28 settembre 2009

MILANO TRA “CONDOMINIO” E MICROSPIE


La prospettiva di un nuovo mandato a sindaco per Letizia Moratti ci fa rimpiangere Gabriele Albertini. Di lui si è detto di tutto e la sua autodefinizione di “amministratore di condominio” ha suscitato allora ironia e dileggio. Non avevamo ancora provato l’insipido sapore dalla Moratti. La città che lascerà al suo successore è molto peggio di quella che ha avuto in eredità da Albertini e dimostra che, come ha scritto Franco D’Alfonso nel numero scorso di questo giornale, le riforme introdotte da Bassanini hanno avuto un effetto inusitatamente perverso.

Il sindaco eletto direttamente dai cittadini e la nomina da parte sua degli assessori avrebbero dovuto garantire una “squadra” al governo della città, compatta e omogenea e dunque efficace ed efficiente: effetto istituzionalmente possibile. Letizia Moratti non solo non ha saputo organizzarsi la squadra ma anche nel suo lavoro in solitario è riuscita a fallire.

Il primo passo, la ristrutturazione degli uffici comunali e del loro funzionamento è finito come sappiamo: una condanna per le nomine dei consulenti e lo sfascio definitivo della macchina comunale. A ruota abbiamo avuto il divertente balletto dell’assessore alla cultura dimesso di ufficio dopo contrasti tanto profondi quanto risibili nelle reciproche contestazioni; la cultura a Milano è passata a Finezzer Flory e ci ha dato solo un assessore pronto a calcare le scene: la Moratti ne ha seguito l’esempio facendoci capire che preferisce il pubblico di un teatro alla platea dei consiglieri di Palazzo Marino; ha nominato Al Gore cittadino onorario di Milano ma non ha saputo reggere la barra del timone nella vicenda dell’Ecopass tra i ricatti populisti della Lega e le pressioni della lobby dei commercianti; ha promesso che avrebbe definitivamente chiuso la vicenda dei parcheggi sotterranei, un vero scandalo per una città come Milano, ma siamo ancora con la Darsena ridotta a un’invereconda landa desolata e Piazza Sant’Ambrogio dall’incerto destino; la sua partecipazione alla manifestazione per il 25 aprile resterà negli annali delle strumentalizzazioni inutili e delle buffonate; l’ultimo ricevimento per la serata della prima alla Scala a Sant’Ambrogio in piena crisi economica, è stato un gesto d’insensibilità nei confronti della città e del mondo intero.

La gestione della vicenda – ereditata – dei derivati sottoscritti dal Comune non ha brillato per trasparenza e per finire veniamo all’operazione Expo.Si dirà: un successo. Certamente il successo di una donna abile – per collocazione sociale, censo e educazione – nelle pubbliche relazioni ma anche una donna insensibile al cambiamento tanto da finire emarginata e personaggio di secondo piano in quest’ultima vicenda. Gli errori sono cominciati con la difesa, inutile, di Glisenti, suo braccio destro fortemente voluto a capo dell’Expo. Non ha colto l’importanza e la profondità anche culturale della crisi economica dell’autunno scorso e di fronte alle richieste di una nuova strategia per l’esposizione ha caparbiamente difeso l’impostazione originaria: ogni richiesta di cambiamento suonava come un reato di lesa maestà, salvo poi capitolare accettando un cambiamento di rotta che tutti hanno letto, giustamente, come una sua sconfitta personale dopo aver lasciato il campo al più abile Formigoni con i suoi Stati Generali e al più forte Lucio Stanca, uomo di Berlusconi.

L’ultimo episodio, quello della microspia, se pure non la riguarda direttamente, denuncia il clima della politica comunale di cui lei è artefice. Dunque, se non ci restano che i rimpianti, rimpiangiamo Gabriele Albertini sull’altare dei sindaci milanesi: santo subito.

L.B.G.



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