21 gennaio 2015

ISCRITTI E ELETTORI NELLA CARTA DEI CIRCOLI DEL PD


Nell’ultima riunione del 2014 la Direzione del PD Metropolitano Milanese ha approvato la Carta dei Circoli, un documento che vuole essere un primo contributo alla riorganizzazione del PD milanese, sintesi finale di un percorso iniziato all’ultima Festa dell’Unità e ben impostato dal punto di vista del metodo (1). È una buona occasione per esaminare e approfondire alcuni dei nodi che il PD ha di fronte. Mi limito qui, per motivi di spazio, a qualche considerazione sul rapporto tra iscritti e elettori.

03draghi03FBCome avverte l’epigrafe, la Segreteria si proponeva di arrivare alla stesura di una Carta che sancisse un patto tra “centro” (segreteria e direzione) e “periferia” del PD (i circoli), il primo a maggioranza renziana (eletto con le primarie aperte) fautore del nuovo “partito degli elettori”, la seconda territorio ancora in larga misura presidiato dai militanti tradizionali (la “Ditta”), sostenitori del “partito degli iscritti”. Una frattura sulla concezione del partito e della sua forma organizzata che rischiava di allargare quella già ampia sulla linea e le alleanze politiche, sul programma di governo e sulle riforme.

Per questo, la Carta voleva “nell’Area metropolitana milanese lanciare un nuovo modello di rapporto tra il “centro” e la “periferia”, che metta al centro obiettivi e orizzonti condivisi, garantendo il buon funzionamento del Partito metropolitano a ogni livello, aprendolo maggiormente agli elettori.” [dalla presentazione]

La Carta licenziata dalla Direzione è molto al di sotto di queste ambizioni, evita le questioni più importanti che il PD (come altri partiti) ha di fronte e si limita in sostanza a meglio definire e rinvigorire il partito di zona, entità intermedia tra i circoli e la segreteria metropolitana. Operazione utile a rinsaldare il controllo del partito “centrale” sulla “periferia”, ma non certo a rianimare la vita stentata di molti circoli. E che anzi può avere effetti opposti come la riduzione della dichiarata autonomia dei circoli o un incentivo al loro accorpamento. Niente di male se due circoli uniscono le loro risorse, ma se a Milano città l’organismo politico di zona si rafforza, che spazio in futuro potranno avere i circoli? Se il partito ha come missione principale quella di conquistare consensi e governare le amministrazioni locali, che senso ha mantenere in vita organismi di partito, come i circoli, che non hanno alcun corrispettivo istituzionale?

Non è chiaro dunque quale trade-off stia alla base del patto tra centro e periferia del partito, perché nella Carta i grandi assenti sono proprio gli iscritti e gli elettori. Anche accettando l’idea che la Carta fornisca solo “linee guida e indicazioni di buon senso“, sorprende che nulla si dica su come i circoli possono sostenere il tesseramento, fronteggiare il calo degli iscritti e la loro mutazione in una situazione politica profondamente cambiata, e come possano motivare gli elettori a una più intensa partecipazione alla vita di partito. Rade e generiche formulazioni sparse nella Carta indicano che le iniziative dei circoli devono essere “sempre aperte agli elettori“, che il segretario deve “guidare il Coordinamento, valorizzando il ruolo degli iscritti, mantenendo alta l’attenzione verso gli elettori e i cittadini“.

È davvero troppo poco davanti alla crisi dei partiti e della loro organizzazione, ormai conclamata da decenni, a destra e a sinistra, in Italia e in altri Paesi. Ci si poteva aspettare che nella presentazione della Carta si delineassero i punti fondamentali di questa crisi e si proponessero principi e norme, anche sperimentali, su cui avviare, a partire dalla base e certo con un percorso lungo e non facile, la ricostruzione di una organizzazione che aiuti il partito a rimontare il deficit di rappresentatività e la caduta, in qualità e quantità, della partecipazione alla vita politica. Per ridare alla politica la reputazione perduta e per rimotivare nuovi volontari al servizio della collettività. Insomma per provare ad abbozzare il nuovo profilo organizzativo del partito del XXI secolo, almeno a Milano. Ma di ciò non vi è traccia.

L’idea semplice che “un partito più aperto agli elettori è un partito che funziona meglio” è molto ambigua e rischia di essere ormai obsoleta. Le primarie, che hanno rappresentato una grande risorsa e la vera innovazione introdotta dal PD nel sistema politico italiano, hanno urgente bisogno di una revisione delle regole per fermare il degrado che le ha colpite, come da ultimo in Liguria. Forse anche per questo tendono a calare gli elettori, quelli veri (in Emilia) e quelli virtuali (nell’ultimo sondaggio Ipsos del 18 gennaio).

Se la formula “partito degli elettori” vuole essere la ricetta adatta a guarire la malattia ereditata dal PCI (“Il piatto di lenticchie elettorale non vale la perdita dell’anima politica”) allora serve a ben poco e arriva con grande ritardo: il PD (come d’altronde chi l’ha preceduto PDS, DS e Margherita) è ormai da tempo partito elettoralistico, interclassista e prenditutto. Se invece “partito degli elettori” vuole indicare un’alternativa al ruolo centrale degli iscritti, sostituiti da primarie aperte o consultazioni on line non governate e non controllate, allora deve essere chiaro a tutti che i rischi di dissoluzione del partito si fanno più concreti. Come aveva molto autorevolmente suggerito la sentenza della Corte Suprema USA sulle primarie californiane o come dimostra la più recente e nostrana parabola del M5S.

 

Stefano Draghi

(1) Largo dibattito preliminare, costituzione di un gruppo di lavoro, interviste a esperti e esponenti politici, stesura preliminare, dibattito in Direzione, stesura finale.



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