26 novembre 2014

DECENTRARE MILANO: POCO, METÀ, TANTO O TUTTO


Entusiasmo ed enfasi circa le magnifiche sorti della città metropolitana stanno prendendo l’abbrivio di un vorticoso mulino di parole, storica nemesi dopo decenni di diffusa (escluso pochi affezionati) sottovalutazione e rimozione della stessa, derubricata a materia di “ingegneria istituzionale” non degna di attenzione e impegno da parte dei politici “puri”. Oggi al contrario siamo passati repentinamente ad un corale fervore “costituente” ma la mancanza di retroterra, in termini di elaborazione e progetto, rischia di produrre improvvisazione ed approssimazione difficilmente colmabili con la delega a pur prestigiosi centri studi ed illustri accademici.

04ballabio41FBIl contributo di tecnici e studiosi risulterebbe infatti utile sia nella fase preliminare di inquadramento del contesto che in quella finale della definizione formale e di dettaglio; ma in mezzo non può mancare il filo rosso della discussione e dell’opzione politica. Nel caso milanese infatti la bozza di statuto metropolitano a tutt’oggi nota (commissionata dall’Assessorato al PIM, subappaltata a titolati professori universitari e infine girata alla Commissione Statuto del Consiglio Metropolitano) rimanda infatti al soggetto politico la “piena sussistenza delle condizioni” che rendano plausibile l’elezione diretta di Sindaco e Consiglio (Art. 24 c. 2), ovvero dell’unica manifestazione di volontà politica sinora pervenuta da pressoché tutti i partiti, liste, consiglieri e commissari in causa, nonché dallo stesso sindaco metropolitano!

Quindi il nocciolo duro della questione rimane inesplorato riguardando la “ripartizione del Comune di Milano in zone dotate di autonomia amministrativa” ovvero di: organi politico -amministrativi eletti direttamente dai cittadini; attribuzione di una quota significativa delle decisioni inerenti il territorio e la popolazione; autonomia di spesa e risorse strumentali e di personale. Si tratta allora di scegliere – semplificando in prima analisi – tra quattro opzioni con l’avvertenza che tale scelta non riguarda solo il comune capoluogo bensì, per le evidenti implicazioni sulla natura stessa della istituenda città, coinvolge indirettamente tutti i comuni interni e anche esterni all’attuale perimetro, collocabili nell’intera area metropolitana.

Si tratta allora di decidere se il Comune di Milano deve essere decentrato: 1) poco, 2) a metà, 3) tanto, 4) tutto.

1 – Poco. Il Comune di Milano nella sua dimensione e forma attuale ha quasi un secolo di vita, dal 1923, allorquando la legge comunale – provinciale mussoliniana ne completò l’allargamento dei confini inglobando i comuni circostanti e accentrando poteri e forza economica e politica. Il tentativo di decentramento avviato negli anni ’70 in venti zone, operato in particolare dall’allora assessore Carlo Cuomo, esaurì ben presto la sua spinta propulsiva. I Consigli di circoscrizione ridotti di numero sono sopravvissuti in seguito pro-forma, per quanto elettivi e retribuiti, e il ri-accentramento riebbe e mantiene tuttora pieno vigore. La struttura verticale e “dicasteriale” degli Assessorati, confacente all’establishment politico-burocratico in carica, rafforza inevitabilmente una vischiosa “resistenza al cambiamento”. Quindi la tentazione di minimizzare e simulare la “quota significativa” dei poteri da attribuire è forte, con l’effetto di conservare sostanzialmente lo status quo e ricondurre la “città metropolitana” alla subalternità propria della ex provincia (ma anche reiterare la propria impotenza quando i comuni a nord cementificano e Seveso e Lambro esondano). Il gattopardo si lecca i baffi.

2 – Metà. Si allarga la quota delle funzioni decentrate. Ma allora si moltiplica il rischio di doppioni e sovrapposizioni con quello che resta a Palazzo Marino. Ci immaginiamo la convivenza di un assessore zonale e comunale (nonché regionale più il delegato metropolitano) per una medesima materia? I recenti avvenimenti nelle periferie romane, con sgradevole rimpallo di responsabilità tra Municipi e Campidoglio fanno testo. Invece di semplificare si complica su più livelli, col rischio di incrementare la spesa e ridurre l’efficienza nonché la partecipazione e la democrazia che esigono interlocutori certi e responsabilità chiare nei confronti dei cittadini.

3 – Tanto. Allora le Zone autonome assumono un ruolo decisivo nel rapporto con i quartieri, in particolare periferici, sopratutto in materia di servizi alla persona, socialità, manutenzione e cura del patrimonio pubblico, polizia locale. Un po’ come avviene normalmente nei comuni dell’hinterland che non a caso – anche quando hanno presente forti insediamenti di edilizia pubblica – non hanno subito le recenti traversie riguardo i seri problemi di degrado disagio e degenerazione che hanno colpito Giambellino, Corvetto, ecc. Ma allora al centro che cosa rimarrebbe, posto che le aziende partecipate controllate e simili trattando per lo più materie di “vasta area” come trasporti, energia, infrastrutture, acqua potabile e depurazione, smaltimento rifiuti, ecc. sarebbero ragionevolmente destinate alla competenza metropolitana?

4 – Tutto. Appare la soluzione più semplice e razionale. Il gattopardo finalmente si roderebbe le unghie. Solo due livelli elettivi al di sotto della Regione, mentre i restanti possono organizzarsi in “zone omogenee” tanto per il coordinamento delle zone autonome nell’ex comune di Milano quanto per i raggruppamenti dei piccoli e medi comuni nel resto di una Metropoli policentrica e autorevole circa le questioni strategiche inerenti governo del territorio, mobilità, ambiente, alta cultura e innovazione (*). Verrebbe per altro meno il motivo che ha spinto lodigiani e sopratutto monzesi-brianzoli ad abbandonare la ex provincia, accusata spesso non senza ragione di subalternità al verticismo milanocentrico. Si tornerebbe allora ad applicare il primo comma dell’art. 22 della legge istituiva, al pari delle altre città metropolitane under tre milioni, surrettiziamente eluso nel testo dei professori (per quanto a sua volta necessitante di semplificazione per gli inestricabili rimandi a successive improbabili norme e provvedimenti nazionali regionali referendari!).

Ma sovviene l’amara ironia di Bertolt Brecht: è la semplicità che è difficile a farsi!

 

Valentino Ballabio

 

(*) Come sostenuto dal Forum Civico Metropolitano con l’audizione presso la Commissione Statuto metropolitano del 21/11/2014 in Palazzo Isimbardi

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema





18 aprile 2023

MILANO: DA MODELLO A BOLLA?

Valentino Ballabio






21 marzo 2023

CACICCHI EX LEGE

Valentino Ballabio






5 aprile 2022

IL RILANCIO DELLA CITTÀ METROPOLITANA

Fiorello Cortiana


Ultimi commenti