11 febbraio 2015

musica – IL MEGLIO DEL CONSERVATORIO


IL MEGLIO DEL CONSERVATORIO

Giovedì scorso il Conservatorio ha offerto ai milanesi una magnifica serata, gratuitamente aperta al pubblico e debitamente annunciata sui giornali; un vero peccato che la sala non fosse gremita come meritava, anche se di pubblico ve ne era abbastanza per dimostrare che i milanesi – quando ne vale la pena – si muovono anche sotto la neve. L’occasione era ghiotta perché da una parte veniva inaugurata la sistemazione definitiva e la nuova illuminazione del magnifico museo di sculture all’aperto allestito nel grande chiostro intorno al quale si articola lo storico complesso dell’ateneo musicale; dall’altra l’orchestra sinfonica, composta dagli allievi della scuola, offriva un concerto con un programma molto accurato e allettante.

musica06FBCominciamo dal “Bosco nel Chiostro“, il museo all’aperto inventato dalla presidente del Conservatorio Maria Grazia Mazzocchi e dal direttore Alessandro Melchiorre, liberamente visitabile in qualsiasi momento della giornata, costituito da otto magnifiche opere di grandi scultori italiani contemporanei e cioè Alik Cavaliere, Pietro Coletta, Pietro Consagra, Giuseppe Maraniello, Eliseo Mattiacci, Arnaldo Pomodoro, Giò Pomodoro e Giuseppe Spagnulo. Possiamo avere qualche piccola riserva sulla geometria del loro posizionamento nel Chiostro, ma ciò che conta è che la loro presenza e la loro relazione con il contesto bramantesco (che meraviglia quella cupola della Passione che dall’alto domina il chiostro!) è di grandissima suggestione.

L’idea di mettere insieme architettura, scultura e musica fondendole in un nuovo “luogo” della città fino a ieri considerato solo una scuola è non solo geniale, ma di grande attualità nel momento in cui Milano, complice anche Expo, va trasformandosi in meta turistico – culturale sempre più apprezzata; c’è da sperare che il Conservatorio, con la sua storia e in questa nuova veste, diventi non solo uno dei “luoghi dell’anima” dei milanesi ma entri anche a far parte dei cataloghi e delle guide che verranno offerti a visitatori e turisti.

Qui però parliamo di musica e dunque ci occupiamo del programma del concerto che era costruito – come dicevo – in modo singolare e particolarmente attraente: due pezzi di autori classicissimi ma di epoca assai diversa fra loro (Franz Krommer e Claude Debussy), e due novità composte da due allievi della scuola, un giovane poco più che esordiente (Pietro Dossena) e una celebrità ormai conclamata (Niccolò Castiglioni).

Krommer è un violinista ceco, contemporaneo di Mozart e di Haydn (1759 – 1831), che non appartiene alla schiera dei grandi eppure tutte le volte che viene proposto in concerto ottiene grande successo di pubblico; e così è accaduto l’altra sera con il Concerto per due clarinetti e orchestra opera 1 (anche questo numero d’opera, da esordiente, faceva parte del clima “scolastico” della serata) che è una vera delizia. Ma delizioso era sopratutto vedere e ascoltare quei due giovani solisti (Lorenzo Bollani e Simone Silvestri) cimentarsi con intelligente grazia e con grande capacità tecnica ed espressiva in un duetto entusiasmante, divertente, pieno di fantasia e di ironia.

Di Debussy (1862-1918) abbiamo poi ascoltato Danse e Sarabande trascritto per orchestra da Ravel e il balletto Jeux, due brani che non sono proprio i suoi capolavori (i veri capolavori di Debussy sono i pezzi brevi per pianoforte, dai Préludes a Images, dal Claire de lune alla Suite bergamasque e così via ), né credo che Ravel abbia aggiunto loro granché trascrivendoli per orchestra (a differenza dei Tableaux di Musorgskij che sono un vero miracolo non solo di orchestrazione ma anche di reinvenzione musicale).

Dunque se le opere classiche erano di due autori rispettivamente vissuti a cavallo del XVIII e XIX secolo e del XIX e XX, era giusto arrivare al successivo passaggio fra il XX ed il XXI con l’opera di due contemporanei usciti proprio dal Conservatorio milanese. Ma qui l’entusiasmo è considerevolmente calato perché se Small is beautiful di Castiglioni (1932-1996) è in qualche modo accettabile – sia perché è del 1983, sia perché negli anni sessanta l’autore è stato “vittima” della Scuola di Darmstadt, quando far parte di quella “avanguardia” era un passaggio obbligato per gli orfani della Scuola di Vienna – è invece inaccettabile che un giovane allievo di composizione di uno dei migliori Conservatori d’Italia (e d’Europa) scriva ancora oggi musiche così insignificanti. Parlo di Buildings (ma vorrei sapere perché si usino titoli in lingua inglese, quando da secoli e in tutto il mondo la lingua della musica è proprio la nostra) di Pietro Dossena, in prima esecuzione assoluta, che con un gigantesco impiego di strumenti musicali (probabilmente tutti quelli a disposizione del Conservatorio) propone il solito susseguirsi di “effetti speciali” volti a sbalordire un pubblico che invece si annoia mortalmente. Ma cosa insegniamo a questi ragazzi?

Ai quali ragazzi, invece, si insegna assai bene a suonare ogni tipo di strumenti se è vero che l’orchestra sinfonica del Conservatorio ha meritato – a dispetto della evidente giovinezza dei suoi componenti – un plauso particolare per la straordinaria professionalità dimostrata; ha qualcosa di miracoloso vedere come ragazzi e ragazze, ancora in difficoltà a stare in palcoscenico e alle prese con imbarazzanti timidezze, riescono a “suonare insieme” con una disciplina, un entusiasmo e una passione raramente riscontrabili nelle orchestre professionali e sindacalizzate. Nella sua orchestra il Conservatorio milanese dà il meglio di sé dimostrando che, a differenza della composizione, tecnica e interpretazione le sa insegnare proprio bene.

Ottimo anche Tito Ceccherini, il poco più che quarantenne direttore d’orchestra milanese, anche lui uscito da quel Conservatorio, a perfetto agio con la musica barocca e con quella contemporanea (è un grande cultore di Niccolò Castiglioni e di Salvatore Sciarrino), forse un po’ meno con l’impressionismo e la scala esatonale di Debussy; la sua capacità maieutica nei confronti dei giovani strumentisti ha comunque trovato una palpabile dimostrazione nel sincero applauso che proprio loro gli hanno riservato alla fine del concerto.

Una serata molto milanese, tutta giocata “in casa” con grande sensibilità e raffinatezza.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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