21 gennaio 2015

ROTTAMARE PER RIQUALIFICARE: UN FONDO PER LA ROTTAMAZIONE IMMOBILIARE


Proviamo a immaginare un vecchio capannoncino con tettoie e superfetazioni, tra un viale urbano e un’area a verde realizzata come standard da un nuovo complesso. Il suo valore immobiliare è appeso alla possibilità (o scommessa) di una sua trasformazione urbanistica: ma per farne cosa? Un nuovo cubetto fuori scala e di difficile mercato? Si tratta di un limbo immobiliare in cui qualsiasi proprietario può solo difendere strenuamente (e comprensibilmente) i suoi interessi.

08bonomi03FBSe ci fosse un soggetto in grado di agire per conto della collettività per acquisire tale “capannoncino” a un ragionevole valore di mercato (in una fase in cui i tempi e gli scenari futuri appaiono favorevoli) e restituire tale area a verde collegando il viale al giardino retrostante, la collettività (tutti noi anche se abitiamo da un’altra parte della città) ne trarrebbe un grande vantaggio. Quello che manca è un soggetto in grado di compensare una “perdita” specifica con i “guadagni” generali, e di operare sul mercato con ruolo “da privato” ma nell’interesse collettivo.

Obiettivo – Di rottamazione immobiliare, o urbana (volendo considerare non solo gli edifici obsoleti ma anche le infrastrutture abbandonate o superate) se ne parla ma non si concretizza: che cos’è, chi la fa, etc.; tutto molto interessante, in linea di principio, in pratica le priorità di tutti sono diverse: ora per esempio il dibattito si concentra sulla città metropolitana, sullo sconto sugli oneri di urbanizzazione per sostituzione, ma forse sarebbe opportuno allargare un po’ l’orizzonte, evitando peraltro il benaltrismo.

L’obiettivo specifico è quindi la predisposizione di
uno strumento operativo per attuare la rottamazione edilizia ai fini della riqualificazione urbana.

Il Fondo per la Rottamazione (FR) – Il principio è quello di un Fondo di rotazione destinato alla riqualificazione urbana mediante la rottamazione di manufatti urbani che confliggono con gli obiettivi delle politiche urbanistiche. Inteso come fondo di rotazione, esso prevede una dotazione iniziale, degli investimenti che generano ritorni adeguati consentendo il reintegro del capitale e quindi generando nuovi investimenti.

Le risorse del FR possono avere diverse fonti, diversificate per priorità, facilità e scelte politiche che, in linea di massima, possono essere:

* Gli oneri di urbanizzazione: è evidente che questa fonte andrebbe a sottrarre gettito alle esigenze di cassa del Comune, ma sarebbe perfettamente rispondente ai principi ispiratori delle urbanizzazioni stesse, essendo gli interventi prodotti dal FR un perfetto esempio di urbanizzazioni di scala superiore.

* Diritti volumetrici perequativi: computati sulle aree pubbliche, essi potrebbero essere offerti sul mercato a valori di mercato, con ciò – tra l’altro contribuendo a far decollare un mercato, di tali diritti appunto, che per ora è solo una chimera.

* Tassazione di scopo: strumento esistente (si è usato per la MM1) e rilanciato (da ultimo con il D.Lgs. 23/2011) vedrebbe in questo strumento il braccio operativo atto a selezionare e gestire progetti complessi.

Non si può escludere anche la cessione di volumetrie in sostituzione (evidentemente in riduzione, ma di qualità, con progetto di massima da cedere o concedere a privati) da cui possano generare ulteriori proventi. L’entità/peso delle diverse fonti deve essere oggetto di uno studio di fattibilità.

Come impiegare le risorse: si tratta appunto dell’oggetto della riqualificazione urbana, e l’oggetto non è trovare gli interventi, ma di selezionarli in base a priorità e criteri trasparenti e condivisi. In linea di principio, la natura dello strumento, il concetto di rottamazione per la riqualificazione, porterebbe a privilegiare la ricostruzione del verde, e poi i servizi alla collettività.

Gli impieghi devono – nei limiti del possibile – avere un ritorno economico (superfici date in concessione per impianti sportivi, spazi ludici, etc. ) o, al limite, benefici che possono essere rendicontati in altra maniera (utili virtuali), ma tale da misurare le performance del FR.

Governance – La raccolta di risorse e il loro investimento non dovrebbero essere un problema se ci fosse una volontà determinata ad attuare il progetto. Piuttosto, caratteristica del progetto è (deve essere) quella dell’indipendenza e dell’autonomia: stabilite le regole – pubbliche – è opportuno che il Fondo, tramite il gestore, operi come un privato, un vero e proprio Fondo Mobiliare che investe e ritrae proventi economici (o benefici equiparabili a ricavi) con la trasparenza di un Fondo quotato.

Si avrebbe quindi il gestore privato che attua le strategie decise dall’Ente Pubblico, con quest’ultimo che controlla i risultati. Non potendo dire che l’azione pubblica sia più trasparente di quella privata (entrambe hanno un lato oscuro), la garanzia deve essere la trasparenza, e questo FR, con le norme vigenti, appare attualmente quanto di più trasparente ma anche efficace ci possa essere.

La complessità di questa governance deriva dall’intersettorialità: molteplici sono gli attori che devono dare le strategie che il gestore del Fondo deve attuare: infatti l’Amministrazione comunale (o metropolitana) legge il territorio con più “ottiche” e agisce con più braccia, interagendo con altri poteri: la gestione strategica del FR risulta inevitabilmente complessa e richiede un’attribuzione di poteri che concili trasparenza, definizione dei ruoli e autonomia operativa, evitando le secche dei veti incrociati e dei conflitti sotterranei: un tema di governance molto complesso evidentemente.

Ci sono anche altre criticità in questa idea: oltre alla complessità data dal “mettere a bilancio” i benefici oltre che a costi e ricavi, l’aspetto più complesso è la duplice cerniera che collega questo strumento da un lato alla realtà dell’amministrazione pubblica e dall’altro con il mercato: un ruolo estremamente complesso, ma è anche il suo stesso motivo di esistere. È prevedibile una forte resistenza da parte della struttura amministrativa pubblica che sentirebbe intaccato il suo ruolo, ma va sottolineato che il FR svolgerebbe una funzione che oggi semplicemente non esiste.

D’altro canto l’Amministrazione Pubblica non dispone di strumenti per incidere operativamente sul territorio se non l’esproprio, che non appare applicabile nei casi qui ipotizzabili.

È importante osservare invece che il FR non può che essere strumento per le scelte espresse dell’Amministrazione tramite lo strumento canonico, il PGT, ed eventualmente da altri attori a scala minore (quartieri e consigli di zona) o superiore (la città metropolitana). Qui peraltro si entra in temi fin troppo noti e dibattuti, ma lo strumento FR non contrasterebbe bensì sarebbe strumento operativo in grado di attuare strategie e scelte amministrative di diversi livelli gestionali e scale territoriali.

Mi viene da dire che la visione (i principi) devono nascere dalla lettura a grande scala, ma le scelte e le priorità operative devono essere a scala di cittadino, quindi di quartiere: think globally, act locally in salsa metropolitana!?!

 

 

Giuseppe Bonomi



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