26 novembre 2014

CITTÀ METROPOLITANA: ABOLIRE IL CAPOLUOGO


Non è affatto casuale che, ciclicamente e in particolare oggi, nell’occhio del ciclone della crisi sono precipitate le periferie urbane e metropolitane. E proprio i problemi delle “periferie” dovrebbero costituire la preoccupazione principale di chi governa le istituzioni, in primis quelle locali. Banco di prova decisivo è la nascita delle dieci Città Metropolitane, che rappresentano il 31,5% della popolazione italiana, l’11,1% del territorio nazionale e il 33,9% del PIL. Molto dipenderà dalla forma istituzionale del nuovo ente, dalla sua articolazione e partecipazione democratica, dalla sua qualità di sistema equilibrato di comuni. Sulla debolezza e fragilità e sulla necessità di unirsi e fondersi dei comuni piccoli e piccolissimi si è già scritto. Per completare l’analisi e prospettare un’ipotesi concreta di riequilibrio e pari dignità dei centri urbani dell’area metropolitana, occorrerebbe attuare – come prevede anche la legge 56 / 2014, c. 22 – l’articolazione in più comuni del capoluogo.

06natale41FBL’ostacolo più difficile da superare sta nei capoluoghi (nomen omen) delle dieci aree metropolitane. Per le sue dimensioni ogni capoluogo si caratterizza come mastodontica macchina centralistica lontana dai cittadini. Grande comune unico e autoreferenziale, decide le politiche strategiche dell’area metropolitana e nel contempo si dimostra incapace di amministrare in modo equo la propria comunità a scapito soprattutto dei cittadini delle periferie.

Prendiamo il caso Milano. La nostra città si è ampliata oltre la sua storica cinta daziaria, assorbendo i piccoli comuni limitrofi, a partire dall’ultimo ventennio del 1800 fino a completare nel 1923 l’opera di annessione con la politica autoritaria e accentratrice del fascismo. La ripresa economica e industriale del secondo dopoguerra si accompagna alla rinascita della democrazia repubblicana e ai movimenti di lotta ed emancipazione dei lavoratori e dei cittadini. Organizzati nei partiti popolari e di massa e/o attivi in comitati di quartiere e associazioni, gruppi di cittadinanza impegnata danno vita a iniziative finalizzate a migliorare le condizioni di vita quotidiana nei quartieri periferici (casa, salute, scuole, trasporti ecc.) e a rivendicare un Comune più vicino ai cittadini. I comitati di quartiere, incrociando i movimenti studenteschi e giovanili del ’68, diventano protagonisti di lotte democratiche per il decentramento amministrativo e la partecipazione dal basso al governo delle città.

Nel 1968, con delibera del Consiglio comunale di Milano del 16 luglio, si conquista il primo decentramento amministrativo del Comune che viene suddiviso in 20 Zone, con propri organi (Consiglio, Presidente e Aggiunto del Sindaco). L’articolazione amministrativa si modella sui quartieri storici e sui vecchi comuni annessi: Centro storico – Centro direzionale/ Greco/Zara – Venezia/Buenos Aires – Vittoria/Romana/Molise – Ticinese/Genova – Magenta/Sempione – Bovisa/Dergano – Affori/Comasina/Bruzzano – Niguarda / Ca’ Granda/Bicocca – Monza/Padova – Città Studi / Argonne – Feltre/Cimiano – Forlanini/Taliedo – Corvetto/Rogoredo-Vigentina – Chiesa Rossa /Gratosoglio – Barona / Ronchetto sul Naviglio – Lorenteggio / Inganni – Baggio / Forze Armate – San Siro / Q.T.8 / Gallaratese – Vialba/Quarto Oggiaro/Certosa.

I Consigli di Zona nascono come organi consultivi, ma costituiscono un primo passo importante “per la promozione della più ampia partecipazione democratica dei cittadini alla vita politico-amministrativa della città” (art. 9 /Reg.1968). Nel 1997 viene approvato un nuovo Regolamento (mai applicato!) che decentra alcune funzioni e compiti e assegna una maggiore autonomia ai Consigli di Zona nella prospettiva di trasformarli in municipi/comuni, di abolire capoluogo e provincia e istituire la Città Metropolitana. Nel 1999 i Consigli vengono ridotti a 9 con dimensioni di medio – grandi città, che operano come semplici appendici dell’amministrazione centrale; esprimono pareri non vincolanti; fanno delibere a carattere consultivo che quasi mai vengono accolte dal potere centrale.

Di fatto sono in funzione 9 centri di spesa per gli stipendi ai presidenti (4.000 euro lordi al mese) e i gettoni di presenza ai consiglieri, che non hanno poteri di amministrazione territoriale. Accentramento e finto decentramento sono un danno e un costo assai rilevante per la comunità: sprechi di danaro pubblico e soprattutto crescente distanza / separazione tra Comune unico e cittadini, miopia politico-amministrativa che non vede oltre la cerchia dei navigli o antica cinta daziaria sovraccaricando il centro storico di funzioni ‘pregiate’ e lasciando a se stessi i quartieri in particolare quelli delle periferie, il cui abbandono e degrado aumentano in maniera preoccupante ed esplosiva.

L’unico centro di potere amministrativo è Palazzo Marino che simboleggia un anacronistico Moloch (mitico e negativo mostro divino), nel significato più pregnante di “organizzazione irrazionale che soffoca i diritti, le esigenze individuali e sociali delle persone” (v. dizionario). È proprio questo moloch che occorre sconfiggere. Non c’è più tempo da perdere per avviare finalmente la riforma democratica del governo delle aree urbane e riconoscere i diritti e i doveri della cittadinanza metropolitana in un sistema di città / comuni equilibrato e di pari dignità governato dall’Ente intermedio Città Metropolitana cui Regione e Comuni devono cedere compiti e funzioni di governo di area vasta.

Giuseppe Natale

Forum Civico Metropolitano



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