4 febbraio 2015

I POSSIBILI PERCHÈ DI UNA “MILANO MAI VISTA”


Milano mai vista” è una delle esposizioni ora in Triennale: mi aspettavo una mostra invece è un film documentario (breve) su alcuni progetti dell’ultimo secolo non realizzati. Non si tratta in realtà di una “Milano mai vista” perché i progetti presentati sono quasi tutti conosciuti, ma di una Milano non realizzata, presentati senza commenti, come una descrizione, più che una denuncia, con qualche amarezza, forse come un invito a conoscere di più e riflettere.

10favole05FBDifficile un giudizio, ma diversi sono gli interrogativi. I progetti “non visti” riguardano l’area intorno al Castello, l’asse del Sempione, la stazione e la sua piazza, Brera, San Babila, piazza Duomo, alcuni assi stradali, piazza San Fedele, l’area della Fiera, e qualche altro. La prima domanda è il perché della scelta: infatti i progetti -sempre noti- ma “mai visti” cioè mai realizzati, sono assai più numerosi: dai molti recenti concorsi regolarmente svolti, premiati (pubblicati) e rimasti nei cassetti, citando a caso il parco Forlanini o molte piazze o i rilevati ferroviari, ai tantissimi progetti in trent’anni per l’area Garibaldi Repubblica, o gli innumerevoli per piazza Duomo, ecc. Il motivo della scelta non è dichiarato nel filmato e neanche nel piccolo catalogo, che ha però alcuni testi significativi.

La seconda domanda è perché tutti quei progetti siano rimasti sulla carta. Dei progetti “mai visti” posso essere contento che in piazza Duomo non si siano realizzati quelli di Mari (che apprezzo moltissimo come designer) ben tre ma uno solo è presentato, voluti da Tognoli con un incarico diretto (costati se non sbaglio 350 milioni) e l’aiuola alberata di Piano, irrealizzabile, perché posta sulla soletta della metropolitana, declamata dal Corriere come la soluzione definitiva del progetto incompiuto (?) della piazza, se non con un impresentabile enorme contenitore di cemento alto un metro e mezzo.

E sono contento che non si sia realizzata la Beic, la strapubblicizzata biblioteca, che era un organismo inutile con l’evoluzione delle biblioteche e dell’informazione, e anche un brutto progetto di architettura non connesso per esempio alle infrastrutture o al parco di quell’area, come avevo detto in allora in un dibattito pubblico, con forti reazioni contrarie. Mi spiace invece che sull’area della Fiera non si sia realizzato il progetto di Piano, con un unico grattacielo di grande qualità, un vero parco, invece della frammentazione degli spazi del progetto ora in attuazione, ma la scelta fu fatta non per la qualità del progetto, ma per la maggiore offerta economica. Così abbiamo già alcune motivazioni del “non visto”: l’irrealizzabilità o la finanza o il superamento dei tempi. Gli altri progetti non attuati mi lasciano sinceramente indifferente. Altri temi come Brera sono ancora in progress, altri ormai sono inattuabili.

Un’altra motivazione, sapendo che potrei trovare molti in disaccordo, è la modestia di molti progetti, che dovrebbe far riflettere sui limiti della cosiddetta “scuola milanese” di architettura, se poi c’è mai stata una scuola milanese, di certo non al livello internazionale dello stesso periodo, salvo qualche esplicito riferimento come la “Milano verde” del 1938 alla “Ville radieuse” e agli altri progetti di città di Le Corbusier di dieci anni prima. Con un ritorno attuale di fatto, cui assistiamo con reazioni divergenti, che molti progetti importanti ora sono di architetti stranieri: Isozaki, Pei, Pelli, Perrault e altri, tutti scelti da committenti italiani. Se non sbaglio le ultime grandi opere di italiani sono la nuova fiera di Fuksas e di recente tutti gli edifici del Portello di autori vari, mentre le residenze della Merlata sono in parte ancora in realizzazione.

L’altro aspetto è che la maggior parte dei progetti riguarda spazi o edifici pubblici, commissionati quindi dal Comune o da enti pubblici rimasti inattuati come se non ci sia stata, in un tempo lungo, una regia pubblica continua nel tempo, convinta delle proprie scelte, degli obiettivi e dei mezzi per realizzarli o in alternativa capace di gestire le proposte private. per cui la città è cresciuta per spot. Un fenomeno che non so se sia solo milanese, perché visto da una’ottica interna, a differenza di quello che sembra di vedere in città straniere che sembrano avere o almeno avere avuto una continuità di decisioni e scelte sul tempo lungo.

Come scritto nel catalogo “Milano mai vista non è però la Milano nascosta …. è una Milano che avrebbe potuto essere, se le porte scorrevoli della storia si fossero aperte o chiuse con un tempo diverso. È una Milano sognata o solo auspicata: il filo rimasto sotto traccia di una trama che tutti sembrano ingannevolmente conoscere” (F. Irace).

Ecco che la “Milano mai vista” mi ha fatto fare molte riflessioni: con un invito a tutti a guardare le parti di Milano rimaste incompiute e “in vista” e a cercare le loro motivazioni, per risolverle, e a sperare che qualcuno dei temi sollevati sia ancora risolvibile.

 

Paolo Favole



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