28 settembre 2009

IN MORTE DI MIKE BONGIORNO


Non avrei, non avremmo, mai creduto di assistere ai funerali di Stato di Mike Bongiorno.

Piazza Duomo mezza gremita, la siepe dei politici di regime affratellati nel commosso saluto allo star system della TV nazionale, il ricordo affettuoso del monsignore di turno che rilancia lo spot “allegria”, tutto questo ci appare come una visione onirica, un qualcosa di deformato e di febbricitante, uno stato malato dell’anima sociale.

Eppure è stato tutto vero, non abbiamo sognato.

È esistito il funerale, sono in carne ed ossa le istituzioni ed i personaggi famosi che hanno portato l’estremo omaggio ad un uomo del quale il massimo che si poteva dire è alla fine il minimo che si può dire di ciascuno: è stato un brav’uomo.

E questo, solo questo, alla fine hanno detto.

Vi è qui una sproporzione talmente inaudita tra onori prestati e profilo della persona “onorata”, un’equivalenza così teatralmente tentata ed al tempo stesso così insostenibile tra un Bongiorno e un Luzi, o anche un Sordi, che saremmo tentati di respingerla in modo sprezzante.

Ma faremmo un grave errore, un errore di conoscenza, consistente nel mancato riconoscimento che questa realtà, così lontana dalla visione del mondo e dalla scala di valori su cui siamo cresciuti, è appunto reale, e in quanto tale contiene una sua razionalità che chiede di essere letta, conosciuta, spiegata e non solo esorcizzata.

Di Mike Buongiorno come fenomeno “televisivo” ha già detto parole definitive Umberto Eco quarant’anni fa, ma la questione ha assunto oggi, quarant’anni dopo, una diversa rilevanza, un diverso spessore, su cui conviene soffermarsi.

In realtà tutto è diverso da allora: è diversa la società, è diversa la televisione, è diversa la politica.

Soprattutto è diversa la relazione tra politica e televisione, essendo divenuta la televisione ad un tempo soggetto politico e mezzo di narrazione politica. Tra la TV del Maestro Manzi e quella del Grande Fratello ci sta poi una trasformazione radicale del costume nazionale, del sentire, del porsi o pro-porsi, una caduta verticale del modello TV come operatore culturale illuministico e l’affermazione di un linguaggio o di uno stile che ha visto dilagare la maschera dell’arcitaliano: chiacchierone nel privato e muto nel sociale, arrogante con i deboli e servile con i forti, nella sostanza ridicolo e di fondo malevolo e narcisista. Di questa maschera, il sig. Berlusconi è al tempo stesso Archetipo e massimo propagatore attraverso lo strumento della sua TV commerciale, una Tv che nasce e cresce come strumento per far vendere i prodotti.

Questa è la sua missione e questo è il suo Sacro, dopodiché non si ferma di fronte a nulla, poiché nulla compete con il denaro.

La TV commerciale è il medium specifico della società moderna a predominanza capitalistica: non esiste arte, o informazione o intrattenimento che non sia specificamente piegato all’interesse economico di chi paga per vendere, in un processo di comunicazione unidirezionale e monopolistico. Per questa via, tutto si perde, anima, autonomia, valori, e tutto diventa melassa, autocompiacimento, povertà morale e spirituale: Benedetto XVI, e prima di lui Giovanni Paolo II, hanno chiaramente indicato nel vuoto materialismo del consumo il mortale nemico dei valori, della religione, dell’etica, dell’umano.

Della TV commerciale Mike Bongiorno è stato, qui sì gli va reso indiscusso, ma controverso, omaggio, il primo Vate, il D’Annunzio, l’Omero, suadente nella induzione al consumo, ma ferreo nella difesa dei sacri diritti dello sponsor – padrone: a morte l’indice di gradimento e che viva il solo auditel.

E così, bisognava rivederlo nei giorni scorsi il Mike, “questa persona così mite ed educata, così rispettosa di fronte ad umili e potenti”, nel dare in escandescenze contro gli incauti che hanno osato sottrarsi al suo gioco, come quella poveretta di Antonella Elia solidale con la concorrente animalista che contestava la pelliccia donata dal munifico sponsor.

 

Né si deve dire il Bongiorno sia sempre stato uguale a sé stesso: proprio il suo tipico mimetismo italico ha fatto sì che fino a quando il padrone televisivo era la maggioranza di ispirazione clerico conservatrice, linguaggio e gaffes fossero estremamente caute e contenute.

Ma quando è arrivato il nuovo padrone e con lui la TV commerciale, allora sì che la musica è cambiata: ed allora giù con le continue e pesanti allusioni sessuali per la valletta di turno e per le procaci concorrenti, la pervicace presa in giro di persone comuni, indifese verso il conduttore che ironizza su cognomi, provenienze (chi ha dimenticato il delicato soprannome di “sudicio” gettato lì ad un ragazzino meridionale?), inflessioni, abiti, o tratti fisici.

Il fatto che oggi tutto questo ci appaia, nel “ciarpame televisivo diffuso”, quasi candido, innocuo, diremmo preistorico, non deve fare dimenticare che l’avo della nuova civiltà televisiva è stato proprio il Buongiorno.

Eppure alla fine nemmeno Mike, il primo complice nella escalation della brutta TV, si è salvato dalla ossessione berlusconiana.

Anche a lui è toccato di essere messo da parte, come quasi sempre avviene nel rapporto tra il potere ed i cantori che troppo si avvicinano al suo fuoco. Proprio a lui, il corifeo della tromba di Mediaset, è stata data plastica dimostrazione che il potere dell’Egoarca non tollera il minimo dissenso, la minima increspatura, la minima dialettica o insofferenza: tutto deve essere a norma.

Ricordiamo il Mephisto di Brandauer? Quando il Dittatore, non più divertito e ormai stanco delle pretese dell’artista, chiude per sempre la conversazione con un “ed ora cosa vuoi… attore?” dove “l’attore” è riportato alla sua prima, originaria, essenza di “guitto”, di buffone di corte accettato soltanto quando e come vuole il potente di turno.

Così Mike, allontanato dal paradiso di Arcore, ormai canuto ed indifeso, si è presentato a Tele Kabul come vittima dell’irriconoscenza del Padrone, aprendo una prima falla nella nostra indifferenza. Poi l’essersi messo a disposizione, come tenera vittima, del mattatore Fiorello, ce lo ha reso in un certo modo ancora più vicino, e non è mancato un senso di solidarietà per la delusione patita in tarda età.

Con i Funerali di Stato la videocrazia, rendendo omaggio ad uno dei suoi protagonisti, ha inteso celebrare sé stesso, riaffermare nuove gerarchie, nuovi valori, nuovi protagonisti della vita civile.

Noi continuiamo a pensare in modo diverso e preferiamo tenere il senso della misura e della memoria, dell’effettivo dare ed avere che il singolo ha intrattenuto con la società.

Così, in morte di Mike Bongiorno, possiamo solo dire: Requiescat in pace, vecchio giullare televisivo.

Giuseppe Ucciero

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti