21 settembre 2009

IL TEATRINO DELL’EDILIZIA


Il palcoscenico dell’edilizia, un boccascena enorme, è sempre gremito e ci sono tutti: attori e comparse. Tante comparse: tutti quelli che una casa non l’hanno o l’hanno troppo piccola o la stanno perdendo. Poi ci sono gli attori, tante maschere: l’immobiliarista brutale di lunga lena che non guarda in faccia nessuno, l’impresario disinvolto, l’architetto bene introdotto, l’urbanista per tutte le stagioni, l’organizzatore di cooperative fasulle e l’infinita schiera delle macchiette d’occasione. Tra queste negli ultimi tempi brillano quelli che “danno i numeri”: non sono matti, tutt’altro, ma sono una sorta d’imbonitore a fini politici. L’ultimo in ordine di tempo è stato Mario Mantovani, sottosegretario alle infrastrutture, a proposito del Piano Casa: “Almeno il 50% della popolazione lombarda (4,5 milioni) – dice –
beneficerà del Piano casa varato dal governo in Lombardia con la creazione di 100 mila posti di lavoro e oltre settanta milioni d’investimenti.”

Da dove abbia cavato queste cifre solo Dio sa; forse ha censito le unità abitative monofamiliari e ha cavato qualche dato dalla consistenza del patrimonio immobiliare in Lombardia ma comunque darebbe per scontato che metà dei lombardi, o meglio forse metà delle famiglie lombarde – 2,1 milioni – abbiano voglia, necessità e soprattutto mezzi per allargarsi la casa. Li hanno senz’altro perché, se la matematica non è un’opinione, secondo i conti di Mantovani debbono mettere sul tavolo solo 33 € a famiglia. Alla portata di tutti.

E’ chiaro che i conti non tornano, come non tornano i conti dei posti di lavoro, un dato che non dice nulla e dovrebbe, per essere credibile, essere sostituito dal numero di ore lavorate. Tra l’altro, senatore Mantovani, i suoi 100 mila posti in quanti anni? Posti nuovi? Perché dare i numeri? Lo sappiamo anche troppo bene: sono lo spolvero d’oro su un provvedimento di legge che privilegia solo quelli che “realmente” hanno i mezzi per allargare la casa, e sono una parte minima di quelli annunciati ma, probabilmente, si collocano da una parte dell’elettorato che deve essere blandita.

Comunque i numeri fanno colpo, soprattutto quelli dei posti di lavoro. La realtà sta altrove. Gli ultimi dati di Confcommercio dichiarano che anche negli ultimissimi tempi i consumi delle famiglie sono calati.

I sindacati operai e padronali continuano giustamente a dire che i posti di lavoro in futuro da considerare persi sono centinaia di migliaia ma quelli di cui si occupano loro sono solo parziali perché bisogna contare quelli lasciati a casa dagli studi professionali, dal terziario minuto e nel mondo dell’artigianato.

Prima che il PIL torni a essere positivo, e non per frazioni di punto, ci vorranno anni.

In questa situazione quanto risparmio e quante risorse economiche si pensa possano realisticamente affluire nel mercato immobiliare nei prossimo futuro? Comunque a breve nulla. E invece assistiamo all’eterna commedia di far passare provvedimenti devastanti dal punto di vista urbanistico come unica panacea alla crisi economica all’insegna di una lettura capovolta del detto “quando l’edilizia va, tutto va”.

La vera lettura è invece questa: un segnale che tutto va è che va l’edilizia e non è certo il nostro caso ora. L’edilizia, a meno di giganteschi investimenti pubblici, per noi “ovviamente ” impossibili, non sarà la leva della ripresa perché il denaro dalle tasche dei cittadini non defluirà lì. Nemmeno i rendimenti scesi quasi a zero dei titoli di Stato hanno avuto questo effetto di dirottamento verso il mattone. Il problema è dunque altro: perché l’edilizia riprenda è necessario sia che aumenti il reddito delle famiglie sia che le famiglie riprendano ad aver fiducia e a non temere che qualcuno dei componenti perda il posto di lavoro o si veda decurtato il salario. Verrebbe dunque da dirsi: perché allarmarsi per provvedimenti che non avranno effetto, come il Piano casa? Perché temere una colata di cemento che non ci sarà?

Perché qualche effetto lo si avrà: pochi operatori approfitteranno delle opportunità introdotte dal Piano Casa e quei pochi saranno i soliti e i peggiori e i danni alla città e al paesaggio risulteranno assolutamente sproporzionati rispetto all’eventuale piccolo sollievo ai problemi della casa e dell’occupazione. La storia di sempre.

 

L.B.G.



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