4 marzo 2015

la posta dei lettori_04.03.2015


Scrive Gregorio Praderio a proposito dei prezzi delle case e dei terreni – Rileggendo le varie risposte alla “provocazione” di Marco Ponti (liberalizzare l’edificabilità per abbassare i prezzi delle case) mi sono reso conto che c’è un’importante considerazione che è un po’ rimasta nella penna. Come noto infatti i prezzi dei beni sono dati dall’incontro fra domanda e offerta. Al crescere dell’offerta disponibile sul mercato, diminuiscono anche i prezzi: è questo il caso di molti beni deperibili (tipo gli alimentari), per cui ad esempio nella stagione delle zucchine avrò molte zucchine sul mercato e quindi prezzi bassi (mi scuso dell’esempio un po’ banale). Per i beni non deperibili non è così, e quindi se sono il proprietario di una miniera di diamanti o di un giacimento di petrolio, avrò l’interesse a portare sul mercato la quantità minima di beni che non ne fa abbassare il prezzo.

Per i diritti edificatori è così? Tutto dipende da come vengono scritte le leggi e i piani regolatori. Se il diritto non è conformativo ed è soggetto a decadenza, c’è interesse del proprietario a metterlo sul mercato e quindi a fronte dell’abbondanza dell’offerta, i prezzi dovrebbero diminuire. Ma se i diritti edificatori vengono nascosti nel Piano delle Regole o nel Piano dei Servizi e sono quindi validi a tempo indeterminato (si vedono tanti PGT dove bei campi di grano sono classificati TUC, tessuto urbano consolidato!), allora il diritto viene tesaurizzato e non va sul mercato (se non “goccia a goccia”) e se pur abbondante, non fa diminuire i prezzi (ma in compenso diminuisce l’appeal degli incentivi volumetrici).

Tutti diritti a scadenza, quindi? Anche così non sarebbe giusto, perché in questo modo il valore dei terreni dipenderebbe troppo dai capricci degli amministratori e nessuno investirebbe nel lungo periodo. Credo quindi che quello che servirebbe è un bel “mix”: diritti “minimi”, stabili nel tempo (decisi con legge statale, a mio parere); forti incentivi, traslazioni ecc. decisi a livello locale, ma con validità a tempo determinato.

Sul “consumo di suolo”, infine. Certo, non è un valore assoluto (tutte le nostre città, in fondo, sono state costruite su terreni vergini, all’origine). Ho anche dei dubbi su una legge regionale che si propone per il 2050 un’occupazione netta di terreno “pari a zero” (chi può dire cosa ci sarà allora?). Ma qui ed ora il tema principale è quello del recupero dell’esistente.

 

Scrive Michele Palma a Gregorio Praderio a proposito dei prezzi dei terreni – Basterebbe che la vicesindaco avesse prescritto: dopo due o tre anni, ciccia i volumi non ci sono più. Allora sì che le case si sarebbero costruite e calmierate!

Replica Gregorio Praderio – Sono abbastanza d’accordo (con le precisazioni della mia precedente nota). Ma, volendo, potrebbe ancora farlo. Anzi: basterebbe (in parte) forse anche solo l’effetto-annuncio.

 

Scrive Gianluca Bozzia a proposito dei risultati della giunta Pisapia – Io ho lavorato per fare eleggere Pisapia, ma Moratti ci ha portato Expo, nel bene o nel male. Questi risultati diffusi di Pisapia di cui parla Bisconti dovrebbero metterli in fila bene, confrontarli con i propositi e rendere conto, pubblicamente e complessivamente, magari prima delle prossime elezioni. O no?

 

Scrive Vito Antonio Ayroldi a proposito delle aree Expo – Egregio Direttore, è sicuramente colta, magari persino intelligente la fuffa del brand Milano, ma sempre fuffa resta. Colgo l’occasione per farle un esempio. Lei che è uomo di mondo, che viaggia e che osserva è proprio così sicuro del valore aggiunto della prossimità fisica degli Istituti universitari? Lo scrivo a proposito dalla proposta dell’Università sulle aree dell’Expo; ultimo grido di una finanza pubblica con l’acqua alla gola. Nient’altro.

È pensabile che il business dell’innovazione fondato sul web 2.0 che consente la collaborazione tra ingegneri dislocati persino in India con fusi diversi, in progetti di massima complessità sia ancora così significativamente agevolato dalla prossimità fisica degli addetti. Serrati uno accanto all’altro senza avere nulla da dirsi. Perché così va la ricerca in questo paese. Cosa che, la prego di comprendermi, non nego abbia qualche minima valenza logistica, ma i vettori del valore determinanti nell’economia digitale non sono quelli che vagheggia l’ottimo Vitale. L’economia digitale non cerca palazzine, viadotti, strade, parcheggi, tutto quello che può offrire il dopo Expo buttandoci sopra, naturalmente, l’ennesima pacchettata di mln di euro.

L’innovazione cerca due cose: idee e un mercato disposto a consumare. A Milano ce ne sono. Forse è uno dei pochi posti in Italia dove pur non abbondando come si crede ancora ci sono. Provi a parlare con qualsiasi Venture capital e l’ultima cosa che le chiederà è un posto infrastrutturato ma in “coda ai lupi” dove andare a dislocarsi. Cercano idee caro Direttore. E quello attiene molto di più a come si fanno i concorsi universitari ad esempio. A come si retribuiscono i ricercatori, che altrimenti i più bravi vanno in Germania che non al pavimento levigato di una piastra di cemento costata già una tombola.

 



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