25 febbraio 2015

sipario – LA SCENA. CRISTINA COMENCINI AL NUOVO


 

LA SCENA

di Cristina Comencini,

con Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti, Stefano Annoni

 

sipario08FB“Sono una donna forte … posso resistere a tutto …” e non importa se “dentro i piani si accartocciano l’uno sull’altro … come un palazzo sventrato da un terremoto ….” e mi sento “come un tavolo senza sedie” o “come una bambola sfigurata rigettata dalla cantina”; “nessuno si accorge di quello che ho dentro”. Poi, poco alla volta, i pezzi si ricostruiscono … si torna alla “normalità” e si scopre che forse non è poi un male per una donna lasciare “tutte le porte e le finestre spalancate”.

Fuor di metafora, e al di là del voluto riferimento alla tematica erotica, affrontata con spregiudicato e intelligente umorismo, la commedia porta sul palcoscenico un universo femminile complicato e pluriforme, rappresentato nelle sue sfumature più intime, con le sue più urgenti problematicità: prima fra tutte il rapporto con l’altro sesso. A confrontarsi sulla scena sono due modi contrapposti di esprimere la propria femminilità e vivere la sessualità, di interagire con il “pianeta uomo” con il linguaggio del corpo piuttosto che con quello delle parole, affidandosi alla ragione e alla prudenza o all’istinto e a una sensualità “aculturale”.

Lucia, attrice teatrale proveniente da una famiglia “borghese”, cresciuta secondo un’educazione rigidamente moralistica, con “uno o due matrimoni” alle spalle e un gran desiderio di “prendersi una vacanza da se stessa”, cerca di “sublimare” il suo desiderio recitando, trasformandosi in un'”altra” a seconda del ruolo che interpreta; Maria invece, separata con due bambini e un’ottima posizione lavorativa, si abbandona alla pura fisicità, alla “bellezza” dei sensi, e recupera quella passionalità giovanile alla quale aveva rinunciato sposandosi. Due personalità molto differenti, frutto di altrettanto diverse esperienze di vita e di coppia, che tuttavia rispecchiano una medesima femminile ricerca di completezza, un analogo desiderio d’amore e una stessa insicurezza data dal dover rimettere tutto in discussione, ripensare “la scena” costruita nel corso dell’intera esistenza, scegliere che ruolo interpretare e che parti assegnare ai vari personaggi del proprio mondo.

Termine medio tra queste due femminilità “mature” è il giovane (e disabbigliato) Luca, sedotto da Maria un sabato sera e costretto, la mattina seguente, ad assistere al confronto tra le due amiche, trasformandosi suo malgrado in personaggio della loro “recita”, vittima inconsapevole di un iniziale involontario scambio d’identità, che è in realtà il simbolo di un gioco di ruoli molto più complesso, che coinvolge, interseca e sovrappone aspetti contrastanti e talvolta contraddittori dell’essere “donna”. Rifiutando il ruolo di mera “comparsa” nello scenario domenicale delle due donne, Luca assume una funzione molto più determinante di quella del bel “soprammobile” in mutande: non è parte della scenografia ma vero e proprio “pretesto” per lo svolgersi delle riflessioni sul possibile contatto tra i due “pianeti” maschile e femminile, per lo svelamento delle reciproche intimidazioni che separano i due sessi e l’ammissione dei timori comuni.

Incarnazione di una mascolinità “inesperta e innocente”, indefinita e “amorfa”, egli viene sottoposto a un “corso intensivo” di esplorazione della psiche femminile, divisa tra ostentazione di sicurezza e fragilità, indipendenza e bisogno di condivisione, modernità e tenerezza. A lui è affidata l’affermazione: “Le donne trascorrono la prima metà della loro vita a fare progetti, la seconda metà a disfarli”, ma tutto è “recita”, trasfigurazione favolistica, “scena” fittizia pensata e predisposta con meticolosa illusione e consapevole autoinganno. Sarebbe molto più semplice abbandonarsi, lasciare “tutte le porte e le finestre spalancate”, fluttuare sulla vita, senza maschere né esibizioni di forza, senza paura, ma anche senza desiderio né tensione.

Pur offrendo alle due donne lo spunto per ripensare se stesse nel loro ruolo di compagne e madri, talvolta prevaricatrici nei confronti di figure maschili che risultano deboli e rinunciatarie (e perciò in qualche modo “colpevoli”), Luca esce sconfitto dal confronto con una femminilità forte nella sua fragilità, sensibile ma abbastanza esperta della vita per sapere che non vale più la pena di rinunciare alla propria natura per inseguire uomini ideali, fare a meno dei sogni in favore di miti irraggiungibili; se gli uomini “veri”, forti, “seri” e pronti ad assumersi le proprie responsabilità si nascondono “nella grotta in cui li ha condotti un favoloso pifferaio magico”, le donne non rinunciano invece alla “scena” e scelgono di restare se stesse, con “tutte le porte e le finestre spalancate” (ora in senso puramente metaforico ed etico), e di tenere alzato il “sipario”.

Se sognare significa in qualche modo “fingere”, allora essere donne e saper recitare magistralmente può essere considerato un privilegio. E se ciò comporta il dovere di “parlare con l’idraulico da uomo a uomo” … pazienza; anche questa può essere una “parte” accettabile nella “Scena” della vita-di-donna.

Uno spettacolo entusiasmante che, come purtroppo raramente accade, riesce a sorprendere lo spettatore fino alla chiusura del sipario, non solo mantenendo l’implicita promessa di divertirlo ma anche di coinvolgerlo in maniera intelligente in un gioco di specchi e scambi che lo fa illudere di trovarsi in posizione onnisciente e privilegiata rispetto ai personaggi (soprattutto rispetto al protagonista maschile), per poi rivelargli con simpatia la sua ingenuità e l’incapacità di sciogliere la complessità di situazioni solo apparentemente scontate.

Un gioco magistralmente orchestrato dalle due attrici protagoniste, ironiche e autoironiche, rappresentanti, al pari dei personaggi che interpretano, di una femminilità variegata e complice, capace di realizzare una solidale rivincita sulle delusioni della vita, sulla necessità sociale di darsi un ruolo e una posizione, di costruirsi una “scena” stabile e definitiva. Attraverso le figure di Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti, il teatro si fa metateatro, il palcoscenico diviene un ambiente familiare (anche grazie alla scenografia che ripropone un interno domestico, femminile, giovane e realistico) in cui gli attori si muovono con disinvoltura e senza maschere (addirittura senza vestiti!), proponendo non una “recita della vita” ma una rappresentazione della vita stessa nel suo essere un intreccio imprevedibile di scene studiate e improvvisazione.

Chiara Dipaola

 

In scena da martedì 24 febbraio alla Fondazione Teatro Nuovo Piazza San Babila, Milano

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org



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