7 gennaio 2015

DARE VOCE AI CITTADINI METROPOLITANI CON UN REFERENDUM


La città metropolitana è fatta. Adesso bisogna fare i cittadini metropolitani. Sperando di non ripetere la metafora dell’unità nazionale che si trascina da un secolo e mezzo e oltre! Cominciamo dallo Statuto: a sorpresa il testo approvato definitivamente – a differenza di quello licenziato dalla commissione consiliare imbeccata da un pool tecnico a sua volta incaricato guarda caso dall’assessorato milanese – ha riaperto i giochi. Il punto decisivo – la sopravvivenza o meno del Comune di Milano in quanto tale – almeno sulla carta è rimesso in discussione. Pertanto non risulta del tutto perduta la possibilità di fare sul serio, sventando l’espediente dell’operazione di facciata e la pena di subire a tempo indeterminato un ente nato debole e posticcio, brutta copia della preesistente e indebitata Provincia.

05ballabio01FBL’ibrida entità attuale, frutto di una assai discutibile legge, infatti “in via transitoria” (art. 64) non si differenzia sostanzialmente dalle altre province, altrettanto prostrate ed elette irrimediabilmente in secondo grado. Anzi peggio perché nelle restanti normali province la carica di Presidente è comunque elettiva mentre qui il Sindaco del capoluogo è anche metropolitano“di diritto” (art. 62), obbligato ad un imbarazzante rapporto di mezzo servizio. Ma è noto che le soluzioni transitorie e provvisorie in questo Paese rischiano spesso di restare le più stabili e durevoli! Il che comporterebbe ulteriore rinvio sine die e rovinoso ritardo competitivo rispetto alle altre consolidate realtà europee ove i cittadini metropolitani sono ormai “nativi”.

Ma veniamo al punto (art. 61 di uno Statuto enfatizzato come evento “costituente”): “L’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano, con sistema elettorale determinato da legge statale, è subordinata al verificarsi delle seguenti condizioni: (…) la ripartizione del territorio del comune di Milano in zone dotate di autonomia amministrativa o, in alternativa, l’articolazione del comune di Milano in più comuni”. E’ un po’ come se la Costituzione esordisse con un’espressione tipo “L’Italia è una Repubblica, o in alternativa, una Monarchia fondata su ecc. ecc”. Per fortuna la Costituzione vera non ammette ambiguità o rimandi decisionali: il popolo sovrano aveva deciso a priori con il referendum del 2 giugno ’46 e con l’elezione diretta di politici provati e intellettuali autorevoli, capaci di storici compromessi ma non certo avvezzi ad astuzie e rimpalli di corto respiro.

Come uscire allora dall’impasse, posto che le due soluzioni “alternative” contrappongono interessi ed anche culture diverse? Da un lato l’establishment politico-burocratico centrale milanese e dall’altro i sindaci esterni poco coordinati e spesso anche poco inclini a uscire dai rispettivi ristretti orticelli. Difficile dunque che il ceto politico/amministrativo in carica risolva il dilemma. Per uscirne bisognerebbe rompere il circolo vizioso tra attori istituzionali abbastanza forti da bloccarsi a vicenda ma non abbastanza da sbloccare la situazione. Come? Restituendo la parola ai cittadini metropolitani attraverso un referendum “di indirizzo” che scelga tra le due alternative: conservare il Comune di Milano, per quanto depotenziato da un parziale decentramento, oppure superarlo in quanto “terzo incomodo” superfluo e ridondante, suddividendolo in veri Comuni simili ai restanti dell’area (per i quali invece si pone il problema opposto: come unirsi e cooperare nelle “zone omogenee).

Tale referendum, previsto dallo Statuto (art.11, sia pure con il limite di escludere l’ammissibilità per se stesso) darebbe la parola ai cittadini tanto del “contado” quanto delle periferie milanesi, interessati i primi sopratutto ai problemi della mobilità e del riequilibrio territoriale e infrastrutturale, i secondi alla socialità e alla vivibilità dei quartieri. Si promuoverebbe allora una “identità metropolitana”, si darebbe voce a un “pendolarismo” delle idee e delle esperienze che ora accompagna gli spostamenti materiali ma non incide nella politica e nell’amministrazione. A cominciare dal diritto di voto, che non può avere un peso diverso secondo la mera residenza anagrafica! E il discorso vale anche per i cittadini dei comuni dell’area che si sono separati in assurde “provincine” nell’illusione di liberarsi dal verticismo milanocentrico.

Resta poi la parte che deve esercitare lo Stato, sia per emanare la specifica legge elettorale (l’altra condizione indispensabile per restituire il voto diretto), sia per correggere le evidenti anomalie di una legge istitutiva malfatta, approvata in fretta sotto la pressione congiunta della “spending review” e dell’ondata “antipolitica” che aveva urlato all’unanimità l’abolizione delle province invece che pensare una loro razionale revisione e accorpamento. Per altro, è stata in pari abolita un’ottima legge elettorale, simile a quella che per i comuni garantisce una buona governabilità e stabilità ma con un’importante differenza: i collegi uninominali invece del sistema delle preferenze, ora messo in discussione dalle recenti inquietanti cronache.

Valentino Ballabio

P.S.: doveroso precisare che alla modifica statutaria sopra richiamata hanno contribuito l’audizione del Forum civico metropolitano (21/11/2014) e il relativo emendamento presentato in sede di open call (3/12/2014), nonché più interventi al riguardo pubblicati da ArcipelagoMilano.



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