17 dicembre 2014

DICEMBRE 2014. GIUNTA MILANESE, INNOVARE PER NON MORIRE


Cosa resterà di questo 2014? Ce lo chiediamo come in una famosa canzone di molti anni fa. Molte cose si potrebbero dire sulla nostra condizione milanese, ma due ci sembrano quelle prevalenti di segno. Lo spappolamento della politica e l’appannamento dell’amministrazione di Giuliano Pisapia.

Partiamo dalla seconda. Cominciato l’anno senza troppe nuvole all’orizzonte, il cielo si è fatto via via sempre più cupo, opprimente, denso di minacce, quasi angoscioso. Ci vuole davvero tanta forza e tanta convinzione per reggere la congiuntura, certo, ma da sole non bastano. Occorre la lucidità di un disegno politico, che, ammettiamolo, sta rivelando qualche limite di troppo: scarsa attenzione alle periferie e ridotta partecipazione alle scelte.

03ucciero44FBNe parliamo con franchezza, ben conoscendo i meriti, se si vuole anche straordinari, che comunque vanno riconosciuti a Giuliano Pisapaia e alla sua squadra. Non c’è dubbio che questa amministrazione abbia riportato all’onor del mondo il buon nome di Milano, reintroducendo una cifra etica che ormai si pensava persa dopo vent’anni di bosso-berlusconismo.

Ma non basta, non basta essere onesti e trasparenti, non basta appuntarsene meriti (a partire dal PGT) e coccarde, prima di tutto perché la memoria è labile e poi perché qualsiasi cittadino avrebbe buon diritto ad affermare che onestà e trasparenza del politico non sono fini ma modalità per raggiungere fini. E questi lasciano sempre più a desiderare.

Certo le “bombe d’acqua”, certo le strette finanziarie, certo i Rom, ma alla fine non si riesce a scrollarsi di dosso la sensazione un po’ sgradevole che almeno nella prima parte del suo mandato, Pisapia abbia concentrato azione e comunicazione su contenuti e bisogni complessivamente poco attenti alla condizione delle periferie, queste sì vere bombe politico sociali.

Un eccellente Presidente di Zona come Gabriele Rabaiotti ha lanciato qualche tempo fa un accorato grido di dolore, segnalando una condizione di sofferenza ormai non più sostenibile. Su questo punto essenziale, l’azione amministrativa e politica di Pisapia non è apprezzata dai cittadini e inevitabilmente tocca subire l’agitarsi disordinato ma politicamente produttivo della Lega e della nuova destra populista.

In realtà, tra periferie e nuova architettura della rappresentanza e della partecipazione democratica vi è uno stretto nesso, e forse non è casuale che la lentezza con cui finora si è generata innovazione nelle forme e nei poteri effettivi delle Zone, concorra alla perdita di contatto con le periferie.

Certo anche qui, contano le difficoltà dello scenario, i nodi e le contraddizioni di una governance dell’area metropolitana che induce a rimandare le scelte, ma, alla fin della tenzone, al cittadino residua l’amaro in bocca, il toccar con mano la contraddizione patente tra scenari partecipativi annunciati e perdurante assenza dei canali concreti in cui poter concorrere a decisioni.

Niente referendum di zona e cittadini, niente allargamento dei poteri delle zone, niente innovazione di governance delle municipalizzate. Il cahier de doleance del cittadino democratico comincia ad essere lungo … . Questa difficoltà dell’innovazione politica sembra avere via via disseccato le stesse fonti del consenso a Pisapia, laddove i Comitati non hanno potuto, e non potevano, essere altro che forme di volontariato militante e non di partecipazione allargata.

La carenza di nuove forme della politica si è intrecciata con la crisi della rappresentanza partitica, tanto più rovinosa a destra, ma prevalente ormai anche a sinistra. Si ha un bel dire dei grandi risultati del PD renziano alle europee, ma senza entrare nel merito delle scelte che li hanno tradotti in fatti di governo, resta sul terreno una disaffezione tanto estesa quanto sempre meno recuperabile. Tra società e rappresentanza partitica il solco cresce, e bisogna pur dire che non tutto va messo in conto alla politica.

Vi è anche a Milano, anche se meno che in altre parti d’Italia, il riaffiorare dell’individualismo, fiume carsico plurisecolare, della prevalenza del “particulare” giucciardiniano, tanto più forte oggi certo per effetto della caduta di visioni politiche unificanti. Ma neppure si può riportare ogni domanda di autonomia e di non delega alle rappresentazioni del becero individualismo e del qualunquismo antipolitico che così ben lo esprime. Serve ben distinguere.

Resta però che scarsa partecipazione e crescente atomismo sociale si intrecciano e sostengono a vicenda, ciascuno generando le premesse dell’altro, e producendo infine spappolamento della politica, ridotta a grida da sotto e da sopra, a marketing politico e rabbia senza sbocco. Servirebbero dei corpi intermedi funzionanti, capaci di connettere l’individuo alle istituzioni, nuovi istituti e antiche rappresentanze.

Certo qualcuno come Don Abbondio potrebbe anche dire: “la visione dell’interesse generale, uno, se non ce l’ha, mica se la può dare”, ma, e qui finisce il paragone, la politica come rappresentazione del bene comune, è fatta, più che di coraggio, di una lucida comprensione dei meccanismi sociali che ci legano tutti, gli uni agli altri, e dell’importanza dei luoghi della dialettica, della partecipazione, delle decisioni collettive.

Il vecchio linguaggio della Politica asseconda lo spappolamento della Politica, con il rischio di coinvolgere anche la nostra amministrazione, di cui si può ben dire che non ha finora demeritato, ma della quale si può ben prevedere che, senza un bel colpo di barra, si troverà sempre più in difficoltà.

È stato un mediocre 2014, ma non vorremmo che si avverasse il detto “quando si tocca il fondo, cominciate a scavare”.

 

Giuseppe Ucciero



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