12 ottobre 2009

Scrivono vari 131009


Scrive Elena Sisti. Sono un genitore le cui bambine frequentano la scuola elementare Pietro Micca di via Gattamelata. Il Sig. Kipar dice che “il PGT di Milano non si esprime e laddove si esprime non da indicazioni precise però porta nella sua organizzazione tutti gli elementi costitutivi di un ragionamento da esplorare oltre confine. Partendo proprio dai Raggi Verdi la strategia ambientale che promuove una rete di percorsi pedonali e ciclabili, che innerva di verde l’intero tessuto urbano”. Uno sguardo attento al PGT per la nostra zona evidenzia però un grave controsenso in quanto Viale Scarampo, che attualmente è Strada Urbana di Scorrimento (3 corsie per marcia con spartitraffico), è indicato come “Raggio verde” e struttura secondaria, oltre che Via di Terra, mentre via Gattamelata sulla quale si affaciano 5 istituti scolastici (la scuola primaria e dell’infanzia Pietro Micca, la scuola primaria parificata la Zolla, il micronido Gattamelata, la scuola dell’infanzia e nido Faravelli e tre centri diurni per disabili) è indicata come strada urbana di quartiere.

Per chi vive quotidianamente la zona è evidente che dovrebbe essere il contrario.

Inoltre il tunnel De Gasperi/Gattamelata è programmato da terminare, incanalando quindi il traffico verso la superficie, a meno di cento metri dal “polo” di scuole della zona. Il green design dovrebbe tenere conto della realtà esistente.

Come genitori della scuola presenteremo i commenti al PGT nei termini prescritti dalla legge, ma mi piacerebbe tanto accompagnare chi ha progettato i raggi verdi a vedere la zona.

Grazie mille per il servizio che ci fornite e per le informazioni sempre aggiornate e attente.

Risponde Andreas Kipar. Cara Signora Sisti, mi scuso per il ritardo dovuto a un mio viaggio fuori Italia.

Ricevo la Sua lettera e non posso darLe torto visto che anch’io conosco bene la Sua zona.

Il RaggioVerde come pensato fin dall’inizio insieme all’AIM più che una strada con pista ciclabile è un ambito di riferimento per una più ampia valorizzazione e messa in rete di quanto già presente sul territorio comunale. Il PGT traccia questa linea con ambito e lascia a ulteriori approfondimenti la sua realizzazione.

La mia collaboratrice Arch. Camilla Mancini, se lei lo desidera, Le può mandare un primo approfondimento per la Sua zona.

sekretariat@kiparland.com

Scrive Martino Liva. Caro Direttore, mi piacerebbe sottoporre all’attenzione dei lettori di Arcipelago Milano alcune considerazioni sulla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato, in quanto incostituzionale, il cd. “Lodo Alfano”, ovvero la legge 124/2008. Chissà che ne possa nascere un dibattito su queste colonne. E’ bene sottolineare che nell’apprestarsi a commentare una sentenza si dovrebbero attendere le motivazioni della Suprema Corte, che usciranno solo tra una decina di giorni, ma già alcune cose possono essere dette. Quando la Corte, all’inizio del 2004, bocciò il cd. “Lodo Schifani” ne rilevò il contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. L’art 3, com’è risaputo, esprime l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, mentre il 24 esprime il principio del diritto di difesa che è “inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, ed era violato poiché la sospensione dei processi verso le alte cariche dello stato era automatica, generalizzata e di durata non determinata. Così se una delle cinque alte cariche avesse voluto continuare il processo per cui era imputato al fine di un accertamento giudiziale della propria innocenza, non avrebbe potuto. Tuttavia in quella sentenza (24/2004), la Corte disse apertamente che “l’assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni (.) è un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello stato di diritto”. Dunque i giudici non ritennero avventato che si voglia offrire una copertura a chi governa il paese, ma questo, solo nel rispetto dei principi di uno stato di diritto. E poi, con che percorso legislativo?

Com’è noto in quella sentenza (24/2004) la corte non si espresse sulla necessità di una legge costituzionale, ma non per una dimenticanza o per incoerenza, come erroneamente oggi i sostenitori del “lodo Alfano” le imputano, ma semplicemente perché la Corte valuta l’incostituzionalità delle leggi che le sono sollevate, in base a quei parametri che le vengono proposti da chi propone il giudizio di fronte ad essa. Il vecchio “lodo Schifani”, fu impugnato per presunta violazione degli art. 3, 24 e altri (in particolare il 101, 112, 68, 90 ecc), tra cui però, non figurava il 138, che disciplina l’iter per una legge costituzionale.

La corte quindi si limitò a bocciare quella legge, confrontandola, come abitualmente fa, con i rilievi che le furono sollevati da chi (il tribunale di Milano) impugnò il lodo Schifani. Infatti, la Corte Costituzionale non agisce sua sponte, ma deve attendere che la questione sia sollevata, nell’ambito del giudizio in corso, dal giudice o da una delle parti in causa.

Quindi quando il nostro Ministro Alfano critica la Corte d’incoerenza, sostenendo che “la necessità di una legge costituzionale era un argomento preliminare e risolutivo che si doveva indicare prima e non oggi” si dimostra poco attento ai meccanismi di funzionamento della Corte. Allora, infatti, non venne indicato il parametro dell’art 138, oggi sì. E oggi la Corte, pur ritenendo, credo, ancora valido il principio per cui l’assicurazione di quel sereno svolgimento delle funzioni alle alte cariche non sia una bestemmia giuridica, ci dice espressamente che quel principio deve tener conto del nostro articolo 3 e deve essere inserito con una legge costituzionale.

Nell’attesa delle motivazioni, in pratica, l’ammonimento della nostra Suprema Corte è che se si vuole fare una deroga al principio di eguale sottoposizione di tutti alla giurisdizione penale, questo deve essere fatto con legge costituzionale e con l’iter parlamentare lungo e complesso previsto dal nostro articolo 138.

Il nostro Stato, infatti, come spesso ha ricordato la Corte stessa, può accettare che situazioni diverse possano implicare differenti normative, ma di fronte all’uguaglianza davanti alla legge ci si deve fermare, oppure, se si procede, dobbiamo scrivere espressamente nella nostra Costituzione (e non in una banale legge ordinaria) che accettiamo che chi ci governa sia giudicato, ma solo a fine mandato.

Risponde il direttore. Caro Liva, sono totalmente d’accordo con quello che lei scrive ma soprattutto sul fatto che ormai al governo siedono persone che troppo disinvoltamente  raccontano i fatti come piacciono loro, tra travisamenti e omissioni. Aggiungerei una cosa: il nostro premier, senza che nemmeno l’opposizione obbietti, dice di essere stato eletto dal “popolo”. Certo è stato eletto dal popolo come qualunque altro deputato al parlamento. È diventato capo del governo dopo aver ricevuto l’incarico dal Presidente della Repubblica ed essere andato davanti alle camere. Come tutti quelli che lo hanno preceduto. Bisognerebbe ricordarglielo più spesso.

Scrivono Enrico Murtula e Sergio D’Arienzo In una delle passate edizioni di Arcipelago avevamo evidenziato che, per farsi un’idea generale della proposta del PGT di Milano, fosse utile iniziare dalla “Tavola Progetto Strategico” (allegato 4 del Documento di Piano), laddove, avevamo scritto, sono anche indicate “le aree dotate di indici edificatori che dovranno essere trasferiti altrove nell’ambito della perequazione (Bosco in Città, Parco Sud, Idroscalo) ”.

Orbene, l’articolo 5, paragrafo 1.2.1 delle Norme Tecniche di Attuazione del Documento di Piano (pag. 368 di tale documento) riconosce un “indice di utilizzazione territoriale” pari a 0,20 mq/mq per gli “Ambiti di Trasformazione Periurbana” (comprendenti, tra l’altro le aree del Parco Sud), ma è inesatto affermare che tale indice “debba” essere trasferito altrove.

Il trasferimento dell’indice rappresenta solo una possibilità, peraltro auspicata dall’Amministrazione comunale.

Cosa succede allora se il suddetto indice (peraltro rilevante in quantità) non viene trasferito? Dove si potrà costruire, in primis nel Parco Sud?

La risposta non è del tutto chiara, posto che le suddette Norme Tecniche di Attuazione (articolo 5, paragrafo 1.2.2) demandano la disciplina edificatoria di tale area al Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Sud

e che le schede d’ambito del Documento di Piano (Allegato 3, “Schede di indirizzo per l’assetto del territorio e tabella dati quantitativi”) non indicato previsioni di nuova urbanizzazione.

Tali previsioni sono tuttavia desumibili dalla documentazione afferente alla Valutazione Ambientale Strategica: è sufficiente al riguardo esaminare l’Allegato 2 del Rapporto Ambientale (“Caratterizzazione degli Ambiti di Trasformazione ed effetti attesi. Schede”) per vedere che talune aree sono già definite “di possibile concentrazione fondiaria” (Allegato 2 cit.; per l’ambito “Bosco in Città” le pagg. 166-174, per “I Navigli” le pagg. 175-182, per le “Abbazie” le pagg. 183-192.)

Scrive: Giorgio Ragazzi. Partire o arrivare alla Stazione Centrale di Milano è un incubo, per chiunque non abbia la fortuna di potersi spostare col metrò. Non esistono parcheggi nelle vicinanze, e anzi è ormai addirittura impossibile raggiungere luoghi ragionevolmente vicini per chi voglia accompagnarvi qualcuno in auto. Per chi non possa usare il metrò restano ovviamente i tassì, quando si trovano, ma con tariffe tra le più alte d’Europa che incrementano di molto il costo totale del viaggio. Ed anche i tassì non sono proprio a portata di mano. Fino a qualche tempo addietro i tassì potevano sostare sotto il portico antistante, costruito quando si pensava alla comodità dei viaggiatori, ed anche le auto potevano arrivare e sostare brevemente proprio davanti alla stazione. Oggi, davanti alla stazione c’è un vasto piazzale (pedonale) sostanzialmente vuoto e totalmente inutile. E’ difficile capire a quale modello ci si sia ispirati per tali cambiamenti, per di più costosi; certamente non alla fruibilità di una struttura che dovrebbe innanzi tutto servire a facilitare la mobilità e non a perseguire astratti concetti di bellezza.

Una volta raggiunta poi l’agognata destinazione comincia la tormentosa trafila per acquistare il biglietto. Per accedere alla biglietteria c’è sempre una coda che implica come minimo 15 minuti di attesa; non molto meno s’impiega per comprare il biglietto dalle apposite macchine: anche qui c’è la coda, essendo queste in numero del tutto insufficiente. Succede poi che, raggiunto il proprio turno, la macchina cessi di funzionare per qualcuno dei numerosi difetti, e allora si deve riprendere altrove la fila.

Mentre le ferrovie investono enormi somme, migliaia di miliardi, per accorciare di pochi minuti i tempi di percorrenza dei treni con l’alta velocità, ben poca cura viene dedicata ai tempi richiesti per arrivare da casa al treno. Con pochissima spesa si potrebbe invece ridurre di molto il tempo (e il costo) per il viaggiatore, per il quale ciò che conta è appunto il tragitto da casa a casa, non da stazione a stazione. Ma evidentemente la dirigenza è molto più interessata ai mega appalti che al povero piccolo viaggiatore.

Sino a poco tempo addietro, entrando in stazione si aveva davanti la biglietteria; oggi ci sono boutiques e negozi di gioiellieri, come se uno andasse in stazione per fare shopping, e tanti spazi pubblicitari. La ristrutturazione delle stazioni, non solo a Milano, è gestita seguendo il modello consumista, ritenuto e proposto come il nuovo, il moderno, il futuro. In passato ci si preoccupava solo di agevolare chi si recava in stazione per viaggiare. Oggi si vuole “valorizzare” le stazioni, per incrementare le vendite di ogni tipo. Ma siamo sicuri che anteporre il profitto all’utilità sociale sia il modo migliore per “proiettarsi nel futuro”?



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