11 febbraio 2015

AREE EXPO: 2018 RITORNO AL FUTURO


Siamo nel 2018, la questione è ancora quella del destino delle aree ex Expo. Le Amministrazioni comunali, metropolitane e regionali, in crisi di leadership, esasperate dall’inconcludenza dei portatori di interesse conservatori, sottoposte alla pressione dei cittadini che chiedono a viva voce l’esproprio delle aree da loro pagate a caro prezzo, e finite in mano a società ‘pubbliche’ (vedi La Repubblica 30 gennaio 2015, “Terreni Expo, ecco la mia verità la Regione ci ha espropriati e derisi“), decidono di affidare a un’importante società specializzata in elaborazione di scenari l’esplorazione dei possibili destini delle aree in questione.

03longhi06FBQuesti, in sintesi, gli scenari che emergono.

Scenario 1: “as usual“. Le società coinvolte nell’Expo continuano ad essere al centro dell’interesse della magistratura, la quale, allentata temporaneamente la sua pressione al fine di non fare collassare l’iniziativa, procede ora con alacrità il lavoro iniziato nel quinquennio precedente. Le aree sono in uno stato di forte degrado, la bonifica post Expo procede a rilento. Si registrano sporadiche manifestazione di interesse da parte di emiri evanescenti e ‘imprenditori’ i quali vengono arrestati per associazione mafiosa o bancarotta. Queste manifestazioni sono accompagnate da disegni di star inquinatori, i quali propongono grattacieli a forma di spillone, di botti, di cetriolo, di scarpone, in nome di salvifici ‘rappezzi urbani’. I disegni alimentano il dibattito di vecchi architetti e sono soggetto di lezioni semi deserte alla Facoltà di architettura, in crisi di astinenza di studenti. Ma realisticamente la probabilità che vengano realizzati tende a zero. Il risultato è quello che si può vedere nelle città che hanno interpretato l’Expo come occasione di speculazione: Siviglia, Lisbona…

Scenario 2: “verso l’antropocene“. Un gruppo di ragazzini, dell’età fra i 12 e i 15 anni, con i loro smart watch hanno rilevato l’elevato livello di inquinamento dell’aria, i dati vengono rielaborati quotidianamente nei microlab presenti in ogni scuola e gestiti in rete grazie alla piattaforma di smart citizen (www.smartcitizen.me) attivata a Barcellona, che si occupa del monitoraggio ambientale nelle maggiori città europee. Le informazioni dei cittadini arrivano sugli smart watch di amministratori e tecnici comunali, i quali hanno modo di interagire in tempo reale e di aggiornare le loro strategie.

I dati sulla qualità dell’aria che arrivano dal monitoraggio sono preoccupanti, così come la perdita di biodiversità a causa di interventi ad alta densità che sono stati venduti per sostenibili, al Centro Direzionale si sentono gli effetti negativi sulla salute dei microclimi generati dalla selva dei grattacieli. Si sviluppa la consapevolezza che uno sviluppo urbano basato sulla distruzione di risorse naturali conduce all’invivibilità. Questo fa nascere un movimento industrioso che coniuga la riqualificazione delle risorse naturali con lo sviluppo eco compatibile. Le aree ex Expo sono il primo nucleo di un sistema di poli di nuova biodiversità destinati a compensare l’eccessiva impronta ecologica della metropoli e a sperimentare nuovi processi produttivi ‘additivi’, che non lavorano per sottrazione di materia dalla natura, ma crescono con la natura. Dalla conservazione biotica dei poli di compensazione nasce una nuova industria, fra cui un’edilizia il cui motto è “non costruiamo case ma le coltiviamo“.

Scenario 3:
la crescita delle risorse umane“. Milano è nota nel mondo per il “paradosso della Bocconi”, ossia al crescere dei metri cubi degli edifici destinati alle attività accademiche crescono gli affamati. È un fenomeno che si è notato a partire dagli anni ’90 quando alla realizzazione del nuovo edificio “il velodromo” dell’architetto Ignazio Gardella è iniziata ad allungarsi la coda degli indigenti del “Pane quotidiano”, che ha sede lì di fronte, sul viale Toscana, per esplodere dopo la realizzazione dell’edificio degli Grafton Architects (il famoso “Cedric di pietra”) e divenuta chilometrica dopo l’ultimazione del nuovo complesso degli Semaa sull’ex Centrale del Latte.

L’equivoco sta nel credere che le risorse umane si sviluppino in base ai metri cubi di edifici e non nell’intensità di sapere per metro quadro, ossia il vero problema non è la nuova edificazione universitaria ma l’esplosione della città creativa, ossia della capacità che deve avere la tripla elica dell’amministrazione pubblica, delle imprese e della ricerca di attrarre saperi dal mondo per rigenerare un motore creativo la cui insufficienza è la vera origine nel nostro declino.

Si sviluppa un comitato di promoter responsabili dell’Agenda creativa dello sviluppo metropolitano, l’obiettivo è recuperare terreno nel campo delle tecnologie abilitanti dell’UE e prendere consapevolezza degli effetti dirompenti delle nuove tecnologie. Il modello insediativo è quello del parco attivo, esso ha un bilancio positivo per la produzione di cibo e di energia, in esso il valore dell’implementazione delle risorse naturali supera quello del capitale fisico, le sue strutture sono destinate all’ospitalità e la loro filosofia realizzativa è improntata alla provvisorietà, per renderle adattabili in tempo reale al programma dell’agenda. In sintesi, le aree espropriate diventano il test di una progettazione realmente resiliente.

Scenario 4: “Mumford per sempre“. A dirigere l’area metropolitana è stato chiamato un sindaco metropolitano illuminato, consapevole di avere la leadership di una fra le più importanti aree metropolitane policentriche d’Europa. Questa consapevolezza ha salvato l’Italia dall’effetto disgregante della legge ‘Delrio’, secondo la quale le metropoli sono un tappeto casuale di piccole città di provincia. Il lavoro del Sindaco si è articolato in due fasi: nella prima ha costruito un’agenda metropolitana condivisa con le piattaforme urbane, produttive, di ricerca che caratterizzano la nostra metropoli di 8 milioni di abitanti, nella seconda, memore della lezione di Lewis Mumford (“Gentleman: you are mad“) e di Carlo Tognoli (Fondazione dell’Associazione delle città arabe, negli anni ’70) propone a Milano uno dei cinque fondaci (uno per ogni continente) il cui scopo è incrementare lo scambio fra culture diverse.

In questo le aree Expo, interpretate come nuovo fondaco, ritrovano la loro vera natura: nutrire il mondo non di pasta o Eataly, ma di coesione e di rinnovati valori del capitale umano.

 

Beppe Longhi



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