11 febbraio 2015

M4, MONTE STELLA, NUOVO STADIO, TEATRO BURRI E POI E POI …


Ci aspetta una stagione preoccupante tra comitati, ricorsi al Tar e simili. Ma perché mai? Bisogna che Milano sappia ritrovare un rapporto di civiltà democratica tra governanti e governati. La società milanese è molto cambiata, in meglio. Quando vediamo code infinite alle mostre, fiorire iniziative culturali di successo come Bookcity o Piano City, teatri pieni, concerti quasi ogni sera, convegni affollati e dibattiti partecipati ci si rende conto della qualità della società milanese: una società attenta, civile, colta e per questo reattiva. Una società dunque che vuol lasciare solo ai Carabinieri – che ama – il motto ottocentesco “Usi a obbedir tacendo”.

01editoriale06FBIl formarsi di comitati di contrasto alle decisioni dell’amministrazione, nella maggior parte dei casi fa emergere anche una competenza tecnica e scientifica tutt’altro che trascurabile e che giustamente viene utilizzata dall’amministrazione: il caso più recente riguarda la M4, dove l’impegno dei cittadini – il comitato Foppa Dezza Solari – ha portato e sta portando modifiche progettuali e di gestione dell’intervento che vanno nell’interesse generale della città e non sono solo all’insegna del “not in my back yard“. Lo stesso possiamo dire per i canali di Expo, dove l’intento ecologico ambientalista del comitato era coniugato con la richiesta di evitare inutili e costosi investimenti, particolarmente odiosi in un periodo di crisi economica che colpisce soprattutto gli ultimi. Certo esiste anche l’antagonismo puro, fine a se stesso, sgradevole ma anche questo è un aspetto della riconquistata libertà di espressione con la liberazione del nostro Paese: come dice Renzi, bisogna farsene una ragione.

Nel rapporto tra comitati e amministrazione c’è un aspetto sgradevole: il ricorso cavilloso alla Giustizia anche nei casi di conflitto politico di opinioni, ricorso dagli esiti sempre incerti e che molto spesso vede vincere chi sarebbe logico e sensato soccombesse. I tribunali sono chiamati a svolgere un ruolo politico che non compete loro e dunque spesso sbagliano, in un Paese nel quale il diritto non si fonda sul senso comune ma su un rigido apparato legislativo terribilmente in ritardo rispetto alle evoluzioni della società.

Si riuscirà mai a riportare tutto nel giusto alveo, quello della politica? Bisogna provare. Chi deve fare la prima mossa? Indubbiamente chi ha in mano il potere ma subito dopo anche la società civile. Chi ha in mano il potere dovrebbe esercitarlo dedicando il massimo sforzo alla creazione del consenso (“partecipazione”, “confronto attivo”), sostenendo le proprie scelte con ragioni forti, con la tenacia e la pazienza di chi è convinto e non teme un contradditorio imbarazzante; non dovrebbe dichiarare propositi che sembrano avere il solo obbiettivo di “vedere l’effetto che fa” – penso alla questione nuovo stadio o moschee – suscitando reazioni prevedibili ancor prima del momento di una vera decisione.

La società civile di fronte a un approccio del genere di quello ora descritto dovrebbe essere obbiettivamente responsabile e accettare che gli eletti esercitino il potere democratico che la Costituzione assegna loro: il potere è anche quello di decidere. Questo atteggiamento di responsabilità dovrebbe essere assunto in particolare da chi promuove iniziative di contrasto pur senza per questo rinunciare a un confronto duro ma al fondo del quale si deve poter vedere chiaramente l’interesse al bene comune sebbene secondo una propria particolare visione.

Oggi, in tempo di Internet, il potere reale si è diffuso e si è indubbiamente allargato alla società civile e questo è un bene in assoluto ma chi di questo “quinto potere” fa uso – per citare non a caso il titolo del film su Assange – deve saper che il vero potere è quello che sa autoregolarsi (ma mai per compiacere qualcuno). Ho dipinto uno scenario impossibile? Uno scenario ideale? Un’utopia? O forse l’«utopia della realtà » quella della quale parla Ernesto N. Rogers (1), un indimenticato maestro per molti di noi.

Proviamo a rileggere.

Luca Beltrami Gadola

(1) Ernesto N. Rogers, Esperienza di un corso universitario, in Utopia della realtà, Bari, 1965, pp. 12-23



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