28 gennaio 2015

IL QUARTIERE ISOLA A MILANO: UN NUOVO PARADIGMA URBANISTICO SOCIALE?


Il dibattito architettonico e urbanistico sulla città di Milano si è focalizzato, da qualche anno a questa parte, e non solo su questo giornale, sui grandi interventi di rigenerazione urbana che l’hanno ri-portata, almeno dal punto di vista della promozione, a competere con le altre grandi capitali europee. Progetti e realizzazioni che hanno segnato il passaggio per la nostra città, da una “etica della produzione”, a una “estetica del consumo”, in cui le retoriche dell’architettura contemporanea – pensiamo solo all’alleanza stretta tra verde e high-tech – sembrano acquietare emotivamente le ansie suscitate, in particolar modo, dall’estendersi sempre più pervasivo del paesaggio dello sprawl e dalle sue dinamiche speculative, spesso sommerse o ai limiti della legalità. Una polarità che ha spesso distolto l’attenzione dalle ricadute che tali nuovi innesti producono sul tessuto edilizio tradizionale, ma anche e soprattutto sul tessuto socio-culturale, in particolar modo se ben consolidato e caratterizzato.

08ricci-rovere04FBIl quartiere Isola-Garibaldi è da questo punto di vista esemplare. Due modelli di città collidono oggi in quest’area di Milano: da una parte la città storica con le sue stratificazione morfologiche e culturali, dall’altra la metropoli globale con le sue retoriche non solo iconografiche. La rigenerazione urbana che sta avvenendo a Porta Nuova sul sedime delle vecchie infrastrutture ferroviarie e sui suoi bordi, rappresenta insieme a City Life, l’emblema per Milano del nuovo approccio market oriented: un ring di grattacieli e edifici pubblici che delimitano un nuovo parco urbano (una delle aree pedonali pubbliche più grandi di Milano) che diviene lo specchio dell’edonismo estetico operato dalle nuove figure di developers, portatori di moderni criteri economico finanziari. Un’operazione immobiliare – un’enclave isolata e uniformata dal valore iconico di ogni edificio – più che un organico frammento di città, che, come si sa, è stata aspramente criticata da una parte e a-criticamente osannato dall’altra.

A nord dell’area di questi grandi interventi il quartiere Isola rappresenta un ultimo frammento della città storica prima dell’indifferenziato paesaggio metropolitano. Il quartiere deve la produzione di località alla sua isolatezza fisica dalla città a causa della costruzione della linea ferroviaria, che costituiva una barriera fisica a sud rispetto al resto del tessuto edilizio. All’Isola c’è poco traffico, non vi è folla, e i bar sono veri punti d’incontro, come nei paesi di provincia: vi si trovano associazioni culturali, atelier artistici e artigianali e librerie; vi si trova una pluralità sociale ricca ed eterogenea assente in altre zone della città.

Anche dal punto di vista della morfologia urbana e dell’architettura l’Isola mostra alcuni caratteri distintivi: un tessuto mediamente denso in cui si trovano alcuni palazzi Liberty, case di ringhiera e cortili, edifici razionalisti (Lingeri-Terragni), nodi monumentali in cui si fondono edifici religiosi, pezzi di archeologia industriale, spazi verdi, distribuiti tra piazze, piazzette, e piccoli parchi-giardino. Il timore più grande per gli isolani è quello per un processo di gentrification innescato dai nuovi interventi, che inesorabilmente possa snaturare l’identità e l’unicità della zona, favorendo l’arrivo di un nuovo tipo di residenti abbienti e trendy, con il rischio di annacquare le tradizioni proletarie e industriali dell’Isola. Preoccupazione che ha contribuito e rafforzato ulteriormente il collante identitario del quartiere e ha prodotto una sorta di resistenza attenta e critica alle trasformazioni in corso.

Formatasi storicamente sul bordo di profonde trasformazioni urbane, l’Isola ha mostrato attraverso la sua genesi storica, e mostra oggi, eccezionali doti di adattamento alla modificazione. Questa capacità di un sistema complesso di adattarsi agli eventi traumatici e alla modificazione delle circostanze, che non è da intendersi come aspirazione conservatrice, viene identificata oggi dalla parola “resilienza”. La resilienza è un modo di resistere senza innalzare barriere, un modo di vincere attraverso il principio taoista della cedevolezza, come vediamo in alcune tecniche di lotta orientale: adattandosi immediatamente alla “forma” del combattimento, e utilizzando a proprio vantaggio “tutte le forze che si vengono a creare in un ravvicinato campo di sinergie fulminee fra due avversari”.

Così succede che oggi attraversando il quartiere ci si trova immersi in un clima da comunità locale molto accentuato, ma nello stesso tempo respiriamo un’aria da metropoli globale. Si ha cioè l’impressione – immaginiamo quando gli ultimi edifici saranno completati, e il parco sarà un giardino fiorito – che questi due modelli insediativi possano coesistere generando occasioni e stimoli reciproci. Sarà la forza resiliente del quartiere Isola a interpretare e a mediare gli influssi di un diverso modo di vedere e di vivere tutto orientato all’emotività del consumo, arricchendosi di ulteriori differenze, o il vecchio tessuto connettivo fatto di relazioni sociali e culturali diversificate, oltre che di rapporti spazio-temporali, sarà assorbito, snaturato e omologato dalla forza pervasiva dei nuovi modelli e desideri, creati da un mercato che non è detto possa durare nella sua attuale esuberanza globale?

Mario Ricci e Nicola Rovere



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