28 gennaio 2015

LA CARENZA DI VISIONE O DELLA MIOPIA DEL PALAZZO


Lo scorso anno non ho votato il bilancio 2014 di Palazzo Marino nella speranza che qualcosa cambiasse e che la giunta con uno scatto di orgoglio si decidesse a fare ciò che dopo tre anni e mezzo non era ancora riuscita a mettere in cantiere. Ma anche perché si aprisse tra giunta, consiglio, forze politiche e città, uno spazio di confronto e di partecipazione assolutamente salutare che non c’è stato. Quattro questioni poste allora ancora oggi sul tappeto.

03biscardini04FBNonostante le migliori intenzioni la giunta non è riuscita ad affrontare il tema di una diversa organizzazione della macchina comunale. La politica delle grandi scelte (che per merito dell’assessore Maran ha dato finalmente il via ai lavori della M4), è ancora ferma al palo. Il potenziamento del nodo ferroviario di Milano (Secondo Passante compreso), la definizione di un efficace piano dei trasporti che sappia affrontare la crescente domanda di mobilità alla grande scala, l’accordo di programma con RFI sulla valorizzazione o meno degli scali ferroviari, il piano parcheggi e un efficace piano straordinario di investimenti per il fabbisogno casa e per la riqualificazione delle periferie, sono ancora da affrontare.

Infine, ci sono volute alcune tremende esondazioni per avviare con Regione e Governo le opere di sistemazione del Seveso a nord di Niguarda, ma nulla si dice delle opere che necessitano a sud, anche in connessione con il progetto di riapertura della Martesana. Sul terreno delle entrate, avremmo potuto portare nelle casse comunali risorse fresche per nuovi interventi e servizi, attraverso una efficace azione di contrasto all’evasione fiscale, ma purtroppo anche su questo terreno rischiamo di aver perso una grande occasione.

A questo punto, si può fare in poco tempo ciò che non si fatto finora? Riusciamo a dare una risposta a chi invoca anche in queste ore il bisogno di una visione strategica che finora è sostanzialmente mancata? Si dice che in politica si può, basta volere. Ma a condizione di uscire da quella visione minimalista del buon governo e delle brave persone (che per la politica dovrebbe essere il minimo sindacale e non il massimo), evitando di essere “afflitti da piccolezze” per rilanciare da Milano l’Italia migliore.

Primo. Su Expo e sul ruolo di Milano che ospita il più importante evento della storia recente, c’è da domandarsi come mai si è così fragili. E sul dopo Expo ancora peggio. Cosa vuole la nostra città? La più grande questione urbanistica di Milano sembra nelle mani delle cosiddette “manifestazioni di interessi”, dei bandi andati deserti, dei pseudo incarichi alle università o di chi verrà. Perché non confrontarsi con i progetti “degli altri”, con la cultura e i saperi in modo largo? Perche non aprire un confronto con la città alla luce del sole? Perché non confrontarsi con la politica ben sapendo che alla fine spetterà al consiglio comunale tirare le somme.

Secondo. Occorre recuperare una visione sulla grandi questioni alla grande scala, quella regionale prima di tutte, da cui ci si è tenuti troppo lontano. Può Milano non dire la sua sulla politica dei trasporti regionali, sulle politiche ambientali, o sulle prospettive della sanità lombarda, senza difendere il proprio straordinario sistema ospedaliero pubblico? Continuiamo a rimanere inerti davanti al loro progressivo impoverimento a favore degli interessi della sanità privata? Perché?

Terzo. Occorre un salto di qualità sul tema della qualità urbana (che non si risolve con pur meritevoli interventi di arredo) e sulla qualità delle nostre periferie (che una volta non erano tali) che possono crescere strutturalmente non in densità, ma come straordinari momenti di “mescolanza sociale e funzionale”, luoghi di lavoro, di cultura, di integrazione e di servizi urbani.

Quarto. È arrivata la “città metropolitana”, a detta di molti una grande opportunità per un salto di qualità rispetto alla vecchia Provincia, per il rilancio della nostra economia, produttrice di nuovi progetti per rafforzare la competitività e irrobustire il sistema delle imprese. Ma senza un’idea forza di Milano non sarà così. Eppure nemmeno un consiglio comunale è stato convocato sul merito di questa nuova opportunità. Milano avrebbe già potuto intervenire con il suo peso per cambiare il quadro di riferimento di una legge istitutiva folle e scritta male, avrebbe già potuto trovare alleanze istituzionali ed economiche, avrebbe dovuto già creare le condizioni perché nel 2016 ci siano elezioni a suffragio universale del sindaco e del consiglio metropolitano per superare l’obbrobrio delle elezioni di secondo grado. Avrebbe potuto mettersi alla testa di un progetto che a tutt’oggi non c’è. Non l’ha fatto. Perché?

Infine. Occorre recuperare una visione istituzionale, alta e forte. Cultura di governo, capacità di indirizzo e di decisione in tempi ragionevolmente brevi. Idee chiare per innovare il governo della città, per rispondere a bisogni crescenti, anche sulle grandi cose. Un programma politico che sta dalla parte dei milanesi che soffrono di più (ceti medi compresi) e di quelli che vedono aumentata la forbice delle diseguaglianze. Nella consapevolezza che la somma di tante piccoli interventi, non fa una politica generale. Una politica che sappia parlare anche a coloro che sono critici o persino delusi, e ai quali non basterà dire “che si sono incontrate molte difficoltà”, né basterà accontentarli con un po’ di demagogia. Una politica che sappia recuperare, anche nei pochi mesi che rimangono, il senso vero della partecipazione allargata e popolare della vittoria del 2011, che non è la vittoria di un sindaco, ma di un idea di cambiamento e di una comunità larga.

È in questo quadro di problemi che si colloca il dibattito ormai aperto sul dopo Pisapia uno.

 

Roberto Biscardini



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