7 gennaio 2015

libri – CIÒ CHE INFERNO NON È


ALESSANDRO D’AVENIA

CIÒ CHE INFERNO NON È

Mondadori,  ottobre 2014

pp. 320, euro 19

libri01FBRubava i bambini del Brancaccio ai capetti della mafia locale. Come un pifferaio magico li andava a cercare uno a uno nelle viuzze afose del suo quartiere e li dirottava nel suo centro “Padre nostro”, creato nel ’90, ove li incantava con il suo fischietto di arbitro e li faceva giocare con un pallone vero, non di stracci. E loro tornavano perché si sentivano “guardati”, amati come mai nelle loro buie case di una sola stanza, dove ci stava “il tutto”, letti, tavoli, stufe, armadi, nonni, bambini, madri sole violate da bambine.

Lui è Padre Pino Puglisi, un prete piccolino dal cuore immenso, dalle scarpe enormi come i pupazzetti del Subuteo. Era detto 3P dai suoi allievi del liceo classico di Palermo, ove insegnava religione, senza parlare sempre di Dio, perché Dio non “si dice”, ma “si dà” con le azioni. Leggeva il giornale in classe ai suoi studenti per tenerli informati e portava al mare a Mondello i più piccoli sulla sua Uno rossa corrosa dal sole e dalla ruggine. E insegnava loro a nuotare nell’acqua fonda, che lui pure temeva.

Era convinto che una scuola media, per il suo quartiere di 10.000 anime, nel palazzone di via Hazon, dove negli scantinati succedevano cose losche, sarebbe stato un potente antidoto al prepotere della mafia. Aveva tempestato le autorità competenti per la licenza, ma nessuno aveva mai risposto. Ma lui, implacabile come goccia sulla roccia, continuava a chiedere.

Infastidiva i mafiosi del suo quartiere, il Cacciatore, U’ Turco, Madre Natura, perché osava anche andare in televisione. Ma aveva bisogno di aiuto e poiché la scuola era appena finita, lo chiese al suo allievo diciassettenne Federico, detto “il poeta” per il suo amore per i libri, che è poi l’autore stesso, il quale all’inizio fu riluttante, perché a breve in partenza per l’Inghilterra. Ma nei giorni successivi raggiunse il centro di Don Puglisi in bicicletta. E come varcò il passaggio a livello che divide il Brancaccio dalla sua Palermo, non sapeva ancora che nulla sarebbe stato come prima. Gli toccò arbitrare lui stesso una partita, salvo a essere preso a pugni su un labbro da un piccolo giocatore violento e all’uscita non ritrovare più la sua bicicletta.

Ciò nonostante Federico ritornò al Brancaccio, seppure nella speranza di rivedere Lucia, che aveva sconvolto i suoi sogni di adolescente. Rinunciò all’Inghilterra, benché quel luogo fosse un inferno, dominato da due parole, “miseria e ignoranza”, cani randagi finiti a sassate per gioco, ragazze stuprate, morti spariti. Inferno è interruzione, mancanza di amore, gli aveva spiegato P3. Quell’amore per la vita e la bellezza che Padre Puglisi cercava di mantenere vivo nel cuore dei suoi bambini, prima che soldi e sesso, offerti dalla mafia, glieli portassero via.

E pensare che Federico credeva che Palermo fosse solo quella meravigliosa città che vedeva dall’alto della sua casa in centro, o dall’alto dell’aereo, magica, scintillante, allettatrice. Tutto porto – Panormus la chiamavano gli antichi o Fiore – Zyz i Fenici per quei fiumi che scendevano come petali dal centro al mare e che ora non ci sono più.

I capi mafiosi del quartiere, legati ai Corleonesi, decisero che Don Puglisi si stava allargando troppo, osava guardarli dritto negli occhi, li sfidava sul loro territorio, non si limitava a fare processioni o a dire messe, organizzava spettacoli teatrali, tornei di calcio. E perciò come un polpo doveva essere preso per i tentacoli ed eliminato.

E quel maledetto settembre del ’93 uno sparo in faccia stroncò la vita del Padre: “Vi aspettavo” riesce solo a dire, con un sorriso che gli rimane impresso sul viso deformato anche da morto. E la disperazione pervase il Brancaccio ma gli scantinati di via Hazon furono murati. Passarono poi ancora 7 anni, ma nel 2000 finalmente la scuola media intitolata a Padre Pino Puglisi venne inaugurata.

D’Avenia con questo libro vuole testimoniare, come allievo, il suo indelebile ricordo e amore per Don Puglisi, che gli ha impresso un marchio a fuoco e gli ha insegnato il coraggio di vivere seppure in una realtà incancrenita come quella di una certa Palermo.

Una scrittura scattante, ricca di metafore e ossimori, costruita direi, ma di efficacia assoluta. Libro da leggere nelle scuole, per plasmare la sensibilità degli adolescenti, e per ammonire noi tutti che se nasci al Brancaccio, non è questione di buoni o cattivi, ma in quell’acqua devi nuotare, perché è una questione di dignità dominare il più debole.

Marilena Poletti Pasero

 

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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