le antiche lampade della via, in una bruma milanese, e l’exergo “Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro.

Marilena Poletti Pasero

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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