10 dicembre 2014
MAGIC IN THE MOONLIGHT
di Woody Allen [USA, 2014, 98′]
con Colin Firth, Emma Stone
1928. Stanley Crawford, in arte Wei Ling Soo è a Berlino con il suo spettacolo di magia. Fa sparire elefanti sul palco e incanta il pubblico elegante con esperimenti di levitazione. Misantropo e colto, ritiene che la gran parte dell’umanità si affidi al divino e alla magia per tollerare il pensiero dell’inutilità della vita e del vuoto dopo la morte.
Howard Burkan, suo amico e collega, gli propone di aiutarlo a smascherare i trucchi di una giovane medium che sta incantando i membri di una ricca famiglia statunitense che risiede nel Midi francese, con l’obiettivo di farsi finanziare.
L’incontro con Sophie Baker, la giovane medium, è immediatamente spiazzante; per quanto Stanley continui a mantenere la propria posizione razionalista, la ragazza lo stupisce perché intuisce cose molto private della vita di lui. Quella che inscena con Sophie, in realtà per Stanley è una lotta con se stesso per non cedere all’irrazionalità, che, egli sente, lo aiuterebbe molto a vivere più felice, più leggero in un mondo che per lui non ha senso.
Durante tutto il film, il mago inglese strapazzerà la giovane medium e cercherà di svelarne i trucchi. Poi, complici la Provenza, il mare e i chiari di luna, capitolerà di fronte all’irrazionale. Finché la razionalità riprenderà il sopravvento, senza però potersi sottrarre alla magia dell’amore nato fra i due.
I temi classici della poetica di Woody Allen: razionalità/irrazionalità; esistenza di un senso di questa vita mortale; possibilità di un poi dopo la vita terrena sono riproposti in questa commedia dai toni pastello.
La leggerezza dei dialoghi, la perfezione nella scelta dei vestiti, dei gioielli, delle scene e delle ambientazioni; la magia delle musiche giocate tra charleston, jazz e classica; la bella performance degli attori, rendono questa commedia molto piacevole da vedere.
Sembra quasi che, per quanto riguarda i personaggi, Woody Allen abbia giocato il registro del cliché: il giovane rampollo americano, ricco di seconda generazione, è un ingenuo nullafacente dedito solo a scrivere serenate per la sua bella; la mamma di Sophie è una scaltra donna d’affari che sfrutta il talento della figlia per uscire da uno stato di miseria; la zia di Stanley, ironica e ricchissima inglese rifugiatasi in Provenza, ha ovviamente un tragico amore alle spalle che ha segnato la sua vita.
I temi sono sì le grandi domande filosofiche, ma anche l’invidia per il successo altrui, il desiderio di migliorare la propria esistenza, il progresso. “Credo che Mister Nietzsche abbia sistemato la faccenda di Dio in modo convincente” afferma Stanley durante una conversazione in giardino con i suoi ospiti; peccato che questi non conoscano Nietzsche e non vogliano vivere in un mondo privo della consolazione di Dio e in cui assumersi tutta la responsabilità della propria esistenza.
Tootsie
questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi