4 febbraio 2015

CASE ALER, PRIMA DI OGNI COSA SALVARE LE CLIENTELE


Il fronte ALER è sempre caldo e l’ultima querelle sulle occupazioni e gli sgomberi la dice lunga sulle difficoltà di gestire il patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Non è questa la notizia più preoccupante ma quella del piano di vendita di 10.000 unità immobiliari tra appartamenti, villette, box e negozi per chiudere i buchi di bilancio: con questa vendita si prosegue in maniera lineare nella direzione dell’ingiustizia sociale.

01editoriale05FBUno dei problemi milanesi più acuti in questo momento è proprio quello della casa: dare un tetto a circa 30.000 famiglie che non possono andare sul mercato della vendita o della locazione per mancanza di reddito e di risparmio. Aler, l’operatore istituzionale, per risolvere il problema in casa sua ha solo due strade: costruire nuovi alloggi e liberare quelli di edilizia pubblica dagli inquilini che avendo migliorato la loro capacità di reddito possono andare sul mercato.

Quest’ultima operazione – far uscire da un regime di aiuto chi non ne ha più bisogno – è uno dei tabù della politica italiana sulla casa che non può sconfessare mai una sua caratteristica fondamentale: essere una politica clientelare su grande scala. Tutte le leggi in materia di agevolazioni all’accesso alla casa hanno questo connotato: il reddito preso in considerazione per acquisire il diritto all’aiuto è quello dell’entrata in possesso del bene, eventuali aumenti di reddito successivi, anche considerevoli, sono ininfluenti. Siamo l’unico Paese in Europa che ha legiferato in questo senso.

Le ultime mosse della Regione vanno in quella medesima direzione con un’aggravante che la vendita è fatta sulla spinta di un “buco” sulle cui reali cause non si vuole dire nulla se non generiche accuse di sprechi e cattiva gestione. Io credo che sul cosiddetto buco qualche domanda dovrebbero farsela Formigoni e le sue Giunte e i suoi assessori alla casa, tutti al potere in Lombardia dal 1995 al 2013 e precisamente dall’entrata in vigore della Legge Regionale Lombardia del 1996 n° 13 che trasformava gli IACP in Aziende regionali: dunque competeva a loro, onori e oneri, la gestione di Aler Milano.

Chi ha dunque con mano ferma tenuto la barra del timone spingendo Aler verso il baratro? Chi ha chiuso gli occhi di fronte a 18 bilanci che con estrema chiarezza uno dopo l’altro indicavano il formarsi della voragine provocata da morosità crescente e interessi sul debito per investimenti fatti su indicazioni regionali (Pieve Emanuele) o contratti di quartiere ai quali era richiesto di partecipare senza fornire mezzi aggiuntivi e sopportando un carico di imposte e di interessi insostenibile?

Perché disinteressarsi di Aler? La ragione è semplice. All’edilizia residenziale pubblica non si sono assegnate negli ultimi anni che scarsissime risorse e dunque nessuna possibilità di avere nuovi alloggi, dunque nessuna disponibilità a procurarsi nuove clientele elettorali. A meno di vendere, come vedremo tra poco.

Solo uno sprovveduto poteva pensare che le vendite imposte dalla legge 560 del 1993 che obbligava a vendere gli immobili posseduti in misura non inferiore al 50% avrebbero permesso di pareggiare i conti e, se anche il risultato a oggi fosse stato raggiunto, avremmo visto calare lo stock di appartamenti di edilizia residenziale pubblica in maniera drammatica perché, ammesso di reinvestire i ricavi nel medesimo comparto (ERP), le vendite erano effettuate a prezzi pari a circa la metà del costo di sostituzione del venduto.

Di quest’ultima questione vale la pena di parlare. Le vendite promosse oggi da ALER alle condizioni previste dalla legge prevedono un ricavo medio di 1.000 euro al metro quadro. Ovviamente meno della metà di un qualunque prezzo si costruzione. A queste condizioni possono acquistare gli attuali locatari e i loro parenti in linea diretta fino alla seconda generazione. Chiunque acquisti per dieci anni non potrà rivendere ma alla fine dei dieci anni si troverà un bene che varrà almeno il doppio. Si prosegue così la politica di garantire privilegi sulla casa a prescindere da situazioni di necessità e consentendo ad alcuni un arricchimento irragionevole. Ma si ritrova spazio per clientele elettorali, questo sì.

Da ultimo, tanto per capirci, per coprire anche solo 50 milioni all’anno di mancati incassi da morosità, 30 milioni tra Imu e altre imposte, almeno una decina di milioni di interessi, bisognerà vendere nell’anno circa 900 appartamenti e il buco pregresso rimarrà eguale. Alla fine si venderà, ammesso di riuscirci, il penultimo appartamento per mantenere l’ultimo. Tutte le manovre per far pareggiare i conti senza metterci un soldo di denaro fresco sono come la ricetta della Troika per la Grecia, pareggiare i conti, costi quello che costi: la cura che ammazza il cavallo.

Ma l’obbiettivo non dovrebbe essere dare la casa a chi non ce l’ha?

Luca Beltrami Gadola

 



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