26 novembre 2014

PISAPIA E IL PD: A CHI TOCCA IL CERINO?


Manca un anno e mezzo alle prossime elezioni comunali, ma il Pd ha molta fretta e chiede a Pisapia se vuol restare o no. La domanda è irrituale fino alla maleducazione, e fa specie sulla bocca di un Guerini, del quale ordinariamente si ricorda, tanto è felpato, non tanto cosa dice ma cosa fa. Il Sindaco sbotta e rimanda al mittente: lo scambio di cortesie certifica un grave, ma finora sotterraneo, conflitto politico. Questa drammatizzazione, questo senso d’urgenza incontenibile, quest’angoscia da horror vacui, che sembra pervadere il Pd locale e nazionale, trova una qualche spiegazione davvero politica e quale, o quali? Fino a qualche tempo fa pareva non ci fossero storie, Pisapia era il Sindaco più amato degli ultimi vent’anni (non che ci volesse molto, d’accordo), i milanesi l’avrebbero rivotato in massa e il Pd avrebbe seguito l’onda.

02ucciero41FBPoi qualcosa è cambiato, anzi molto. Intanto la figura di Pisapia qualche colpo l’ha ricevuto: alcune vicende tra Seveso e periferie bollenti, ne hanno un po’ offuscato meriti e popolarità. Poi, il centrodestra che pareva destinato a sicura sconfitta, rialza la testa e con le figure di Lupi e Salvini avanza candidature di una qualche consistenza, specie se affiancate in un ticket, dove possa comporsi la rassicurante mediocrità istituzionale del primo, tanto cara ai moderati, e il populismo arruffone del secondo, così vicina al montante Lepenismo. Ma in realtà tutto questo alla fine poco conta.

Ciò che conta è che è cambiato il Pd, sono cambiati, con i toni, anche e soprattutto le politiche.

Pisapia è stato il sindaco della riscossa arancione, della proposta sinistra-sinistra, l’antesignano di una stagione, poi abortita, della sinistra movimento che si faceva maggioranza, usando e abusando del corpaccione imbelle del Pd, eunuco della politica, gigante impotente, paralizzato da inesauste rivalità e interminabili conflitti interni. Quella fase, l’infanzia del Pd, è terminata: è arrivato Renzi, sedicente castigamatti della casta, ma soprattutto eversore di una visione della sinistra ancora, per lui, troppo impigrita attorno ai resti del socialismo che fu.

Per Renzi, e per i nostri renzini milanesi, bisogna cambiare verso anche a Milano, ma su questa strada Pisapia è un ostacolo, almeno lo è il Pisapia che si propone non come l’alfiere del Pd maggioritario e asso pigliatutto ma come l’erede di una tradizione, sia pure innovata, di alleanze tra le diverse anime della sinistra. La sua candidatura, nata “extrapartitica”, trovò diverse e progressive sedi di competizione e accordo tra Pd e Rifondazione Comunista, Comitati Arancioni e Verdi, SeL e Psi, e quanta fatica per comporre l’alleanza e poi per gestirla. Ma aldilà del politicismo, conta il segno: il linguaggio, prima ancora dei contenuti, di Renzi urtano la sensibilità di tanta parte delle truppe che ancora oggi supportano il nostro Sindaco. Di questa diversità, di questa contraddizione culturale prima che politica, di questa diversità di linguaggi e destinatari sociali, sono ben coscienti tanto il Pd che Pisapia.

Ora che il partito di maggioranza non proponga al suo Sindaco, al tuttora popolare sindaco di Milano, di ricandidarsi, ma gli destini un laconico messaggio del tipo “ci faccia sapere”, è poco meno che un avviso di sfratto. Freddezza nei toni e distanza nei contenuti, e Pisapia è politico troppo avveduto per non cogliere il cambio di clima, finora trattenuto nella riservatezza degli inner circles, e ora invece tracimato nella comunicazione pubblica. Ma, si diceva tempo fa, Pisapia da parte sua deve decidere “cosa fare da grande”, se lanciarsi nel grande spazio che il Pd renziano sta generando a sinistra, o mantenere il punto su Milano, con tutte le avvertenze e le perplessità che gli giungono dal suo azionista di maggioranza.

È un grande snodo, un punto critico, e anche un passaggio azzardato per tutti. Se Pisapia optasse per un protagonismo politico su scala nazionale, correrebbe molti rischi di insuccesso, perché nessuno gli può garantire, e come, la ripetizione più ampia del successo del 2011. Se rimanesse, ha già ben capito che il Pd non lo gradisce già ora e gli si prospetta, nel migliore dei casi, un quinquennio da separati in casa.

Intanto, il centrodestra non sta a guardare, e anche per questo il Pd, formalmente diretto da Bussolati ma eteroguidato da Guerini e Renzi, da un lato ha bisogno di tempo per far crescere una nuova figura, preparando per tempo terreno e munizioni, ma dall’altro valuta i rischi della messa a riposo di Pisapia. E anche per questo Guerini, doroteo da prima repubblica, per sé non si pronuncia ma chiede all’altro se vorrà ancora esserci, cercando di togliersi di dosso, ora per allora, la colpa della sua eventuale cacciata.

Infine, mentre ciascuno pensa e gioca le sue carte, bisogna pur ricordare che il candidato sindaco del Pd lo sceglieranno le primarie e che il risultato sarà fortemente influenzato dagli elettori che effettivamente si presenteranno alle urne: ancora quelli della sinistra pisapiana del 2011 o quelli nuovi del Renzi vincente del 2013? E quanti, poi vista l’aria che tira?

Insomma, ben che vada grande incertezza sul futuro. È in gioco la principale piazza politica locale d’Italia e con essa tanta parte degli snodi politici futuri, Regione Lombardia compresa.

Tutti ne sono coscienti e lasciano volentieri il cerino in mano altrui.

Giuseppe Ucciero



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