21 gennaio 2015

LO SPAZIO PUBBLICO E GLI EFFETTI PERVERSI DEI REGOLAMENTI


Niente è più profondo e pervicace di un regolamento attuativo: così come gutta cavat lapidem, articoli e commi formano (deformano?) lo spazio pubblico. Norme, apparentemente indolori, che replicate infinite volte su ampia scala danno il tono alla qualità del paesaggio urbano. Regolamenti che si sovrappongono, competenze che si intrecciano, adempimenti che generano OGM urbani. Il più noto è forse il dehors.

09mattace03FBL’occupazione del suolo pubblico, ha un suo regolamento che ne determina un canone (la fantomatica Cosap) e un suo disciplinare – “Disciplina del diritto ad occupare il suolo, lo spazio pubblico o aree private soggette a servitù di pubblico passo, mediante elementi di arredo quali: tavoli, sedie, fioriere, ombrelloni, tende solari, tende ombrasole, pergolati, faretti, pedane mobili, gazebi, dehors stagionali e altri elementi similari”. Fondamentale rispetto alla Cosap è la delimitazione dell’area, che distingue lo spazio in concessione dal restante suolo pubblico, quello per cui pago da quello che no: in particolare per gli esercizi di somministrazione come elementi di delimitazione sono di fatto normate le fioriere. Il colore dei vasi, la disposizione, addirittura le essenze e la loro altezza: “Lauro, Pittosforo, Aucuba, Viburno, Ilex Aquifolium, Lonicere” che meglio resistono a parassiti e malattie, garantendo una buona e facile manutenzione (sic!).

Una volta delimitata l’area tocca coprirla con un telo e/o tettoia che la protegga da “fonti di insudiciamento” (il guano del volatile che famigliarmente alberga a Milano, piuttosto che la cicca dell’annoiato impiegato del piano di sopra …) così come prescritto dal Regolamento di Igiene (Titolo IV Igiene degli alimenti e delle bevande) per la somministrazione in pertinenze esterne.

Da quando si è introdotto il divieto di fumo nei locali pubblici, le pertinenze esterne sono diventate naturali rifugi per fumatori incalliti: vogliamo forse lasciarli al freddo? Giammai! Ecco che pullulano i funghetti (stufe a ombrello, una bombolona a gas con un bruciatore rialzato e paravento a copertura). Ma per climatizzare più efficacemente meglio sarebbe tamponare quel che resta tra le piante in vaso e gli ombrelloni: una tendina trasparente farebbe proprio al caso nostro. Ed ecco qui la scatola si è confezionata da sola! Ma che orrore quei teloni trasparenti svolazzanti, a questo punto meglio un dehors costruito per bene, pulito, in vetro, trasparente … (il pensiero dell’amministratore solerte che ambisce a una città pulita e ordinata).

Ne siamo proprio sicuri? Non ha forse tutto origine dalla finalità (art.2.1 Disciplinare) degli elementi di delimitazione perché “Tali manufatti vengono utilizzati al fine di evitare che persone o cose fuoriescano dall’area in modo disordinato”, ovvero che il cliente non se la dia a gambe levate senza pagare la consumazione? Nelle pubblica piazza ci tocca fare lo slalom tra questi coacervi di masserizie organizzate solo perché non prendiamo l’abitudine di pagare prima lo scontrino? O perché i gestori non si fidano a sufficienza dei camerieri che potrebbero esigere il pagamento seduta stante alla consegna della comanda? (come d’abitudine in tutto il resto d’Europa?)

Hai un bel dire che “In centro storico, nelle aree pedonali recentemente riqualificate e/o di maggior prestigio per la città, tali elementi di delimitazione possono essere introdotti in misura minima.” e che “Le recinzioni devono garantire la percezione visiva complessiva del contesto urbano specifico”: basta una bella passeggiata in via Vittor Pisani per avere il catalogo del dehors cacofonico, e paradossalmente in prossimità di un porticato!

È come se il regolamento agisse sull’aspetto hard, dello spazio, avendo noi rinunciato a priori al disciplinamento di quello soft, del comportamento, così come per evitare che le macchine parcheggino sui marciapiedi posiamo “parigine” a più non posso o facciamo i cordoli a doppio scalino, invece di multarle. Impostiamo una serie di regole che generano modifiche profonde sulla struttura dello spazio pubblico e della sua fruizione collettiva perché non abbiamo l’ambizione di modificare la nostra (o l’altrui?) condotta e finiamo per compromettere la bellezza delle nostre città pagando tutti il prezzo per la maleducazione di alcuni. Vista così non sembra un grande affare.

 

Giulia Mattace Raso

 



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