25 febbraio 2015

ELEZIONI O ABOLIZIONE DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI?


In questi giorni si svolgono le tradizionali votazioni per eleggere gli organi degli Ordini degli avvocati. Il Tar ha sospeso il regolamento sulle elezioni, poi ha dato via libera, adesso aspettiamo il Consiglio di Stato: uno stallo regolatorio che è espressione dell’agonia e dell’avvitamento su se stesso di un sistema corporativo obsoleto e inadeguato rispetto alla società contemporanea. Avremo nuovi consigli uguali a quelli che li hanno preceduti: la corporazione forense continuerà, nel solco della tradizione, a svolgere la strenua difesa degli interessi particolari della componente dell’avvocatura meno disposta a confrontarsi con il mercato.

11viola08FBLe liste che si confrontano, in questo senso, non esprimono diverse visioni della professione, ma solo la degenerazione della corporazione in costellazione di piccoli gruppi di potere in lotta fra loro. L’esito delle elezioni non sarà comunque rappresentativo della nostra realtà professionale.

A Milano partecipa al voto il 20/25 % dei professionisti: è questo il grado di rappresentatività del suo ordine. Centinaia di professionisti come me non si sentono rappresentati da un Ordine che conduce battaglie di retroguardia (come quella contro la mediazione), che fanno arretrare la società nella miope prospettiva di ottenere modestissimi benefici per quei soli adepti che trovano protezione e tutela nel modello corporativo.

La questione non è affatto nuova (ne parlava già molti anni fa quel vecchio leone lungimirante che è Marco Pannella): possiamo pensare al superamento dell’Ordine degli avvocati? Vorrei che i nuovi consigli si interrogassero sulla attualità della loro esistenza e del loro ruolo nel presente e provassero (per una volta laicamente e senza far ricorso al ricco e vuoto repertorio della retorica cui ci hanno tristemente abituati) a chiedere ai diretti interessati cosa ne pensano. Mi piacerebbe poter registrare la partecipazione, ancor prima dell’esito, che avrebbe presso gli avvocati un referendum sull’abolizione dell’ordine.

L’ordine è un ente inutile innanzitutto per i cittadini utenti del sistema e per le imprese, ma anche per la società e per il miglioramento del sistema giudiziario nel suo complesso, e infine per i professionisti, o almeno per quei professionisti che vogliono confrontarsi con un mercato autenticamente concorrenziale. Moltissimi colleghi condividono il giudizio di obsolescenza del sistema ma tendono a comunque a riconoscerne la necessità perché “abbiamo pur bisogno di un soggetto che si occupi della tenuta degli albi e che gestisca la disciplina”.

A loro rispondo che occorrerebbe aprire una franca discussione anche sulla residua utilità del sistema disciplinare. È vero che la nostra professione presenta delle tecnicalitá e dei profili di complessità spesso molto difficilmente valutabili, ma non sono ragioni sufficienti per non prendere atto del fallimento del sistema odierno, e non mettere mano al suo superamento. In ogni caso l’identificabilità di alcune funzioni utili non sembra una buona ragione per accreditare la necessità di tenere tutto il pacchetto.

L’incremento della complessità della nostra società e conseguentemente delle istituzioni, con l’ipertrofia regolatoria che l’ha accompagnato, ha prodotto un inevitabile impatto sull’avvocatura che è ormai diventata una categoria che raduna modelli di attività quanto mai eterogenei. È una evoluzione analoga a quella intervenuta nelle professioni sanitarie dove coesistono medici generici e specialisti, studi individuali e organizzazioni di tipo imprenditoriale. Nel mondo dell’avvocatura forse la specializzazione tende ancora di più ad accentuarsi. Un fenomeno che ha progressivamente dato vita a figure professionali anche molto diverse tra loro e al conseguente sgretolamento di un’unica immagine identificativa dell’avvocato.

Questa evoluzione rende ineludibile il superamento del sistema di rappresentatività attuale che era stato pensato per una società e una professione completamente diverse dalle attuali. Non si può continuare a imporre a una realtà variegata, regole ispirate alla nostalgia per un mondo che non esiste più destinate, proprio per la loro pretesa di unificare destinatari differenti, a non corrispondere alle esigenze di nessuno.

Vorrei che l’avvocatura cominciasse a riflettere su una possibile evoluzione del sistema; vorrei poter immaginare, per esempio, a sostituire l’iscrizione obbligatoria all’Ordine / corporazione con la libera associazione degli avvocati a una galassia di associazioni nate su base volontaria, in base alla comunanza degli interessi e di programmi comuni (penso a realtà già esistenti come le camere penali, le camere amministrative o ASLA l’Associazione degli Studi Legali Associati, portatori di idee, progetti di innovazione, e di una vocazione internazionale).

Vorrei appartenere a un’avvocatura che trovasse la forza per autoriformarsi, per abbandonare un assetto fondato sulla protezione degli interessi particolari e per approdare a un nuovo sistema fondato sull’interesse comune.

Ma è una prospettiva, quella dell’interesse comune, che non gode proprio di grande popolarità in generale, né nel paese, né nell’avvocatura.

Simona Viola



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