28 gennaio 2015

GIULIANO PISAPIA: L’OBBLIGO DI RICANDIDARSI


Giuliano Pisapia non può sottrarsi al suo secondo mandato. Ne capisco perfettamente le incertezze ma forse, prima di decidere dovrebbe fare come re Abdallah II di Giordania che anni fa, travestito da taxista, un pomeriggio, andò in giro per Amman stuzzicando i passeggeri per sentire le loro opinioni più genuine e non mediate dalla corte. Capì cosa la gente pensasse di lui. Enrico V, come ci dice Shakespeare, prima della battaglia di Azincourt andò travestito tra le sue truppe per sondarne gli umori e sapere se poteva contare sulla loro fedeltà. Due sondaggi diversi: il popolo e le truppe. Per Pisapia sono due dati indispensabili per capire che aria tira in città e su chi può contare in politica, sgomberando il campo dal timore reverenziale degli uni e la cortigiana piaggeria degli altri.

01editoriale04FBAnche se l’esito non fosse esaltante – opinione pubblica poco favorevole e partiti divisi e scarsamente leali – Giuliano Pisapia non può sottrarsi: sarà una corsa in salita con il pericolo soprattutto alla spalle ma deve esser fatta.

Rinunciare al secondo mandato sarebbe letto in molti modi, tutti poco gradevoli: timore di una sconfitta, ammissione di propri errori, sensazione di inadeguatezza rispetto alle promesse fatte, poco rispetto per l’elettorato che l’ha votato e per chi l’ha sostenuto; non osare giocare il secondo tempo della partita che in realtà è quello della possibile vittoria di questa compagine politica.

Di quest’ultimo aspetto vorrei parlare. Il secondo mandato, per legge l’ultimo, è il più incisivo, il più libero, il più sciolto dagli obblighi di ricercare sostegno politico, non solo ma per Pisapia quello che gli consentirebbe di guardare di più al futuro della città: il famoso progetto.

Onestà intellettuale vuole che si riconosca a Sindaco e Giunta la fatica fatta sino a ora per rimettere in sesto la barca e tappare le falle della gestione di Letizia Moratti, destreggiandosi tra gli scippi finanziari del Governo senza troppo gravare sui cittadini. Forse questo tempo non è ancora finito. Quello che si poteva fare in questo clima si è fatto, in particolare mettendo in campo tutte le opportunità non finanziarie in mano alla Giunta come l’assegnazione di edifici comunali per attività assistenziali, sociali e di incentivo all’innovazione. Alcune auspicabili rotture con il passato morattiano non erano praticabili, vedi il caso Expo, o politicamente impercorribili vista la maggioranza, come avere una mano più ferma sulla vicenda M4. Le vicende non sono ancora concluse e sul dopo Expo la partita è ancora tutta da giocare.

Probabilmente un anonimo sondaggio in città farebbe emergere con franchezza le critiche per come si sono fatte fin qui le cose e per quelle non fatte: le cosiddette promesse mancate. D’altra parte, anche senza sondaggi, i molti comitati che si oppongono alle iniziative comunali sono la spia di un disagio crescente legato in particolar modo alla cosiddetta partecipazione: “la grande promessa mancata”. Ne abbiamo parlato troppe volte per ribadire ora quello che sulla partecipazione si dovrebbe sapere e non si vuol sapere: la fatica di capire e imparare.

Il peggio, in questa fine di mandato, sarebbe attribuire il nascere dei comitati del “no” a una sorta di “perversione” sociale alimentata e resa possibile dalle oscure forze dei social network e ritenere, di conseguenza, che questi comitati nemmeno siano degni di reale ascolto. La ricorsomania non è un’invenzione della società civile ma un comportamento mutuato dalla politica che ne è maestra, strategia resa possibile da un apparato legislativo esondante, confuso, contradditorio e di incerta interpretazione (al quale non si vuol mettere mano) e che spesso condanna la politica, indebolita, a commettere errori formali e a pagali cari. Che poi la società civile ci vada a nozze è inevitabile soprattutto nei casi per i quali le ragioni della politica non sono né chiare né esplicitate, avvolte in una nebbia che sembra sempre nascondere fini oscuri e dove le scelte contraddicono il più elementare buonsenso.

Non vedo dunque alternative per il sindaco Pisapia, salvo motivi personali per i quali la privacy “deve” essere assolutamente rispettosa: “l’obbligo di ricandidarsi”.

Luca Beltrami Gadola

 



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