4 febbraio 2015

DOPO EXPO: UNA INESORABILE VERGOGNA?


Finalmente anche il commissario Giuseppe Sala si è accorto che c’è un problema del dopo-Expo (c.d. legacy), tema che, invano, alcuni grilli parlanti hanno sollevato da alcuni anni, sottolineando che l’esperienza dimostra che i problemi del dopo-Expo (ma anche di altre analoghe grandi manifestazioni) si possono risolvere positivamente solo se vengono pensati e programmati all’inizio della manifestazione e non dopo.

03vitale05FBIl tema della “legacy” è essenziale, anche se non è nuovo e ne ho già parlato su queste colonne. In un articolo su Repubblica di martedì 27 gennaio 2015 Giuseppe Sala lancia, dunque, l’allarme (“Rischiamo il deserto“) e propone, per il dopo Expo, un uso transitorio delle strutture. Come la saggezza popolare dice: meglio tardi che mai. La proposta merita attenzione, come soluzione transitoria, ma è molto italiana nel senso che, alla fine, non sappiamo mai proporre progetti organici ma solo cose transitorie, destinate per lo più a durare per l’eternità.

Ma il rischio maggiore è quello di ripetere anche per il dopo-expo lo stesso errore fatto all’inizio: e cioè, mettere al centro dell’interesse e del dibattito il destino delle aree e degli immobili che al termine dell’Expo insisteranno sulle stesse. Mentre il tema centrale è ben diverso, ed è quello di creare un percorso di sviluppo per la città metropolitana preferibilmente in continuità con i temi dell’Expo.

Il problema dell’utilizzo delle aree e degli immobili nel sito Expo, che pure esiste ed è tutt’altro che semplice da risolvere va a questo subordinato. E questo è anche l’unico modo per diluire nel tempo, come è proprio delle grandi opere pubbliche, anche il problema, altrimenti insolubile, del valore di carico, platealmente eccessivo, delle aree stesse.

L’eredità tematica dell’Expo: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, deve rimanere la bussola e la guida centrale per il dopo-Expo, per trarre dall’esperienza Expo il massimo vantaggio con un’azione in continuità e perché il tema è e resterà tra i più importanti del mondo anche dopo il 2015.

Consegue che la guida strategica dell’intero sito deve essere caratterizzata da questo tema e, perciò, deve rimanere a maggioranza pubblica, anche se singole articolazioni possano, in una certa misura, essere diverse e debbano essere concesse a privati per la realizzazione, il finanziamento e la gestione. Si pone però l’esigenza che tale guida strategica unitaria possa esprimersi con efficienza e flessibilità e sfuggire alle note rigidità e pericoli di una gestione pubblica. Perciò essa deve, inequivocabilmente, porsi fuori dal diritto amministrativo pubblico. La forma più adatta per conciliare le due esigenze (unitarietà strategica ed efficienza operativa) è quella della fondazione di partecipazione dove gli enti pubblici principali vengono affiancati dalla partecipazione di altri soggetti pubblici e privati (università, imprese, altre fondazioni).

Il progetto organico di sviluppo dell’intero ambito di intervento deve essere “glocal“, cioè sviluppare attività di rilievo nazionale e internazionale ma, al tempo stesso, realizzare uno stretto e nuovo legame con il territorio per dare una risposta innovativa e decisiva ai temi di riequilibrio ambientale e sociale oggi cruciali per la città di Milano e per la regione urbana di sette milioni di abitanti, che è quella che consente di definirla una metropoli. Il percorso da intraprendere è dunque la costruzione di un progetto culturale e sociale condiviso e partecipato che consenta a Milano e alla Lombardia di inaugurare per il 2015 una nuova fase del proprio sviluppo sociale, economico e urbano.

L’elemento unificante deve essere la conoscenza. Per questo abbiamo parlato di Parco Urbano della Conoscenza. Ma è necessario concentrare le forze. A noi sembra che il progetto Parco della Conoscenza debba concentrarsi sulla ricerca applicata nelle filiere della nutrizione (agroalimentare) e dell’energia. E questo non solo perché queste filiere derivano dal tema dell’Expo, ma perché:

* queste aree pur di significato globale trovano nel contesto storico e naturalistico di Milano una base molto solida;

* comprendono attività che hanno un grande potenziale di sviluppo;

* si riferiscono ad attività di ricerca e produttive colpevolmente trascurate nel recente passato.

Queste sono le idee di fondo che un gruppo di lavoro (1) del quale faccio parte, presentò come manifestazione di interesse all’indagine esplorativa promossa da Arexpo nel novembre 2013. E su tali idee di fondo elaboravamo una serie di prime proposte concrete come semplice avvio di un ampio dibattito cittadino. Sembra che a oggi questo filone di pensiero e di lavoro risulti, con il passare del tempo, rafforzato. Lo stesso incarico pensato, ma non ancora assegnato all’Università Statale e al Politecnico di elaborare un disegno complessivo per l’intera area si muove in analoga direzione. Piuttosto di niente è meglio qualcosa, diciamo in Lombardia. E anche questo incarico fantasma è meglio di niente. Ma è una manifestazione di grande debolezza intellettuale e politica, di un disarmante vuoto d’idee, di una grande viltà.

La programmazione urbanistica di un’area così strategica è atto politico nel più alto senso del termine. È chi ha la responsabilità politica dello sviluppo cittadino e dell’urbanistica della città metropolitana che deve fare le sue scelte e proporle, come gesto politico e non tecnico, alla città. Naturalmente gli organi istituzionali che hanno questo compito che deriva dai voti dei cittadini potranno (anzi dovranno) servirsi di tutti i consulenti tecnici (Università o meno) che possano essere utili. Ma dare a questi, per prestigiosi che possano essere, delega aperta, cioè senza inserirli nella pianificazione urbanistica economica e civile della città, di disegnare lo sviluppo di una grande fetta di città, è atto di estrema viltà. È atto da vergognarsi!

Tanto è vero che l’incarico non è ancora stato dato perché sembra che per darlo sarebbe necessario una gara. Cioè per scegliere una svolta urbanistica importantissima per la città la si affida a una gara e non come avverrebbe in una città normale, all’assessore all’urbanistica in unione con l’assessore allo sviluppo e magari a quello della cultura e con la sintesi finale del sindaco. Ma noi non siamo più una città normale e non siamo più un Paese normale. Siamo soprattutto un paese di vili. Tanto è vero che sembra che la cosa sia stata rimessa nelle mani dell’Autorità Nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. Tutto ormai conferisce sul suo tavolo e per fortuna che si tratta di una persona di valore e per bene.

 

Marco Vitale

 

(1) Emilio Battisti, Francesca Battisti, Fiorello Cortiana, GiovanBattista Costa, Gianfausto Ferrari, Carlo Montalbetti, Pier Paolo Poggio, Giorgio Spatti, Marco Vitale



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