4 marzo 2015

LA SCADENZA ELETTORALE E LA RISCOPERTA DE ”L’ASSESSUR”


Nella pirandelliana sceneggiatura della commedia “Pisapia si ricandida o no?” ricompare sulla scena una storica figura della politica milanese: l’assessore. Protagonista della politica amministrativa, il suo peso politico era diventato con l’elezione diretta del sindaco, modesto per non dire insignificante. Si prenda il caso Boeri: nonostante il numero di preferenze e il partito di appartenenza è stato messo alla porta come un qualsiasi seccatore, vicenda un tempo impensabile.

02marossi09FBLa ricomparsa del ruolo politico dell’assessore corrisponde a un evidente autoridimensionamento del sindaco. Pisapia dopo aver affermato con fiero cipiglio nei primi anni della sua sindacatura, una leadership indiscussa rispetto ai partiti e al popolo della coalizione che lo aveva sostenuto, è parso via via disamorarsi del suo ruolo delegando sempre più ai suoi fedelissimi assessori prima sul terreno amministrativo e oggi anche sul terreno politico. L’ultima uscita strategica del nostro è ancora quella agostana “del ponte” che ricorda quello di Nikita Chruščëv “Gli uomini politici sono uguali dappertutto. Promettono di costruire un ponte anche dove non c’è un fiume“.

I sindaci Barinetti (1903/1904), Bassano Gabba (1909/1910), Emanuele Greppi (1913/1914), Emilio Caldara (1914/1920), Angelo Filippetti (1920/1922), Virgilio Ferrari (1951/1961), Gino Cassinis (1961/1964), Aldo Aniasi (1967/76), Carlo Tognoli (1976/1986), Paolo Pillitteri (1986/1992), (cioè quasi tutti quelli eletti democraticamente) furono assessori nelle giunte precedenti. A decine si contano gli assessori divenuti parlamentari. Ispiratori e realizzatori agli inizi del secolo scorso di politiche comunali ancor oggi caratterizzanti Milano, furono assessori personaggi come: Virgilio Brocchi, Giovanni Gay, Luigi Majno, Cesare Marangoni, Ugo Guido Mondolfo, Carlo Radice Fossati, Alessandro Schiavi, Alberto Tibaldi, Claudio Treves.

In particolare per la sinistra di allora il consiglio comunale era non solo una vera e propria fabbrica di dirigenti ma anche il più importante luogo di approfondimento e sperimentazione concreta del riformismo. Per questo Turati fu consigliere a Palazzo Marino per ventuno anni. Gli assessori ovviamente hanno impersonato anche tutte le contraddizioni della politica, basta ricordare quell’Ernesto Schiavello, assessore e vicesindaco comunista che fu artefice (“gli amministratori socialisti devono governare per il trionfo del comunismo, indipendentemente e contro alle leggi vigenti“), insieme ai fascisti della fine dell’esperienza riformista a Palazzo Marino ma che fu poi resistente e dirigente del Partito d’Azione.

Chiusa la parentesi dei podestà, nel dopoguerra la tradizione riprese senza soluzione di continuità ad esempio con Craxi che fu assessore e senza quella esperienza difficilmente avrebbe potuto ambire al ruolo di leader che ebbe. Assessori furono: Luigi Meda, Piero Bassetti, Mario Venanzi, Nicola Abbagnano, e tanti altri di cui riparleremo un dì.

Dagli anni ’60 oltre che protagonisti della vita amministrativa gli assessori furono anche la spina dorsale dei partiti, tant’è che venne coniato il termine, non encomiastico di “Partito degli assessori”. Toccava a loro infatti mantenere il contatto con l’elettorato organizzato, le categorie, le lobby, le corporazioni, i comitati, i sindacati, e in genere tutte le rappresentanze strutturate; mentre al sindaco e al partito competeva l’elettorato d’opinione. Costruire clientele divenne spesso l’altra faccia dell’attività dell’assessore, vi furono così i paladini dei taxisti, quelli degli ambulanti, dei parrucchieri e via dicendo; la preferenza divenne l’unità di misura del potere politico.

La riforma presidenzialista dell’amministrazione inizialmente normalizzò la situazione riconducendo il potere di nomina nelle mani dei partiti e del sindaco indipendentemente dal numero di preferenze ottenuto. L’assessore divenne con le giunte Formentini (dove predominava il ruolo del partito), Albertini (dove predominava il ruolo del sindaco) e Moratti (dove predominava il ruolo dei clan) una figura minore, un esecutore, un tecnico. Esemplare in questi anni il ruolo di De Corato per anni vicesindaco e assessore, che pur provenendo dalla tradizione di un partito fortemente ideologizzato della prima repubblica come l’MSI non ha mai avuto alcun significato politico. La crisi del ruolo dei partiti con l’affermarsi delle primarie ha reso ancor più assoluto il ruolo del sindaco.

Negli ultimi mesi però a Milano molto è cambiato. Con la sempre più probabile “diserzione” di Pisapia, gli assessori confortati da un giudizio sul loro operato complessivamente positivo nell’opinione pubblica oltre che in base a un principio di autoconservazione si muovono. Ma come?

Innanzitutto facendo fronte comune contro le ingerenze esterne in particolare quelle dell’unico partito sopravvissuto: il PD. Che ne siano iscritti o che ne siano concorrenti tutti rimarcano l’autonomia e la superiorità della squadra di Palazzo Marino e vedono nel partito solo orde di aspiranti sostitutori. Si spiega anche così la totale assenza di polemiche e anzi la solidarietà incrociata in giunta e la fredda cortesia con cui è stata accolta la proposta di Bussolati “Oggi raccogliamo da democratici la sfida di saper coniugare i risultati dell’attività dell’Amministrazione Pisapia con il nuovo impulso proveniente dalle riforme del Governo Renzi” parole che hanno generato orrore e brividi in parte della giunta.

Con un po’ di fantasia gli assessori di Pisapia si possono poi dividere così:

Categoria passavo di lì per caso o della filosofica indifferenza. Francesca Balzani, Chiara Bisconti e Francesco Cappelli, godono di rara e centellinata ottima stampa, di buona reputazione e sono tenuti in grande stima da tutti vuoi per il lavoro che fanno vuoi perché totalmente privi di qualsivoglia ambizione politica e scarsamente invadenti, quasi invisibili. Non alieni però dal continuare il loro lavoro anche nella prossima giunta.

Categoria se non c’è Pisapia ci siamo noi sulla stessa linea o la “guardia imperiale”. Nient’affatto invisibili, competitori del PD, diffidenti verso Renzi, fautori del “pas des ennemie à gauche” stanno costruendo una nuova lista e nel caso di abbandono di Pisapia un nuovo sindaco, magari anche di area PD, ma scelto da loro. D’Alfonso, Benelli, Tajani (l’assessore con il gradimento individuale più alto di tutti), insieme agli assessori occulti (cioè a dire lo staff del sindaco) sono il gruppo più politico e ambizioso che intende non solo scegliere i candidati ma anche indicare una linea politica eterodossa rispetto al renzismo. Una sfida senza possibilità di pareggio.

Categoria il PD c’est moi o col 40% decidiamo noi. Maran, Granelli, renziani riflessivi, si contendono il ruolo di leader futuri del PD cercando di assicurarsi la maggioranza del gruppo dirigente milanese contando sul fatto che han fatto bene il loro lavoro, che sono sempre in linea con il segretario nazionale di turno, che vorrebbero continuità politica ma non si scandalizzerebbero di imbarcare i centristi e che non vogliono mettere in discussione le gerarchie parlamentari locali. Un tempo si sarebbe detto: “pensano al congresso”. Variante dello stesso schema Rozza e Del Corno puntano a rappresentare in giunta una delle minoranze (un tempo si sarebbe detto correnti, visto che ci sono anche minoranze renziane) del partito. Tutti devono guardarsi dalla vivace concorrenza interna, che al grido si poteva fare di più, proclama necessaria una ulteriore rottamazione.

Categoria sono ancora l’enfant prodige de la gauche o il solista. Per metà nel PD per metà arancione, movimentista per natura, il più critico sul governo, titolare della più nobile mission del Comune di Milano: l’assistenza, dove ha riportato slancio e intelligenza e non fa rimpiangere i suoi predecessori illustri (cioè il gotha della politica comunale di questo secolo), Majorino ha poca truppa al seguito e può candidarsi a mediatore tra i vari protagonisti e a garante delle alleanze a sinistra. Una specie di sinistra indipendente dei giorni nostri. Compito arduo e impervio.

Categoria mi pare ovvio che tocchi a me o della gerarchia. La vicesindaco decisionista e apprezzabilmente poco diplomatica, sembra ritenersi l’erede naturale e la garante della continuità politico-amministrativa. Tesi apparentemente condivisa da pochissimi, quasi nessuno. Ma la politica è piena di outsider di successo.

 

Walter Marossi

 



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