26 novembre 2014

musica – MUSICA DA CAMERA


 

MUSICA DA CAMERA

Anche nella musica classica si sta inverando il detto che small is beautiful, nel senso di un ritorno alle dimensioni reali della “musica da camera”. Da oltre due secoli la grande musica è articolata in tre grandi filoni: la musica lirica scritta per il teatro, la musica sinfonica scritta per orchestre di maggiori o minori dimensioni, e la musica da camera per essere eseguita da uno o da pochi strumenti (il duo, il trio, il quartetto, eccetera). Ciascuna delle tre forme aveva un luogo specifico in cui la musica doveva essere ascoltata: il teatro per l’opera, la grande sala o auditorium per il concerto sinfonico e – per la musica da camera – la casa, il castello, la villa. Poi gli spazi si sono impropriamente dilatati e così la musica sinfonica occupa spesso lo spazio del teatro lirico, la musica da camera ha invaso le sale da concerto e occupa spazi sempre maggiori, tanto che può capitare di sentire in una immensa piazza le note di Chopin diffuse da potentissimi amplificatori. È successo anche recentemente a Milano in piazza del Duomo. Orrore.

musica41FBLa scorsa settimana ho provato la gioia – pur comprendendone l’anacronismo e il privilegio – di ascoltare due concerti di musica “da camera” in senso stretto, cioè in spazi appropriati, con un pubblico ridotto e selezionato, con programmi adeguati; oltre che un ritorno all’antico è stata anche occasione per approfondire aspetti non secondari del repertorio. Due situazioni non molto usuali, una all’inizio di un ciclo, l’altra alla fine.

Guido e Luisa Bizzi hanno una fabbrica di clavicembali in una magnifica villa del seicento presso il lago di Varese (www.villabossi.it), dove ospitano anche la piccola casa discografica Sheva collection di Ermanno De Stefani. Avendo a disposizione un ambiente molto raffinato e spazi adeguati, hanno deciso di organizzare una stagione di musica da camera aperta al pubblico ma poco pubblicizzata, in modo da avere un numero molto contenuto di ospiti. L’altra sera una trentina di privilegiati hanno potuto ascoltare una magnifica Ciaccona di Bach magistralmente eseguita al violino da Stefan Coles che poi – accompagnato al pianoforte da Chiharu Aizawa, e dimostrando un’energia sorprendente – ci ha ancora regalato la Sonata K.304 di Mozart, l’opera 24 (la cosiddetta “Primavera”) di Beethoven e lo Scherzo dalla Sonata cosiddetta “collettiva” di Brahms (gli altri tempi della Sonata, che ha una storia molto curiosa, sono di Dietrich e di Schumann). E il tutto veniva raccontato e commentato da Robert Sélitrenny che, da grande direttore d’orchestra quale è, ha offerto agli ascoltatori una magnifica interpretazione letteraria e poetica delle partiture che venivano eseguite.

Un mese fa avevo già raccontato di una casa discografica – la Limen (www.limenmusic.com) – che, in un bellissimo spazio nella periferia milanese, ha sistemato un elegante teatro-studio di registrazione in cui, prima di realizzarne le incisioni, presenta i suoi artisti e le loro opere. Michele e Raffaella Forzani, che hanno creato Limen e che ora hanno deciso di trasferirla in Umbria in una grande residenza-studio, hanno dato l’addio allo spazio milanese con una serata straordinaria dal titolo “Il corpo del musicista” in cui il violista Danilo Rossi e il poeta Davide Rondoni hanno incrociato le armi in un fantastico duetto: mentre Rossi eseguiva incantevoli brani dalle prime due Suites per viola sola di Bach, dalla Suite n. 1 di Reger e dalla Sonata opera 25 n. 1 di Hindemith, Rondoni con un lungo, pungente monologo commentava il senso dell’essere musicista: “… esisterebbe Mozart, sarebbe qualcosa senza le migliaia, i milioni di gomiti, di fiato, di bocche ritorte che l’hanno suonato? senza il calore e il dolore di migliaia di petti nell’ombra, sotto le camice inamidate, i colli tesi come cani nel colletto o collare col cravattino…”

Due serate molto diverse dal solito per l’ambiente, per il modo di ascoltare, per il rapporto fra parole e musica, per l’emozione anche fisica di noi spettatori e ascoltatori che vibravamo insieme agli strumenti e ai corpi dei musicisti – li si poteva quasi toccare – con i muscoli tesi e le espressioni del volto che raccontavano anch’essi la musica. Due solisti che vengono da una lunga militanza nelle orchestre (Rossi da tempo immemorabile è viola di spalla dell’Orchestra della Scala, Coles lo è stato nelle orchestre di Bucarest, poi di Torino e di Palermo prima di creare la sua Accademia a Erba) giusto per smentire la regola che vuole i musicisti “uccisi” dall’Orchestra (dice Rossi “dipende da come ci stai, in orchestra“). E anche due poeti, uno attratto dalla fisicità della musica, l’altro dai suoi più profondi significati.

Come tutto ciò è diverso dall’esser seduto in una poltrona di platea di una grande sala da concerto, insieme ad altre mille, duemila persone, senza alcun rapporto fisico con i musicisti e gli strumenti! Se quella è una modalità appropriata alla grande orchestra, è assolutamente inadeguata all’ascolto di solisti o di piccoli ensemble la cui musica necessita di raccoglimento, intimità, fisicità. Non solo per goderla ma anche per capirla, per coglierne i dettagli; è la stessa differenza che passa fra l’ascolto dal vivo e quello mediato dalla registrazione. Una differenza che assomiglia a quella che corre tra parlarsi a quattr’occhi e parlarsi al telefono.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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