19 novembre 2014

SITO EXPO. VERSO LA RIGENERAZIONE METROPOLITANA?


Il dopo EXPO come caso di rigenerazione urbana / metropolitana è stato il tema di uno dei convegni di URBANPROMO tenutosi alla Triennale di Milano l’11 novembre scorso. Pochi giorni dopo, l’esito negativo della gara per la vendita delle aree del sito espositivo di EXPO 2015 ha riportato la questione all’attenzione del dibattito politico milanese.

05targetti40FBI precedenti – Ruolo e destino del sito dell’EXPO erano stati stabiliti dall’Accordo di Programma (AdP) dell’agosto 2011, tra regione Lombardia, comune di Milano, comune di Rho, provincia di Milano e Poste italiane, (ai promotori si sono successivamente aggiunti Expo 2015 e AREXPO Srl.).

Nel maggio dello stesso anno era stata costituita AREXPO Srl società di diritto privato e capitale pubblico (soci: Regione, Comune di Milano, Comune di Rho, Provincia di Milano, Fondazione Fiera di Milano) che ha acquisito le aree del sito, parte con finanziamento diretto e parte con prestiti bancari e le ha assegnate in comodato d’uso a EXPO 2015 per lo sviluppo dell’Esposizione Universale. Al termine della manifestazione le aree urbanizzate torneranno ad AREXPO che, secondo l’AdP, dovrà “riqualificare il sito espositivo privilegiando progetti miranti a realizzare una più elevata qualità del contesto sociale, economico e territoriale”.

AREXPO per statuto può gestire le aree sulla base di un Piano urbanistico da concordare con i comuni (Piano integrato di intervento) o venderle per rientrare dei capitali investiti. In questo caso l’acquirente deve essere individuato attraverso una gara di evidenza pubblica.

Il bando per la vendita dell’area e il Masterplan – AREXPO ha deciso di vendere le aree in un’unica soluzione, sulla base di uno schema urbanistico guida (Masterplan). Sarebbe stato poi il promotore, acquirente delle aree, a presentare il Piano integrato di intervento ai comuni di Milano e Rho, competenti per territorio.

AREXPO ha redatto il Masterplan (febbraio 2014) e ha pubblicato il bando; il termine di presentazione delle offerte era il 15 novembre scorso. La cifra a base d’asta con offerte solo al rialzo era di 315 milioni oltre a 25 milioni da versare ad EXPO 2015 all’atto della vendita, per un’edificabilità complessiva di oltre 500.000 mq di Slp, comprensiva di una quota di housing sociale (l’incidenza del costo delle aree sarebbe stata dunque di 680 €/mq di Slp).

Il Masterplan del dopo EXPO, allegato al bando, è stato concepito per garantire i contenuti irrinunciabile di interesse pubblico e nello stesso tempo per consentire i necessari gradi di flessibilità e adattamento allo sviluppo del processo attuativo. Tuttavia lo strumento è stato impostato in previsione dell’alienazione in blocco dell’area e orientato alla residenza come funzione centrale in quanto ritenuta più collocabile sul mercato.

La gara per la prevendita delle aree è andata deserta, ovvero non sono state presentate offerte.

Un esito prevedibile considerando: la recessione economica in atto, le condizioni del mercato immobiliare e in particolare la consistente offerta di immobili in quella direttrice dell’area milanese: la difficoltà di gestire un’operazione di quelle dimensioni economiche, cioè dell’ordine di oltre un miliardo di euro; la peculiarità dell’area che offre grande potenzialità per funzioni rare, ma è assai meno appetibile per la residenza, ecc.. Da non trascurare infine il carico fiscale che graverà annualmente sulle aree edificabili fino all’attuazione dell’intervento il cui orizzonte temporale è dell’ordine del decennio.

Il percorso stabilito dall’AdP segna dunque una battuta d’arresto e ora gli enti pubblici devono decidere una nuova strategia.

La trasformazione del sito EXPO se considerata come pura operazione immobiliare è destinata al fallimento. La recente ipotesi della Regione di vendere le aree a lotti (il cosiddetto “spezzatino”) anziché in un’unica soluzione, ma sempre nello steso arco di tempo, non supera i vincoli economici che hanno fatto fallire il bando.

Il ruolo nazionale e metropolitano del sito EXPO – È necessario dunque ripensare al particolare ruolo che il sito può assumere nell’area metropolitana di Milano e quindi nel Paese e riconsiderare l’interesse pubblico dell’operazione Gli obbiettivi dovrebbero essere quelli di mantenere il carattere straordinario del sito anche dopo Expo; rendere il sito costantemente fruibile alla maggior parte dei cittadini metropolitani; fare del sito un propulsore costante di innovazione e crescita economica. Quest’ultimo punto richiede una politica di stimolo della domanda diversa da quella del tradizionale mercato immobiliare. Richiede di mettere in campo una strategia di livello nazionale ed europeo.

Il ruolo dello Stato -Lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione deve essere sostenuto dallo Stato (come è successo negli Stati Uniti fin dai tempi della Sylicon Valley, come sostiene da tempo Mariana Mazzuccato – “Lo Stato innovatore“). La Lombardia e Milano nella sua nuova configurazione metropolitana, dovrebbero chiedere allo Stato che il sito EXPO assuma una funzione nazionale come polo produttivo e di sviluppo dell’innovazione. L’operazione di trasformazione delle aree deve dunque rientrare in una strategia nazionale (programma operativo nazionale – PON – per lo sviluppo e l’innovazione) di sostegno mirato alle imprese – start up ma non solo – che intendono insediarsi in Expo e creare nuova occupazione. In quest’ottica uno strumento importante per rendere possibile la creazione del polo EXPO è la leva fiscale: non è illogico immaginare una condizione specifica relativa al sito come free tax area.

La Città Metropolitana come nuovo soggetto – Il Polo Expo deve assumere un ruolo nazionale ma di sicuro ha già un ruolo metropolitano; se ben sviluppato il sito Expo può diventare, insieme al polo esterno della Fiera, il più consistente centro dell’area metropolitana, dopo il “centro di Milano”. Se la neonata Città Metropolitana (CM) resterà esclusa dalla gestione dell’operazione vorrà dire che i fondatori della nuova istituzione non credono al suo ruolo.

Il possibile ruolo della CM infatti non è solo quello della gestione territoriale, ma quello di inserire Expo nei programmi europei per le città (città, imprese e innovazione sono gli obbiettivi dei fondi comunitari 2014 – 2020) programmi che a differenza del passato si attiveranno nel rapporto diretto tra Comunità europea e singole città – città metropolitane e non più attraverso lo Stato o la Regione. Il dopo Expo deve dunque rientrare nel Piano Strategico della Città metropolitana di Milano che la nuova istituzione dovrà approvare subito dopo lo Statuto, già nel 2015.

Un diverso ruolo di AREXPO – In questa prospettiva l’ipotesi più concreta per la trasformazione delle aree è la gestione di lungo termine dell’operazione da parte di AREXPO Srl, attuale proprietaria delle aree. Di fatto una gestione pubblica, scelta che confligge con il pensiero economico dominante, con la convinzione diffusa che la gestione pubblica è sinonimo di spreco, con i vincoli del patto di stabilità, con l’imperativo dell’alienazione dei beni pubblici a tutti i costi. Eppure non vedo altre soluzioni. Gestione pubblica infatti non significa trasferire le perdite di un’operazione immobiliare destinata all’insuccesso al bilancio pubblico, ma significa investire denaro pubblico in un fattore di sviluppo e di innovazione.

Il bilancio economico dell’operazione dovrà essere verificato nel lungo periodo in termini di PIL, posti di lavoro, nuovi flussi fiscali, per unità di investimento pubblico, cioè in termini di crescita. Deve comunque restare l’obbiettivo del pareggio di bilancio di gestione, al netto dell’investimento pubblico e l’obbligo del ripianamento del debito (banche), senza oneri ulteriori per la finanza pubblica.

L’operazione dovrebbe assumere quindi un connotato complesso tra finalità pubbliche, non solo in termini di servizi ma anche di sviluppo e finalità di profitto, attraverso l’attività immobiliare (vendite e affitti) per ripianare il debito con le banche che dovranno però accettare un rientro di lungo termine. Tutto ciò presuppone un piano di gestione delle strutture e degli edifici che EXPO 2015 trasferirà nel 2016 ad AREXPO (affitto dei padiglioni e delle strutture pubbliche) e di trasformazione e valorizzazione immobiliare progressive, commisurate ai tempi e all’evoluzione del mercato.

Se questo è lo scenario ne consegue che AREXPO deve assumere un ruolo di gestore dell’operazione, differente da quello ipotizzato prima del bando e che i contenuti del Masterplan vanno parzialmente ripensati.

AREXPO potrebbe svolgere la funzione di gestore della proprietà sul modello di E.U.R Spa. che gestisce appunto la proprietà immobiliare pubblica dell’EUR di Roma. (E.U.R Spa presenta bilanci attivi, per quanto si può verificare dai documenti pubblicati sul sito) Nell’ipotesi che venga scelta questa strada AREXPO Srl dovrebbe: impostare la gestione economica e immobiliare di lungo termine, redigere un Business Plan; riconsiderare ciò che è da demolire e ciò che è da conservare; rivedere il Masterplan con un processo di feed back tra i due studi; redigere e portare ad approvazione il PII e la relativa convenzione; gestire i rapporti con gli enti pubblici compresa la gestione degli spazi d’uso pubblico, per conto dei comuni.

Rivedere il Masterplan – Il Masterplan costituisce la trasposizione grafica della strategia di sviluppo e di conseguenza la guida per la successiva predisposizione del Piano urbanistico attuativo (PII). Alla luce degli esiti del bando e di una indispensabile nuova strategia è necessaria una riflessione sui suoi contenuti.

Nella revisione del Masterplan va mantenuto il principio delle invarianti di interesse pubblico, ma la grande area verde centrale del parco tematico potrebbe costituire un elemento di rigidità rispetto a una gestione progressiva dell’intervento. Più funzionale a una gestione progressiva sembrerebbe l’altra ipotesi sviluppata dagli studi del Masterplan (schema 2 “Out”) ovvero di valorizzare “l’anello verde blu”, cioè il canale d’acqua in costruzione ai bordi dell’area espositiva. In effetti l’elemento pubblico più significativo e straordinario del sito è proprio l’anello d’acqua che per dimensioni, conformazione e possibilità d’uso non ha riscontro nell’area metropolitana se non nell’Idroscalo (avendo i Navigli milanesi storie funzioni e usi reali assai differenti).

Tale opportunità va sfruttata al meglio, sia come bene pubblico, sia come valore commerciale dell’area e sarebbe utile approfondire tutte le ipotesi d’uso del canale, ludico, sportivo, di spettacolo, e anche come di dotazione aggiuntiva di qualità delle funzioni che si affacceranno su di esso.

Su un’eventuale consistente presenza della residenza nell’area si sono sollevati dubbi anche durante il dibattito di URBANPROMO. Per quanto il luogo sia ad alta accessibilità su gomma e in parte minore su ferro, resterebbe comunque un insediamento residenziale fisicamente isolato, sia dalla parte urbana di Milano, sia di Rho, circondato da potenti infrastrutture solo teoricamente valicabili in bicicletta o a piedi. La prevalenza della funzione residenziale porterebbe a un insediamento di circa 12/15.000 abitanti, la dimensione di un comune medio per l’area metropolitana di Milano e sarebbero necessarie dotazioni che garantiscano l’autosufficienza del quartiere. La residenza dovrebbe invece essere limitata come integrazione delle funzioni di servizio, terziarie e produttive in misura da non richiedere le dotazioni per un quartiere autosufficiente.

Le funzioni alternative – imprese tecnologicamente avanzate; servizi per l’innovazione e la ricerca spazi di sostegno alle start up; ricerca e sperimentazione per l’agricoltura in ambito urbano, servizi rari di livello metropolitano, ma anche grandi spazi per il divertimento, il tempo libero e la cultura ecc – non possono essere inventate a tavolino dagli urbanisti, ma dovranno emergere progressivamente dal confronto con i diversi attori a partire dalla Comunità europea.

 

Ugo Targetti



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