14 gennaio 2015

MILANO E IL NUOVO SINDACO TRA TELENOVELA E THRILLER


Il 2015 della politica milanese sarà caratterizzato da Pisapia e dalla domanda si ricandida o no? Finora come una fanciulla di Delly il sindaco si è negato a rispondere ma da giorni il tam tam dei bene informati propende per il no. Altri sempre ben informati avvisano che è una tattica per far uscire allo scoperto gli avversari mascherati e chiarire il contesto politico altri ancora che è un sondaggio per vedere se gli offrono la Corte Costituzionale. Indipendentemente dalle scelte finali, non alle viste, il solo fatto che si concretizzi un’ipotesi di ritirata, manda in ansia il demi monde della politica. In primo luogo perché gestire una città preannunciando la dipartita diventa molto difficile, in secondo luogo perché necessariamente si aprirebbe una interminabile campagna elettorale nella quale tutti i protagonisti dovrebbero ricollocarsi, fare scelte che avrebbero volentieri rinviato, ed essere pesati. Volendo approfondire potremmo suddividere l’ansia per livelli.

02marossi02FBLivello 0 – Fratelli d’Italia, Scelta Europea et similia, UDC, Movimento 5 stelle possono serenamente affrontare l’anno convinti che non sarà peggio del 2014 in cui nessuno si è accorto della loro esistenza. Un eventuale apertura dei giochi delle candidature gli darebbe un po’ di ossigeno. NCD addirittura potrebbe giocare qualche ruolo importante com’è avvenuto nelle primarie liguri.

Livello 1- Il PD finora ha evitato le lacerazioni alla ligure perché non c’è stata necessità di primarie. Forte del 44,9% delle europee deve bissare il successo alle politiche, per questo ha caldeggiato l’ipotesi di cooptare Pisapia nel partito o almeno nel renzismo in modo da eliminare ogni possibile concorrenza. Il sindaco che capeggiasse un civismo poco renziano innervosisce, tanto più che parla di un “ponte” verso un mondo rispetto al quale i renziani vorrebbero invece un argine, visto che la legge elettorale parla di premio alla lista e non alla coalizione.

Dover scegliere un candidato a sindaco ridefinirebbe le gerarchie interne traballanti dai tempi della dipartita di Penati, è vero che Renzi ha preso il 60,40% dei voti alle primarie, ma il sansepolcrista Bussolati il 33% e deve sorbirsi una gestione unitaria. Compito difficile quello di Bussolati che deve governare un’organizzazione ricca di voti ma perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, dove il peso burocratico parassitario dei vecchi gruppi dirigenti spesso accidiosi è spropositato rispetto al loro peso elettorale.

Senza soldi, in crisi di tesseramento, con molte prime donne sul viale del tramonto e molti caratteristi da verificare, il segretario è partito al contrattacco: la butta in politica, pone la questione centrale dell’ortodossia renziana: “o con Renzi o contro di noi”, perché “quella sinistra che verrà rappresentata nei prossimi giorni a Milano non è in linea con la volontà di cambiamento richiesta dal paese che questo governo sta interpretando”. In pratica: mettiamo alla porta i gufi ovvero meglio NCD che SEL come in Liguria, niente giunte anomale (do you remember). Cioè l’esatto opposto dello schieramento e del sentiment che ha portato Pisapia alla vittoria. Facile pensare che la scelta del segretario che lascia ipotizzare nuove maggioranze provocherà vivaci dibattiti.

Livello 2: il PACA (partito assessori civici e affini) – L’avvicinarsi delle elezioni riporta alla luce un’organizzazione tradizionale della politica italiana: il partito degli assessori, figure forti di un ruolo conquistato per meriti propri e decisione personale del sindaco, autonomi dai partiti, solidali con Pisapia fino al sacrificio (dei colleghi). La giunta ha due anime: 1) quella minoritaria degli assessori PD che vorrebbero Pisapia sindaco per 30 anni, che lo vorrebbero iscritto al PD o al renzismo di complemento, che aborrono sentir parlare di liste e alleanze nelle quali il loro peso decisionale è trascurabile. Certamente le prime vittime di un’eventuale rinuncia a ricandidarsi;

2) quella dei non PD e dei PD “quinta colonna” che lavora alla creazione di un rassemblement politico culturale alleato/alternativo al PD in cui far confluire tutte le anime del variegato mondo progressista: l’altra sponda per cui servirebbe un ponte. A questa sponda vorrebbero dare una lista e una minima organizzazione: per l’appunto il PACA. Vecchia storia quella della giunta che si trasforma in un ridotto politico, proprio a Palazzo Marino la prima fu 100 anni fa quando Caldara andò in conflitto con il suo partito. Il PACA è erede diretto dell’arancionismo e delle liste civiche con meno ambizioni palingenetiche e meno illusioni ma con un più solido ancoraggio (si sa per l’italico popolo l’assessore ha un fascino straordinario) nella società civile e nell’exismo (quel variegato mondo di ex qualche cosa che è sempre alla ricerca di un approdo).

Fautore di un sincretismo politico culturale meneghino, alieno a ogni omologazione romana, il PACA vuole essere il braccio armato di Pisapia ricandidato ma in base al detto “piutost che nient l’è mei piutost” potrebbe essere lo strumento di partenza di un nuovo “papa straniero”. Il comun denominatore del PACA è un’antipatia concorrenziale con il PD e una strategia “pas d’ennemis a gauche” che è l’esatto opposto di quella di Bussolati.

Livello 3 – Da anni c’è un 10% dell’elettorato critico con le politiche liberiste e di austerità, critico con le politiche sul lavoro del governo italiano, critico sull’atlantismo, oggi critico su Renzi, un mondo che fece dell’antiberlusconismo una ragione di vita e che rimpiange i bei tempi di quando si era all’opposizione. Fondamentali nell’elezione di Pisapia ma in generale nelle vittorie del centro sinistra (nelle elezioni a turno unico, doppio turno, di collegio anche se sono proporzionalisti) non hanno mai avuto un riferimento politico unitario. È il mondo di quelli che considerano gli elettori di destra antropologicamente diversi (dei pirla) che non ama Renzi ma che non riesce a trovargli un’alternativa. Dispersi in mille associazioni questa platea è corteggiata dal PACA, è base del progetto locale del neovendolismo, ma potrebbe votare anche la minoranza PD. Con ansia tirano per la giacchetta Pisapia che è con Doria, De Magistris, Leoluca Orlando un simbolo della resistenza al renzismo dominante.

Livello 4 – Più che di ansia per il centro destra occorre parlare di sindrome maniaco depressiva. Privi di candidati, privi di partito, privi di coalizione, sottoposti alla leadership alzhaimeriana di Berlusconi sperano tanto di poter rinviare scelte che provocherebbero ulteriori divisioni anche se l’apertura di un confronto politico personale nel centro sinistra con conseguenti autogol gli dà un po’ di ossigeno convinti (a mio avviso giustamente) che i voti ci sono mancano i guidatori. Nervosa anche la Lega conscia che il lepenismo è bello ma non produce né sindaci né assessori né presidenti di Asl e società. Taluni ricordano anche che in Milano i risultati elettorali stagnano attorno al 6/7% e solo la campagna elettorale di Maroni (con il contributo di Ambrosoli) consentì di aggiungere un 10% con la lista personale. La leadership bifronte Maroni Salvini difficilmente reggerà.

Livello 5 – Il massimo dell’ansia è quella dei candidati. In primis i parlamentari che tra legge elettorale, nuove alleanze, scissioni potenziali, primarie, rischio preferenze vivono notti insonni. Non meglio gli “spintaneamente” candidati a sindaco che la potenziale “diserzione” di Pisapia e/o le cronache locali buttano in pista. Nel PD ce ne sono una dozzina. Tra questi: Emanuele Fiano il più quotato, quello che tende a incarnare la continuità della tradizione “riformista” accusato però da sempre di essere poco “decisionista”; Lia Quartapelle, ormai candidata a tutto forse suo malgrado, che rischia l’effetto figlia del re di Siviglia “tutti la vogliono nessuno la piglia”; Pierfrancesco Majorino eterno attor giovane, che dovrebbe meditare Guicciardini: “per lo ordinario erra più chi delibera presto che chi delibera tardi; ma da riprendere sommamente la tardità ad eseguire, poi che si è fatta la risoluzione“; Fabio Pizzul che preferirebbe la Regione; Stefano Boeri che preferirebbe il parlamento; il ministro Lupi (non è errore del correttore bozze) et altri ancora. Nel PACA aspiranti candidati non esistono perché oggi farebbero la fine di Ravaillac, domani chissà. Nel centro destra preso atto del ministro Lupi (non è errore del correttore bozze) di Stefania Craxi, dell’autoproclamatosi Gallera si cerca tra ex banchieri e costruttori.

Su tutti, come ormai da alcuni lustri c’è l’ombra del candidato fuoriclasse, che renderebbe superflue le primarie e per taluni anche le elezioni, l’unico nome che il Corriere e Repubblica non fanno: Ferruccio De Bortoli.

 

Walter Marossi



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