4 febbraio 2015

PERIFERIE “SPIAZZATE”: LA DISCUTIBILE GESTIONE DELLO SPAZIO PUBBLICO A MILANO


È di pochi giorni fa la notizia del nuovo concorso per la ‘migliore qualificazione’ (sic!) di piazza della Scala, finanziato da Banca Intesa con due milioni di euro. Sulla pagina Facebook del Comune si possono leggere al riguardo dozzine di commenti di cittadini concordi nel definire uno spreco di risorse – quantunque devolute da privati – un tale intervento su di uno spazio già riqualificato (nel 2000, su un precedente progetto di Paolo Portoghesi), rivendicando piuttosto un maggiore impegno per gli spazi delle periferie. Non è un caso che il Corriere della Sera di Milano del 30 gennaio abbia accompagnato in prima pagina la notizia del concorso con una foto del 1959 della piazza, ridotta – come allora molti altri luoghi del centro storico – a parcheggio. I casi sono due: o i giornalisti non frequentano questo posto da circa sessant’anni oppure erano troppo imbarazzati a illustrare con una foto recente il titolo “via le auto: un’isola dei musei in Piazza della Scala”. Per altro, a leggere l’articolo per intero, si scopre che, per stessa ammissione dell’assessore De Cesaris, la pedonalizzazione di via Manzoni non sarà comunque possibile … .

08vescovi05FBDavvero appare uno spreco intollerabile investire ulteriori soldi, risorse e intelligenze in uno spazio che, sebbene non del tutto risolto (un articolo sul Corriere del 1999 di Carlo Castellaneta per esempio stigmatizza, non senza ragione, l’introduzione dei gelsi), non appare certo come una priorità. Ecco, appunto: quali sono le priorità dell’amministrazione in tema di spazio pubblico e qualità dei luoghi? Forse andrebbe discussa una strategia e divulgato un programma in proposito. Quanti soldi e progetti sono stati destinati agli spazi del centro e quanti a quelli della periferia?

Per fare solo uno dei tanti esempi possibili, la Bovisa, così sagacemente descritta da Renzo Riboldazzi in un recente articolo su questa testata, versa in uno stato indegno, soprattutto considerando il numero (e il tipo: studenti, studiosi e professionisti da tutto il mondo) di persone che la attraversano quotidianamente e il ruolo, prestigioso e simbolico, che dovrebbe rivestire il Politecnico in questo quartiere. Risulta per altro irritante constatare che la stessa Banca che qui ha congelato ingenti investimenti in ‘aree di trasformazione’ ancora oggi in stato di degrado e abbandono, in centro possa decidere, con il supporto del Comune, di finanziarsi a piacimento – per adeguarlo probabilmente al rango della sua bellissima sede – il ‘proprio’ spazio pubblico già riqualificato a spese dei contribuenti meno di vent’anni fa. O forse è solo una disfida tra istituti di credito: dopo che Unicredit ha costruito la sua piazza di successo a Porta Garibaldi, Banca Intesa non vuole sembrare da meno. E se si vincolasse ogni intervento di ‘maggiore qualificazione’ del centro alla riqualificazione di un luogo in periferia? Facciamo almeno un po’ per uno … .

È chiaro che questa città, nonostante il teorico dna politico degli attuali reggenti, ha un rapporto alquanto conflittuale con il concetto di piazza e spazio pubblico. In altre metropoli – certamente anche per opportunistiche ragioni di marketing urbano – lo spazio pubblico di strade e piazze è oggetto di particolari attenzioni in funzione del livello di urbanità e di sostenibilità sociale che ne derivano. A Milano si fatica ad affrontare un tale argomento, anche perché per i milanesi – come conferma uno dei quattro dimenticati referendum – lo spazio pubblico, quando non è adibito a strade carrabili e parcheggi, è sinonimo di verde, e quindi viva alberi e giardini e abbasso la pietra, con buona pace della tipica piazza italiana, per secoli lo spazio pubblico per antonomasia delle nostre città (anche se poi, constatando il desolante deserto della nuova piazza Gino Valle, si può pensare che i vincitori del referendum non abbiano poi tutti i torti …).

Sarà quindi anche per via di questa scarsa dimestichezza che l’amministrazione si è andata a impelagare in ‘quer pasticciaccio brutto’ (come titola l’articolo di Claudio Bacigalupo su questa testata) di Atelier Castello? Una vera contraddizione: sbandierato come frutto di un processo partecipativo inedito, il progetto scelto per la pedonalizzazione di Piazza Castello non è stato quello più votato online dai cittadini bensì quello indicato da una ristretta giuria di 4 persone, dopo che il Comune aveva coinvolto ben 11 studi di architettura e organizzato altrettanti incontri con la cittadinanza (un defatigante tour de force per i ‘partecipazionisti’ più convinti!). E tutto questo poi solo per decidere come allestire temporaneamente (?) – e fino a nuovo concorso internazionale (!) – l’arredo urbano di 500 metri di strada; mentre il progetto (forse di più lunga durata?) col maggiore impatto sullo spazio pubblico e sull’immagine del centro – i controversi caselli dell’Expo Gate – è stato sottratto al dibattito cittadino e scelto da un’altra giuria ristretta di 7 persone.

Curare il centro non significa dimenticare le aree più periferiche” perché “… non esiste alcuna contrapposizione fra centro e periferia” controbattono un po’ retoricamente, quasi tra il piccato e il pedante, i curatori della pagina Facebook del Comune di Milano a quanti, protestando per l’ultimo bando, propongono piuttosto di dedicare risorse e progetti ad altre aree più bisognose. Piacerebbe anche a noi! Scommetto però che i costruttori milanesi – i cosiddetti ‘sviluppatori’ (dove mai si va a cacciare lo sviluppo!) finanziati, tra gli altri, dalla Banca Intesa di cui sopra – avrebbero difficoltà a sottoscrivere questa presunta uguaglianza tra centro e periferia. Come del resto i molti che vivono in quest’ultima.

 

Francesco Vescovi



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