4 marzo 2015

musica – ASCOLTARE LA MUSICA


In un filmato che ha girato a lungo su YouTube veniva mostrato un giovane bravissimo violinista che, in abiti dimessi e nel totale disinteresse del pubblico dei passanti – che si guardavano bene da versare l’obolo richiesto – eseguiva una musica meravigliosa all’angolo di una strada. Non lontano da lui si vedeva un assembramento di persone che, altrettanto disinteressate, erano in coda al botteghino di un teatro; lo stesso teatro in cui, di lì a poco, lo stesso violinista avrebbe eseguito quello stesso programma mandando in visibilio le stesse persone che avevano pagato i biglietti a cifre iperboliche. Come dire che “se non si paga non si gode”. Ma è proprio così?

musica09FBLa morale, un po’ diversa, è che per essere capita ed apprezzata la musica deve essere ascoltata in uno stato di grande concentrazione e di profonda consapevolezza, altrimenti è facile che – a prescindere dalla sua intrinseca qualità – venga confusa fra i tanti rumori e suoni che ci circondano. Anche il prodigioso canto di un uccello non viene apprezzato e goduto se non si è nel silenzio, possibilmente soli, con la mente già tesa ad ascoltare i suoni della natura.

Non vorrei inimicarmi le potenti case discografiche, ma non credo che la diffusione della grande musica registrata abbia contribuito seriamente alla sua comprensione; anche se i dischi a furia di ascoltarli ci permettono di mandare a memoria i temi e ci mettono nella condizione di canticchiarli disinvoltamente, e magari anche di riconoscerli, ho sempre dubitato che l’ascolto dei CD in casa o in automobile aiuti a comprendere bene la musica e quindi a goderne in profondità. Con tutte le possibili eccezioni la mente riesce a concentrarsi sulla musica solo se si è in un luogo deputato all’ascolto, se non si è disturbati da altri pensieri, se nulla ci distrae, neppure la tosse dei vicini. E poi, difficile forse riconoscerlo, anche l’occhio sugli strumenti o sui gesti del direttore aiuta non poco a “penetrare” il senso di ciò che si ascolta.

Mi ricorda Stefan Coles, grande violinista promotore e direttore della “Accademia Europea di Musica” di Erba (www.accademiadimusica.org) che il grande Sergiu Celibidache si è sempre rifiutato di registrare considerando il disco una “conserva musicale” e che oggi, con il digitale, tutto ciò che ascoltiamo è manipolato per eliminare ogni imperfezione e dunque i suoni che ascoltiamo sono più quelli dei computer che non quelli dello strumento. Per buona pace degli ascoltatori-intenditori!

Quanto agli impianti di riproduzione del suono ad alta fedeltà – sempre più sofisticati e sempre più sorprendenti per la capacità di restituire distintamente il suono di ogni strumento dell’orchestra, i dettagli del tocco di una tastiera o della voce di un soprano – credo siano una sorta di grande imbroglio. A parte la finta “fedeltà”, più ci viene ammansita l’apparente “veridicità” dei suoni – apparente perché i suoni in teatro si impastano, risentono degli echi della sala (una diversa dall’altra), e d’altronde sono nati per essere ascoltati proprio così – più ci si distrae dal vero contenuto della musica: è come ascoltare la voce troppo suggestiva di un attore che ci distoglie dal senso delle parole, o essere presi dalle immagini troppo belle di un film che distraggono dalla storia che stanno narrando. Se si vuole andare al fondo della percezione non si deve essere distratti neppure dall’eccellenza dei mezzi della comunicazione.

La fortuna di avere a portata di mano le sale da concerto e i teatri dell’opera – una fortuna che tocca una piccola percentuale dell’umanità – dovrebbe farci riflettere sulla differenza abissale fra musica registrata, ovunque e comunque la si ascolti, e musica dal vivo ascoltata nelle sale adatte, e farci comprendere come la prima non sia neppure un surrogato della seconda ma sia addirittura fuorviante per la sua capacità di assuefarci e di toglierci l’attenzione non solo rispetto al testo (quando ci è “troppo” noto) ma anche rispetto alla sua esecuzione (in quanto condizionati da quella che – ascoltata troppo spesso – assurge a valore di oggettività).

È interessante osservare cosa accade quando – secondo una bella abitudine che si va diffondendo in questi anni – si ascoltano in concerto le musiche dei film. Si pensi alle musiche di Prokof’ev per i film di Ejzenštejn o quelle di Rota per i film di Fellini. Ne conosciamo a memoria i temi eppure in concerto è come fosse la prima volta che le ascoltiamo “in quanto musica”. Le avevamo ascoltate come colonne sonore – dunque in secondo piano rispetto all’interesse della vicenda narrata dal regista – e le riscopriamo daccapo quando ci concentriamo solo su di esse. Una vera rivelazione.

In un certo senso è quanto ci accade quando ascoltiamo dal vivo una musica che conosciamo molto bene grazie ai CD. È come se finalmente ne scoprissimo l’intimità, riuscissimo a guardarla negli occhi, a penetrarne l’anima.

 

Con l’augurio che Paolo Viola torni presto a curare la “sua” rubrica, riproponiamo un contributo del 2012, sempre attuale.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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