17 dicembre 2014

MILANO: UN’ANIMA DIVISA IN DUE?


Se ne è discusso a lungo, se ne è venuti a capo solo in parte, tra polemiche, dimenticanze e omissioni: il confronto a distanza tra il cardinale Scola e il sindaco Pisapia sembra solo l’ultimo epilogo di un discorso pubblico che si interroga sul proprio biglietto da visita, poco prima di offrirlo al mondo in arrivo con Expo.

11mattace44FBAnima, brand, identità (Milano): l’identità è ciò che rende definibile e riconoscibile e insieme consapevolezza della propria personalità. L’anima rappresenta l’essenza di questa personalità, è il soffio che renda viva la materia. L’idea che una città ha di se stessa.

La frammentarietà è forse l’unico portato condiviso di queste riflessioni comuni e racconta la difficoltà di ridurre a uno le tante eccellenze e peculiarità che fanno attraente Milano (e questa è logica da brand management). Ma è anche una frammentarietà più profonda, generata da “laceranti particolarismi, figli di una visione atomistica ed egoistica della felicità”, che “annullano gli spazi del dialogo, della corresponsabilità, della solidarietà” (Razzante Il Giorno 9 dic 2014).

L’anima persa di Milano è forse quel tratto unificante che faceva sì che “diversi eppure tutti insieme” si avesse una visione comune del bene della città, per “muoversi verso un futuro migliore per tutti”, un sogno del domani possibile (Colaprico La Repubblica 10 dic 2014).

È sempre più evidente la necessità di tessere un filo che continuamente ci tenga dentro un racconto condiviso, una sorta di linea vita di comunità. Un racconto collettivo, affabulazione fondativa, se non profetica, che sia capace di tenere insieme i temi della convivenza e dello sviluppo, temi cardine per Milano.

In una città “dissolta in tribù che non comunicano tra loro, indurita, incattivita, i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, la classe media sempre più incerta e insicura. E i poveri che hanno perso non solo l’orgoglio (di classe si diceva una volta) ma la solidarietà di ceto” (Barbacetto Il Fatto Quotidiano 11 dic 2014) la povertà si è affacciata senza chiedere il permesso sulla scena cittadina. È uscita dai contesti marginali, si è manifestata negli scontri di piazza, nelle periferie dei quartieri popolari, in Stazione centrale tra i profughi siriani, in piazza Risorgimento in fila per un pasto caldo all’Opera San Francesco. Non è più solo un fatto di esclusione nelle periferie, sacche di marginalità si creano anche in altre zone della città, là dove ci sono fabbriche e stabili abbandonati, esito anche dei 12.000 sfratti (di privati) in esecuzione per morosità.

E spesse volte i nuovi poveri sono anche gli ultimi arrivati, ecco che il tema della accoglienza diventa il punto di contatto con l’altro cardine della città, quello dello sviluppo. Crescita e sviluppo sempre più declinati in ottica internazionale, per vocazione o destino imminente: Expo nell’immediato futuro, e nel più recente passato Milano “capitale” per il semestre europeo, ospite di Asem il vertice Europa – Asia, membro del C40 Cities-Climate Leadership Group il network sindaci impegnati nella lotta ai cambiamenti climatici, o vincitrice fra le 35 città di tutto il mondo invitate a far parte del network di 100 Resilient Cities, il progetto promosso dalla Rockfeller Foundation.

Una città che esce dai propri confini e si confronta con il mondo intero con la consapevolezza di non doverne costruire all’interno delle proprie mura con nuovi distinguo ed esclusioni, perché  “più si lasciano aumentare i confini dentro la città, più l’anima fa naufragio” (Colaprico), per essere una volta di più “terra di mezzo, punto di relazione e ricomposizione tra ciò che sembrava destinato a separarsi” (Magatti Corriere della Sera 6 dic 2014) recuperando la propria identità più profonda.

Giulia Mattace Raso

 

 



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