21 gennaio 2015

la posta dei lettori_21.01.2015


Scrive Gianni Fodella a proposito della linea MM4 – Vorrei vedere dibattuto nelle vostre pagine il problema che la costruzione della linea della MM4 causerà a tutti i milanesi e non soltanto a chi abiti nella zona interessata ai lavori. Perché prevedere le trincee profonde da scavare partendo dalla superficie? Sembra che i lavori per costruire linee ferroviarie sotterranee siano ovunque nel mondo realizzati senza trasporto di terra in superficie, ma con un metodo di trasporto sotterraneo dei detriti che evita l’uso di escavatori e il transito di camion carichi di detriti che devono attraversare la città.

La costruzione dei parcheggi sotterranei e delle linee esistenti della MM hanno creato danni enormi alla salute di tutti, creato disagi di ogni genere e costretto molti esercizi addirittura a chiudere perché i lavori in corso (durati anni) hanno fatto dirottare altrove i clienti abituali e potenziali. Negli ultimi due giorni si sono sentite e viste in televisione ripetute e dettagliate informazioni relative alla MM4 e i responsabili del Comune di Milano si sono scusati per i disagi che la costruzione comporterà. Nessuno ha parlato delle possibili alternative costruttive !!! Forse perché la malavita organizzata guadagna di più con i metodi tradizionali di scavo ed estorsione? Vorrei precisare che chi vi scrive non abita lungo il percorso della MM4.

Scrive Marco Ponti ad ArcipelagoMilano – Osservazioni sparse su alcuni recenti articoli di ArcipelagoMilano. 1) Sui trasporti pubblici, i media lombardi e milanesi continuano a prendere per buona la zuppa (bipartisan) che passa il convento della politica: ci sono tagli atroci dei fondi statali, per cui occorrerà o tagliare i servizi o alzare le tariffe, e questo al fine di allarmare gli utenti e averli a supporto di infinite richieste di soldi. Ridurre i costi, mai. La Regione ha addirittura deciso di prolungare senza gara l’affidamento dei servizi su ferro fino al 2020. (in parte riaffidandola a se stessa, socia di Trenord), dicendo che va benissimo così. Non sembrano dello stesso parere né i viaggiatori, né i contribuenti, questi ultimi i pagatori (in Italia) di gran parte dei costi del servizio. Il comune, da parte sua, ben si guarda solo di parlare di gare per ATM, mentre decide serenamente di costruire la linea MM4 con oneri crescenti di cui non si intravede copertura. Ma per adesso il bilancio è in pareggio … poi qualcuno pagherà (indovinate chi?).

2) È vezzo diffuso di molti commentatori prendersela ferocemente con il mercato e l’”ideologia liberista dominante” (cfr. Gario). Dimenticano alcuni dettagli: l’Italia è, tra i paesi sviluppati, uno dei meno liberalizzati. E non è che l’economia vada tanto bene. E ci abbiamo un debito pubblico tra i più alti del mondo, forse connesso alla presenza dominante dello stato in settori che non gli competono, e che ci impedisce oggi di fare serie politiche anticicliche. E siamo tra i paesi più corrotti. Certo non tutti questi fenomeni sono meccanicamente legati alla poca cultura della concorrenza che ci contraddistingue (che tra l’altro ha forti contenuti etici, al contrario di quella delle rendite monopolistiche). Ma avere qualche dubbio sembra legittimo.

3) Il pur ottimo professor Targetti sembra dimenticare che tutte le infrastrutture di trasporto non radiocentriche, cioè che servono flussi meno densi, richiedono molti più soldi pubblici di quelle che servono flussi concentrati. E questo vale certo per le autostrade, basta confrontare i sussidi necessari alla Pedemontana con quelli della vituperata Brebemi, ma non meno per eventuali opere ferroviarie o per metropolitane “esterne”. E poi non si può dimenticare, come si fa sempre perché “politically correct”, che delle autostrade nel peggiore dei casi lo Stato ne paga il 40%, ed il resto che le usa, cioè chi ne ha i benefici, mentre per ferrovie e metropolitano gli utenti pagano, se va proprio bene, i soli costi di esercizio, e spesso nemmeno quelli.

Infatti nel mondo anglosassone sta emergendo un altro neologismo: dopo “politically correct” incomincia a diffondersi  il termine “green marketing”, come nuova e crescente area di business …

Scrive Piero De Amicis a proposito di piazza Sant’Agostino – In relazione all’articolo “Lettera aperta da piazza Sant’Agostino” proprio con riferimento alle sacrosante lamentele espresse dagli autori della “lettera”, desidero informare su quanto segue: Negli anni 2007/2008, nell’ambito del piano Comunale dei Parcheggi, fu presentato ai competenti uffici del Comune di Milano dall’allora promotore, così definito a seguito dell’espletamento dell’apposito bando di gara, il progetto del parcheggio interrato in piazza Sant’Agostino comprensivo della sistemazione superficiale della piazza stessa, redatto dallo studio “deamicisarchitetti” di Milano.

Tale sistemazione prevedeva il mantenimento del mercato bisettimanale secondo dimensioni e modalità concordate con i responsabili comunali del Settore Commercio unitamente alla piantumazione di 100 alberi, disposti secondo un preciso disegno geometrico, e alla razionalizzazione del traffico veicolare ai margini della piazza.

Il progetto della sistemazione superficiale si proponeva la riqualificazione complessiva del luogo, assegnandogli la duplice funzione di sede del mercato nei giorni di martedì e sabato e, per tutto l’altro tempo, di spazio alberato di sosta completamente separato dal traffico. Per una serie di ragioni di carattere generale, il parcheggio interrato è stato annullato ma la sistemazione superficiale prevista dal progetto resta tuttora valida, potendo fra l’altro contare su un aumento dello spazio godibile per la scomparsa delle attrezzature legate al parcheggio.

Recentemente da parte dei progettisti è stato riproposto alla Amministrazione Comunale il progetto della sistemazione superficiale della piazza, ritenendolo ancora del tutto attuale e adeguato alle aspettative dei residenti nella zona, ma al di là di un generico interesse, non è stato espresso dalla Amministrazione alcun indirizzo concreto. Il progetto è stato pubblicato sull’ultimo volume edito da Skira sulle nuove architetture a Milano.

Scrive Gregorio Praderio a proposito delle aree Expo – Fra le varie questioni da affrontare per delineare il futuro delle aree Expo a mio parere c’è anche quello dell’accessibilità automobilistica: teoricamente ottima, viste le varie infrastrutture autostradali esistenti in zona, ma in realtà debole, visto il livello di carico della Torino – Venezia e della Milano – Laghi (per esperienza personale, ma credo di molti, perennemente in coda già adesso). Nella documentazione ufficiale per ora non ho notato nulla di particolarmente risolutivo sul tema, se non appunto la presa d’atto delle infrastrutture esistenti. Aggiungerei questo ai già numerosi problemi evidenziati.

Scrive Umberto Puppini a proposito dell’area Calchi Taeggi – Mi permetto di commentare, da tecnico quale sono, che la messa in sicurezza è una procedura ben definita dalle norme vigenti in materia ambientale. Non comporta costi di manutenzione particolarmente onerosi e comunque infinitamente inferiori a quelli del trasferimento di una discarica in un altro sito, operazione che avrebbe essa stessa un impatto ambientale a dir poco notevole. Da un punto di vista storico, bisogna ricordare che tutte le città, e dunque anche Milano, sono costruite sulle macerie delle demolizioni, che contengono rifiuti di varia natura. C’è un intero quartiere a Quarto Oggiaro con costruzioni erette negli anni settanta su una grande cava colmata di rifiuti, per fare uno dei tanti possibili esempi.

La questione urbanistica è delicata e devo presumere che sia stata ben valutata da chi ha fatto le scelte citate nell’articolo. Al di là della reazione che può destare l’odore degli interessi in gioco, a me le scelte fatte appaiono chiare e condivisibili. Mi sembra invece difficile immaginare come la proprietà abbia saputo vedere così lungo da orchestrare l’esito di una vicenda che si è prolungata per decenni, con le norme nazionali in materia ambientale che cambiavano strada facendo.

Replica Sergio PennacchiettiChe in tante altre aree, anche a Milano, nei decenni passati si sia costruito su ex-cave riempite di rifiuti senza bonificarle è più che certo; ma la speranza e l’impegno di tutti dovrebbe essere che non accadano più cose simili. Certamente il Comitato valuta positivamente che l’area di Calchi Taeggi venga messa in sicurezza. Le preoccupazioni riguardano semmai le modalità tecniche dell’intervento, visti gli alti livelli di inquinamento di terreno e falda e le grandi dimensioni dell’area (circa 260.000 mq!) che verrebbe coperta con teli di 1,5 mm. saldati tra loro. Oltre ai rischi di possibili rotture del telo (radici di piante, scavi incontrollati…) con il pericolo di percolazione delle acque meteoriche, si dovranno necessariamente tenere sotto controllo i sistemi di laminazione, le barriere idrauliche necessarie per monitorare l’inquinamento della falda, i gas interstiziali, ecc.

Quello comunque che a parere del Comitato desta scandalo in questa vicenda è il fatto che il Comune riconosca automaticamente il trasferimento (dove? su aree di chi?) dei diritti edificatori a chi non ha rispettato la Convenzione, firmata quando già conosceva bene le condizioni dell’area per la quale chiedeva i permessi di costruire. E’ la solita storia di bonifiche promesse che poi, per una ragione o per l’altra (ma quasi sempre perché costano!), non vengono fatte.

Scrive Jacopo Gardella a proposito di Piazza Alfieri – Scrivo per complimentarmi con Renzo Riboldazzi e con te per la sarcastica critica comparsa su ArcipelagoMilano del 7 Gennaio 2015 e rivolta al complesso urbano di Stazione Bovisa, Piazza Emilio Alfieri, triangolo ferroviario “La Goccia”. Alle pungenti osservazioni dell’autore voglio aggiungere soltanto quest’ultima mia. Da più di venti anni ogni mattina centinaia di studenti e decine di docenti escono dalla Stazione Ferroviaria, attraversano la piazza e si dirigono alla Facoltà di Architettura e di Design, in via Durando. Sono studenti e docenti – va sottolineato – non di medicina, non di diritto, non di lettere, ma di architettura, di urbanistica, di paesaggio.

Possibile che nessuno di loro abbia mai notato l’indecenza dello spazio urbano che va dalla Ferrovia alla sede della Università? Possibile che a tanti studenti, destinati a diventare futuri architetti, non sia mai sorto il desiderio di conferire alla piazza un più decoroso aspetto architettonico? Possibile che tanti insegnanti impegnati nella professione di architetto non abbiano mai pensato di assegnare ai loro allievi il compito di riprogettare la piazza ed i suoi dintorni? L’intera Facoltà di Architettura avrebbe potuto prendere l’iniziativa ed impegnarsi ed elaborare un progetto di questa desolata parte della città; e avrebbe poi dovuto offrirlo al Comune di Milano affinché invitasse costruttori pubblici e privati a finanziare e a realizzare l’opera.

Ricordo un episodio di scoraggiante abulia che aveva amareggiato l’arch. Aldo Rossi quando ancora insegnava a Milano: era venuta ospite della Facoltà di Architettura la nota compagnia di attori americani appartenenti al Living Theatre. Nell’aula disponibile per la rappresentazione occorreva allestire un rudimentale palcoscenico utilizzando sgabelli e tavoli da disegno: il tema si presentava entusiasmante per chi sarebbe diventato un futuro architetto; una prova stimolante da mettere in pratica con entusiasmo ed immaginazione. Fu triste constatare che la sfida non venne raccolta dagli studenti; non suscitò nessun interesse; non stimolò nessuna inventiva. Tanto che ci si chiedeva attoniti chi obbligasse tanti giovani ad iniziare un corso di studi lungo ed impegnativo quando di fronte alla fortuna di mettere concretamente alla prova la loro capacità creativa si defilavano svogliati e si mostravano indifferenti.

Tuttavia incolpare soltanto le giovani generazioni sarebbe una ingiustizia: la colpa è piuttosto delle generazioni adulte che non sono capaci di aprire prospettive, di suscitare speranze, di offrire occasioni; e così facendo spengono anche le energie migliori.

 



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