11 marzo 2015

musica – DELUSIONI E CONSOLAZIONE


 

DELUSIONI E CONSOLAZIONE

Nel mondo della musica classica si ha la sensazione che qualcosa non funzioni più tanto bene: che sia il vorticoso correre di solisti e direttori da un teatro all’altro da una parte all’altra del mondo, che sia il bisogno di apparire – e dunque anche di “scandalizzare” – per far parlare di sé a tutti i cosi, che sia infine un pubblico meno esigente, più facile e disponibile a lasciarsela raccontare, fatto sta che la qualità complessiva dei concerti che in questo momento arrivano a Milano lascia troppo spesso a desiderare. Metto insieme tre vicende dell’ultima settimana.

Prima. Cominciamo dal concerto della Filarmonica della Scala di lunedì 2 marzo che doveva essere diretto da Myung-Whun Chung e che è ha visto invece sul podio Christoph Eschenbach con un accattivante programma che prevedeva due immensi capolavori del romanticismo tedesco: la Sinfonia n. 4 – l’Italiana – di Felix Mendelssohn e la prima Sinfonia di Johannes Brahms.

Ho sentito la cosiddetta “prova aperta” del giorno prima – una nobile iniziativa che avvicina alla musica coloro che non possono permettersi i prezzi standard dei concerti scaligeri e che consente al pubblico più interessato di entrare “in cucina” a vedere come si prepara un programma di musica sinfonica – e ne sono rimasto sostanzialmente sconcertato: era la sera precedente il concerto, due ore e mezzo di duro lavoro con continue interruzioni e ripetizioni, sembrava più una “prima” prova che non la prova “generale” della vigilia.

Una sensazione fastidiosa di scarsa intesa fra direttore e orchestra, di rattoppi inventati all’ultimo momento, di equilibrismi per arrivare in qualche modo alla fine di ogni pezzo. Poi tutto si sarà “aggiustato”, perché i nostri filarmonici non sono di primo pelo, e la sera dopo se la saranno sicuramente cavata con decoro; ma è corretto? Mi pongo questa domanda: si va alla Scala per ascoltare l’ennesima lettura, ripassata alla bell’e meglio dall’orchestra, di lavori che già conosciamo a memoria, oppure ci si va per ascoltare una nuova interpretazione che facendo tesoro di quanto già si è conosciuto e capito di quella musica ce ne faccia scoprire risvolti inediti, ci proponga nuovi approfondimenti, ci consenta di migliorare la comprensione di quei capolavori la cui caratteristica essenziale – ricordiamolo – è proprio quella di mutare perennemente con il continuo evolvere della nostra sensibilità e delle nostre conoscenze? Non dovrebbe essere ogni volta una prima volta, una prima assoluta?

Seconda. Un invito molto attraente a un concerto di musica da camera (violino e pianoforte, magnifico il programma con Bach, Mozart e Beethoven eseguiti da due magnifici e noti musicisti) in un bel castello non lontano da Milano; non faccio nomi – né di luoghi né di persone – per non aggiungere umiliazione a umiliazione. Si comincia con i saluti di Sindaco e Assessore, poi gli interventi di un giornalista che racconta la storia del castello seguito da una “presentatrice della serata” che si dilunga oltre misura su una esposizione di quadri nelle sale adiacenti; il tutto condito con barzellette, aneddoti e facezie varie.

Il tempo per il concerto nel frattempo si è sensibilmente eroso, il pubblico comincia a diradarsi, e finalmente, a serata quasi conclusa, violinista e pianista salgono sul palco e davanti a un pubblico esausto, dopo aver deciso di ridurre il programma eliminando Bach (!),riescono a eseguire e a portare faticosamente a termine la Sonata in mi minore di Mozart e la Sonata “a Kreutzer” di Beethoven. Come si fa a suonare musiche così importanti e fondamentali – veri pilastri nella storia della musica da camera – in tale stato di disagio? Sembravano ritornati i terribili tempi in cui il giovane Amadè veniva preso a calci dal conte Arco, gran ciambellano della corte del principe-vescovo di Salisburgo (“… e non mi metta alla porta con un calcio nel culo … ma dimenticavo che forse l’ha fatto per ordine di Sua grazia! …”) e doveva trasferirsi a Vienna per recuperare un po’ di dignità e di rispetto per la propria arte!

Terza. Il concerto del giovane polacco Rafał Blechacz (trent’anni) al Conservatorio per la Società del Quartetto; tecnica invidiabile, non una nota sbagliata, scrupolosa fedeltà ai segni dinamici della scrittura musicale, insomma un vero gioiellino. Mancava una cosa sola: la musica. Credevamo di ascoltare il Concerto Italiano di Bach, la Patetica di Beethoven, Notturni, Valzer e Mazurche di Chopin, ma non era vero. Ascoltavamo solo le note che quelle musiche compongono, ma non c’era lei, la musica. Incredibile. E il pubblico, ovviamente, in visibilio. (Se volete fare una esperienza simile andate su You Tube e ascoltate la ventisettenne pianista giapponese Yuja Wang – la stessa che a fine febbraio, con Daniele Rustioni sul podio della Scala, si è cimentata nel Concerto in sol maggiore di Ravel – che registra “La Valse” dello stesso Ravel a una velocità supersonica e un ritmo stordente da discoteca … !)

musica10FBConsolazione. Per fortuna poco prima di andare in stampa, come si dice, ho ascoltato un concerto di grande charme all’Auditorium di largo Mahler: un musicista finlandese molto versatile, Olli Mustonen, che avevamo sentito tempo fa a Milano in qualità di pianista ma non aveva suscitato grande entusiasmo, ha diretto e in parte eseguito un magnifico programma tutto mozartiano, e tutto nella radiosa tonalità del re maggiore, esprimendo – e trasmettendo all’orchestra Verdi sempre pronta farsi contagiare – un’allegria e una gioia di vivere a dir poco spumeggianti.

Mustonen, che nasce clavicembalista, ha eseguito il penultimo Concerto di Mozart per pianoforte e orchestra (il n. 26, K. 537 detto “dell’incoronazione”) con una grazia e una civetteria che solo in alcune opere del grande salisburghese – quelle cosiddette “di circostanza” – si possono immaginare e godere: usando pochissimo pedale e staccati mozzafiato a una velocità impressionante ma nient’affatto virtuosistica il maestro-direttore, sfidando la naturale diffidenza verso il doppio ruolo, ha dato corpo al carattere festoso e solare di un pezzo sempre e ingiustamente trascurato per la sua apparente lievità. E fra il Concerto n. 26 e la celeberrima Sinfonia n. 38 (la “Praga“) con cui ha concluso il programma, ha avuto la genialità di inserire la Serenata Notturna K. 239 per un doppio organico, inusuale e gradevolissimo, composto da un quartetto d’archi (2 violini, viola e contrabbasso) dialogante con una piccola orchestra di archi e l’aggiunta del timpano. I solisti della Verdi sono stati così bravi da sentirsi reclamare un bis dal pubblico deliziato.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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